Sciopero transfemminista: oltre l’8 marzo con la lotta

La chiamata di Non Una di Meno a scioperare in tutta Italia per la liberazione delle donne

Roma, sciopero transfemminista NUDM

Nel cuore di una primavera che si sveglia sotto il calore di un febbraio eccezionalmente caldo, le piazze italiane si accendono di colori, voci e passioni in un mosaico vivace di solidarietà e attivismo. Da Cuneo a Gela, da Cagliari a Brindisi, un totale di 39 città si uniscono nel coro della resistenza e dello sciopero transfemminista, ribaltando gli stereotipi che vedevano anche il Sud d’Italia sottorappresentato. È un 8 marzo diverso, un’esplosione di vitalità che riflette la pluralità delle esperienze femminili, guidato dal grande collettivo nazionale Non Una Di Meno. In questo contesto, lo sciopero transfemminista diventa la chiave di una giornata di lotta, un’unità nelle diversità espressive che caratterizza il panorama attuale.

Le piazze di oggi sono numerose e piene di scioperanti che portano grandi temi che hanno una visione intersezionale. Si parte dal disagio che viene alimentato dalla politica di un governo di destra, che alimenta una società patriarcale e mascolina. Ma si va avanti, fino all’occupazione in Palestina e alla guerra in Ucraina, riflesse sui corpi delle donne. Si parla dell’eco persistente dell’omicidio di Giulia Cecchettin, che contribuisce a un cocktail esplosivo di rabbia e indignazione. È in questo contesto che si insinua la voce del movimento Non Una Di Meno, che ha scelto di interpretare l’8 marzo come uno sciopero transfemminista fin dal 2017.

ln piazza si porta anche la necessità del cambiamento più significativo nell’attenzione crescente all’accessibilità e all’inclusività. Una risposta diretta a una lettera aperta di attiviste con disabilità, che hanno sfidato il movimento a diventare più sensibile e inclusivo. Questo richiamo all’attenzione ha innescato un processo di confronto, aprendo la strada a una rivoluzione culturale che pone la cura al centro della protesta, sfidando l’approccio muscolare alla conquista degli spazi pubblici.

Un mosaico di piazze in movimento

L’ondata di mobilitazione che ha invaso le piazze italiane è come un mosaico caleidoscopico di solidarietà e attivismo, con 39 città da Cuneo a Gela, abbracciando il Sud d’Italia in una partecipazione finalmente visibile. L’unità di forze è stata evidente nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli, Firenze, Torino e Bologna, tutte unite sotto il vessillo dal collettivo e organizzazione transfemminista e internazionalista di Non Una Di Meno. Questo collettivo, operante sin dal 2017, ha guidato la giornata con uno spirito di unità nelle diversità espressive, incarnando lo spirito dello sciopero transfemminista.

Le motivazioni profonde di una giornata di lotta

L’8 marzo di quest’anno è stato ancor più pregnante di significato, con le ragioni per scendere in piazza che sembrano moltiplicarsi. Un governo di destra, le repressioni in carcere e in Palestina. La consapevolezza di un’agenda politica poco inclusiva ha catalizzato l’urgente bisogno di un cambiamento.

Lo sciopero transfemminista è un giorno di lotta, un’occasione per portare avanti – come ogni giorno – ogni singola forma di discriminazione e portare in maniera attiva proposte politiche e cambiamenti radicali contro ogni forma di esclusione e repressione. Il governo Meloni è complice di questa repressione, nelle piazze come nelle scuole, promuovendo attività e conferenze anti-gender, razziste e revisioniste. 

È il caso anche dell’8 marzo, giorno in cui uomini al governo pretendono di parlare dei diritti delle donne, attraverso la negazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, l’utilizzo di linguaggio discriminatorio e sessista, proposte di ghettizzazione e razzismo sistemico, e di azioni solidali nei confronti di Israele. Gli stessi uomini del governo Meloni sono accusati di stupro e davanti ai femminicidi parlano dell’amore, della gelosia, dell’eccessiva rabbia, come se ci fosse un’eccezione a tutto. Il patriarcato è un problema sistemico della società, non sono delle singole mele marce che cadono dall’albero una volta al giorno – e più.

Lo sciopero transfemminista scende in piazza contro le discriminazioni lgbtq+ e i continui slogan del “Dio, patria e famiglia”, che lega la donna in una società sessista, che la posiziona in lavori coatti di cura e oppressione e che la costringe a seguire i dogmi della famiglia e dei figli.

Sciopero transfemminista contro la militarizzazione e la guerra

Lo sciopero contro il patriarcato sistemico è, primo tra tutti, contro la guerra e le meccaniche bellicistiche di repressione e occupazione. La violenza patriarcale è intrinseca e che in maniera sempre più viscida porta nelle strade, sui giornali e nella quotidianità occidentale un’ideologia nazionalista, militarista e gerarchica, che posiziona la donna su una scala inferiore rispetto all’uomo.

Lo sciopero trasfemminista pone il suo primo pensiero nei confronti dell’Ucraina ma sopratutto a Gaza, in cui è in corso un genocidio senza precedenti e non solo dal 7 ottobre. Si rifiuta ogni forma di apartheid, di occupazione, di repressione dei corpi delle donne usate come strumento di riproduzione. Si rifiuta lo stupro come arma di guerra, che i soldati dell’IDF continuano ad usare per appropriarsi sempre di più delle terre palestinesi.



Le donne palestinesi stanno oggi lottando per la liberazione della propria terra, ma prima di tutto per salvare la propria esistenza e autodeterminazione fisica e mentale e che ogni giorno lotta contro uno degli Stati più fascisti e razzisti del mondo.

Innovazioni nell’accessibilità e l’inclusività

Un elemento rivoluzionario di questa giornata di sciopero transfemminista è stata l’attenzione alla accessibilità, una risposta diretta a una lettera aperta scritta da attiviste con disabilità. Questo appello ha sfidato il movimento a diventare più inclusivo e sensibile alle esigenze di tutti, ribaltando gli stereotipi e aprendo un dialogo costruttivo. L’inclusività non è solo diventata un tema politico ma ha anche trasformato il modo di concepire le manifestazioni pubbliche.

Lo sciopero transfemminista nel processo di liberazione dalla società maschilista

Questo processo di confronto con le mille realtà che oggi portano in piazza temi tra loro collegati ha portato a una rivoluzione culturale, dando spazio a pratiche inclusive e alla valorizzazione della cura come elemento chiave nelle proteste. Questo rappresenta una netta opposizione a un approccio muscolare e testosteronico nella conquista degli spazi pubblici, sottolineando che il cambiamento culturale avviene quando ogni individuo è posto nelle migliori condizioni per manifestare il proprio dissenso.

La giornata dell’8 marzo è un’altra occasione per sottolineare la continua prevaricazione che la società patriarcale opera sopra le donne, con la conquista delle piazze e quella dei diritti. Oggi si parla di resistenza femminista, la resistenza delle donne che crea una dinamica di sorellanza con la resistenza delle donne Palestinesi con le loro terre e i loro corpi abusati, occupati e usurpati. 

Un passo verso l’inclusività concreta

In molte città, è stata lanciata una chiamata per volontari disposti a fornire assistenza durante i cortei. Questo impegno è un riflesso della convinzione che ogni persona, nel proprio piccolo, può contribuire a rendere l’esperienza di un’altra più significativa. I volontari saranno riconoscibili da una fascetta bianca al braccio e saranno parte del “Disability Pride Network”. Punti di decompressione, una mappa dei bagni accessibili e panchine sul percorso garantiranno un’esperienza accessibile a tutti, dimostrando che l’attivismo può essere efficace solo se è accessibile.

Nello sciopero transfemminista dell’8 marzo si parla anche di un’esclusione che le istituzioni e le economie occidentali fanno passare per politiche inclusive: dal personale femminile per le attività di turismo, cultura e pulizia, al salario basso per le donne, dalla femminilizzazione di alcuni lavori e abusi di potere alla discriminazione delle periferie nelle attività sociali e culturali.

Una rivoluzione nella storia dell’8 Marzo

L’8 marzo non è più solo la giornata della mimosa e del pranzo fuori, ma è diventato uno sciopero transfemminista. Il movimento Non Una di Meno ha stravolto il tradizionale rituale dell’otto marzo, rimettendo al centro del discorso il conflitto e il patriarcato. Il giorno non è più una festa, ma una dichiarazione di conflitto agito sui fronti della produzione e della riproduzione, dei consumi e dei generi.

Resistere alla violenza di genere con lo sciopero transfemminista

Dalle continue offese alle percosse, alle molestie, al revenge porn, allo stupro e al femminicidio, la violenza di genere richiede una risposta di ribellione. L’8 marzo è diventato un atto di rivolta contro il controllo, il possesso, l’esibizione di potere e il desiderio di annientamento. La risposta al femminicidio di Giulia Cecchettin lo scorso 25 novembre ha acceso la fiamma di una rivolta che continua a guidare la lotta per un futuro più giusto e inclusivo.

Lo sciopero contro il patriarcato è uno sciopero contro le politiche che organizzano e gerarchizzano la società. Questo richiama l’attenzione sulla scuola classista, divisa tra ricchi e poveri, che relega le donne a distanza dalle materie STEM, contribuendo a indirizzarle verso professioni con retribuzioni inferiori e pensioni più basse. La società, gerarchizzata anche nelle divisioni geografiche e razziali, deve affrontare le lotte come un problema di ordine pubblico da reprimere.

Lo sciopero transfemminista dell’8 marzo pone la donna non come passive, non come vittime di una società nei confronti delle quali solidarizzare e porsi accanto. Le donne sono figure di lotta condivisa e collettiva, di una pratica che viene vissuta ogni giorno su ogni corpo non maschile, eterosessuale e cis-gender. L’appello dello sciopero transfemminista è internazionale e si lega a tutte le discriminazioni, storiche e attuali, che in tutti i continenti ogni donna vive e per cui ogni donna è pronta a lottare.

Lucrezia Agliani

 

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