Soprattutto nel nostro paese il popolo ha sempre meno fiducia nel fantomatico miraggio della crescita economica.
In particolare, se prestiamo attenzione al discorso pubblico, mentre la classe politica continua a rincorrere, instancabile, il traguardo in questione, la maggior parte della popolazione chiede “altro“. La natura e la forma di questo “altro“, che potremmo rinominare come “benessere“, in realtà, difficilmente potrebbe essere disgiunta dal concetto di crescita economica. La crescita risulta infatti un requisito indispensabile al fine di ottenerlo. Nonostante questo, sempre nel discorso pubblico, un collegamento concettuale sembra essersi rotto.
Parlo di quel collegamento quasi immediato che, dalla fine degli anni ’50, ha influenzato la vita politica fino alla crisi del 2008. L’idea diffusa che all’aumento dei livelli di crescita corrispondesse un aumento immediato del benessere della popolazione. Questo collegamento sembra però in parte distrutto. In virtù di questa neonata situazione, per molte forze politiche, risulta preferibile ottenere qualche punto di crescita in meno al fine di accontentare le richieste dell’elettorato/popolazione.
Per spiegare meglio la situazione potrebbe essere utile ricorrere a J. Schumpeter, economista austriaco della prima metà del ‘900.
Schumpeter, infatti, ci ha insegnato che la crescita economica non è sufficiente a garantire il benessere e la soddisfazione della popolazione. L’economista austriaco sottolinea come la crescita economica non sia un percorso generale. Essa produce vincitori e vinti. Soprattutto nei primi momenti, mentre alcuni individui riescono a saltare sul tram della crescita, altri restano a terra, ritrovandosi più deboli e spaesati di prima.
Ecco dunque che la crescita economica può facilmente condurre allo scoppio di nuove tensioni sociali. Tensioni che possono provenire da due direzioni ben precise:
- Dalla popolazione “lasciata in dietro“, che potrebbe richiedere aumenti salariali, maggiori tutele, welfare e simili.
- Dalla popolazione “sul tram“, che forte del nuovo benessere, potrebbe domandare diritti sociali, civili e politici.
Per spiegare questo fenomeno, Schumpeter creò il concetto di “Distruzione creativa“. Esso spiega come durante la crescita economica avvenga la distruzione di molte relazioni produttive e di lavoro; a causa della creazione di nuove tecnologie, aziende e mercati. La formazione di tensioni sociali è dunque inevitabile.
Il ruolo dello Stato
Queste tensioni sociali, in molti casi, potrebbero esser così forti da paralizzare il processo di crescita. Ecco quindi che lo Stato, o meglio, i governanti, dovrebbero agire da potere regolatore. Le domande della popolazione devono ottenere risposta e, quando sono ragionevoli, devono essere accettate. In caso di richieste irragionevoli, non condivisibili o effettivamente pericolose, però, lo stato ha il compito di rifiutare. Il rifiuto, però, non può essere sufficiente. La richiesta in questione, infatti, dev’essere elusa e sedata tramite la ricerca di un compromesso sostenibile. In caso contrario continuerà ad esistere.
Ecco che si definisce meglio la nostra situazione. La mancata crescita Italiana potrebbe essere frutto di una mancata gestione di tutte le tensioni sociali che vediamo quotidianamente manifestarsi. Non esiste richiesta che non trovi una piena soddisfazione nella propaganda politica. Ogni istanza è subito potenzialmente accolta, con il risultato che, al fine di mantenere lo status quo e di non generare malcontento ulteriore, nessuna di esse può essere effettivamente soddisfatta.
Si è, in poche parole, inceppato il meccanismo con cui si generano vincitori e vinti necessari al processo di crescita. In cambio abbiamo iniziato a rincorrere l’ideale di uno Stato in cui siam tutti vincitori, quasi scordando come, in realtà, spesso ci sentiam tutti vinti.
Andrea Pezzotta