Il marciatore azzurro Alex Schwazer è tornato, forte e vincente come sempre. Ma in tanti non credono meriti una seconda opportunità.
Quattro anni fa Alex Schwazer fu l’artefice di uno dei più grandi scandali sportivi dell’atletica italiana: alla vigilia della gara di marcia dei 50 km dell’olimpiade di Londra 2012, dove il campione azzurro era uno dei favoriti, venne annunciata la sua squalifica perché trovato positivo alla eritropoietina.
Da qui in poi prese avvio l’inevitabile macchina del fango: per Schwazer il passaggio da uno degli atleti più amati dell’atletica italiana a nemico pubblico numero uno fu rapidissimo. La vittoria all’olimpiade di Pechino 2008, la romantica storia d’amore con la campionessa di pattinaggio Carolina Kostner, le pubblicità della Kinder tra le nevi delle alpi, tutto crollò come un castello di carte.
È lo stesso Schwazer ad ammettere che il doping ha distrutto la sua vita. E come dargli torto? A seguito di queste vicende ha perso il lavoro (quello di marciatore come quello di carabiniere), ha perso l’amore, ha perso, soprattutto, il rispetto delle persone che gli stanno attorno. Dopo il clamore mediatico, la squalifica, i pianti e le scuse in diretta sono seguiti quattro anni di oblio, che si sono conclusi dieci giorni fa, il 29 aprile, con il termine ufficiale della squalifica.
Quello che l’8 maggio si presenta a Roma per prendere parte al mondiale a squadre è un uomo formalmente riabilitato ma che incanala ancora su di sé sguardi pieni d’odio e di rabbia. Il primo ad esprimersi contro di lui, ancora prima della fine della squalifica, è stato Gianmarco Tamberi, campione del mondo indoor di salto in alto e suo futuro compagno di squadra a Rio, che lo taccia come “vergogna d’Italia”, alimentando in maniera un po’ incauta delle polemiche sterili.
Perché la legge ha fatto il suo corso, Schwazer ha pagato le sue colpe e ora nessuno potrà impedirgli di continuare il suo, di corso.
E, infatti, Alex torna in pista, o meglio sull’asfalto e i sampietrini, e fa quello che gli viene meglio: marciare. Schwazer domina il mondiale per squadre e arriva primo, facendo vincere la sua squadra, l’Italia. Questa vittoria esaltante viene accompagnata da altre polemiche: i suoi rivali lo definiscono come una brutta persona che non dovrebbe più gareggiare, c’è addirittura chi insinua che Alex possa ancora trarre benefici dal doping di quattro anni fa.
C’è, invece, chi gioisce per un campione ritrovato e, nel farlo, si sente un po’ in colpa come se quell’oro sul collo di Alex fosse diverso da quello dei suoi compagni: più sporco, meno brillante.
Qui sta il problema. Perché laddove le polemiche sono sterili, in quanto vanno a sottolineare una condizione ormai legalmente risolta, ci fanno però capire che le colpe non si dimenticano e non si lavano via con un colpo di spugna.
Perché se Alex non avesse questo straordinario talento o non avesse più le forze per esprimerlo, il suo nome sarebbe macchiato per sempre, senza possibilità di redenzione. E invece lui è ancora qui, vestito d’azzurro e decorato d’oro, così come tutti vorremmo vederlo tra qualche mese sotto il sole di Rio.
Alex Schwazer è fortunato: i suoi errori non hanno macchiato nessuna delle sue vittorie (è stato squalificato prima di correre) e, soprattutto, avrà la possibilità di farsi perdonare, questa volta per davvero, passo dopo passo, come si addice ad un marciatore.
Tamberi e tutti i giustizialisti del mondo possono parlare quanto vogliono, ma se mai Schwazer tornerà sul podio olimpico a cantare l’inno italiano, noi tutti canteremo con lui, perché è giusto così e perché così sarà.
Alex, campione triste, ringrazia il tuo talento e, questa volta almeno, non sprecarlo.