Sale a 8 il numero di Paesi Schengen che hanno ripristinato i controlli alle frontiere: come funzionano le sospensioni dell’area Schengen

Le sospensioni dell'area Schengen dovrebbero rimanere un'eccezione ma si legano storicamente alla tematica migratoria

L'Olanda è l'ottavo Paese europeo che reintroduce i controlli alle frontiere: le sospensioni dell'area Schengen sono sempre più diffuse.

È di ieri l’annuncio da parte dell’Olanda della reintroduzione dei controlli sulle frontiere con Germania e Belgio a partire dal 9 dicembre. Con i Paesi Bassi, salgono a 8 gli Stati appartenenti all’area Schengen che, nell’ultimo periodo, hanno sospeso l’accordo. Tali sospensioni dovrebbero rimanere un’eccezione, anche se la storia dell’area Schengen mostra un altro volto.

Sospensioni dell’area Schengen: quali Paesi hanno reintrodotto i controlli alle frontiere

L’Olanda si unisce ad altri Paesi che negli scorsi mesi hanno reintrodotto i controlli alle frontiere interne dell’Unione Europea: Germania, Austria, Francia, Svezia, Slovenia, Danimarca e Norvegia. Quest’ultima, pur non appartenendo all’Unione Europea, ha aderito all’area di libera circolazione Schengen il 25 marzo 2001, abolendo da quella data i controlli per garantire la libera circolazione delle persone con altri Stati Schengen.

L’Olanda reintrodurrà i controlli alle frontiere con Germania e Belgio per sei mesi, nel tentativo di limitare i flussi di migranti ritenuti irregolari in ingresso. Questa stretta era attesa sin dalla salita al governo, lo scorso novembre, dell’ultradestra sovranista di Geert Wilders. Il nuovo ministro per la migrazione e l’asilo olandese, Majolein Faber, ha dichiarato riguardo alla decisione di sospendere l’area Schengen: «Vogliamo rendere i Paesi Bassi il meno attraenti possibile». Una dichiarazione che lascia poco all’immaginazione riguardo alla linea intrapresa dal nuovo governo olandese in tema di immigrazione.

Questa direzione sembra però condivisa da numerosi stati europei, in linea con una più generale lotta all’immigrazione intrapresa dall’Unione Europea negli ultimi anni, tra esternalizzazione delle frontiere, continue reintroduzioni dei controlli sui confini interni e l’approvazione del nuovo Migration Pact, che entrerà in vigore a livello legislativo nel 2026. Lo scorso 11 novembre, anche la Norvegia ha deciso di estendere i controlli alle frontiere per motivi di sicurezza interna fino al primo dicembre 2024: il ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza, Emilie Mehl, ha infatti innalzato il livello della minaccia terroristica da moderato a elevato, soprattutto per quanto riguarda obiettivi ebraici e israeliani.

Nascita e sospensioni dell’area Schengen

Il 14 giugno 1985, cinque Paesi europei – Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi – firmano un accordo per eliminare progressivamente i controlli alle frontiere interne, con l’obiettivo di facilitare la circolazione di beni e persone tra i paesi firmatari. L’area, che si viene a costituire e che si amplia gradualmente negli anni, prende il nome di “area Schengen”, dal paese del Lussemburgo in cui vengono firmati l’Accordo e la Convenzione di Schengen rispettivamente nel 1985 e nel 1990. Ad oggi, l’area a libera circolazione conta 27 Paesi e interessa una popolazione di circa 426 milioni di persone, costituendo la più grande area al mondo “senza confini”. Un’area che dovrebbe essere senza confini ma in realtà caratterizzata da quella che Sandro Mezzadra ha definito “inclusione differenziale” o “mobilità selettiva”: una libertà di circolazione che, nella maggior parte dei casi, riguarda solo una parte della popolazione, mentre esclude chi possiede determinate caratteristiche fenotipiche attraverso processi di profilazione razziale.

Gli articoli 25 e 35 del cosiddetto “Codice frontiere Schengen”, approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio nel 2016, spiegano in maniera dettagliata il funzionamento delle sospensioni dell’area Schengen. Sebbene l’area Schengen si basi su un duplice movimento di apertura interna e chiusura esterna, quando queste vengono percepite come “minacciate” o sotto pressione, gli Stati nazionali possono sospendere temporaneamente Schengen, rafforzando i controlli ai confini. Questo fenomeno mette in evidenza, nelle analisi politiche e geografiche, il ruolo dei confini nazionali come meccanismi di inclusione ed esclusione selettiva, di cooperazione e controllo, luoghi fondamentali per comprendere le varie governance statali e dell’Unione Europea. Come specificato all’interno del Codice frontiere Schengen, la sospensione dovrebbe rimanere un caso eccezionale e giustificato da prove concrete di minaccia alla sicurezza interna. Le sospensioni dovrebbero durare sei mesi, prorogabili per un massimo di 2 anni consecutivi. Tuttavia, la realtà dei fatti è diversa: un esempio particolarmente eclatante è quello della Francia, che dal 2015 ha reintrodotto quasi ininterrottamente i controlli alla frontiera con l’Italia, mantenendo i controlli alla frontiera con l’Italia quasi ininterrottamente, richiedendo estensioni e permessi aggiuntivi quasi sempre con il pretesto della sicurezza interna, senza mai riuscire a bloccare del tutto i movimenti secondari. Tali blocchi sono avvenuti guardacaso soprattutto all’altezza di VEntimiglia, uno dei principali luoghi di transito intrapresi dalle persone in movimento dirette in territorio francese

Secondo i dati aggiornati a ottobre 2023, l’area Schengen, dalla sua creazione, è stata sospesa 387 volte. Il Paese con il maggior numero di sospensioni è l’Austria, con 47, seguita da Norvegia (37) e Germania (35). La Francia è quinta con 27 sospensioni, quasi tutte continuative dal 2015. L’Italia ha un numero nettamente inferiore di sospensioni, essendo un paese d’approdo posto sui confini esterni dell’UE.  Quando i controlli vengono reintrodotti, deliberatamente o meno, per monitorare i flussi migratori o esplicitamente in chiave anti-migratoria, la profilazione razziale e il lo screening effettuati in frontiera avvengono su base etnica, costituendo un pericoloso strumento di controllo razzializzante.

L’area Schengen e le migrazioni “irregolari”

La libera circolazione all’interno dell’area Schengen è storicamente legata alla questione migratoria, che costantemente mette in discussione e sfida leggi e norme europee. Il tema è divenuto particolarmente dibattuto nel 2015, durante quella che è stata definita la “crisi” migratoria o crisi dei rifugiati: secondo i dati dell’UNHCR, nel 2015 oltre un milione di migranti hanno raggiunto le coste e i confini europei, un numero esorbitante rispetto agli anni precedenti. Sempre l’UNHCR stima che, nel 2015, circa 3.700 persone sono morte tentando di raggiungere l’Europa, con la maggior parte delle vittime durante la pericolosa traversata del Mediterraneo, che ancora oggi, a quasi dieci anni di distanza, rimane una rotta migratoria estremamente pericolosa, con migliaia di morti e dispersi ogni anno nelle acque di quello che è stato definito «il cimitero d’Europa».

La questione migratoria si è così sempre più intrecciata con la gestione delle frontiere interne ed esterne europee. L’istituzione dell’area a libera circolazione ha posto la questione della gestione dei controlli esterni dell’Europa: l’area Schengen si fonda sulla fiducia che gli Stati situati al bordo esterno dell’area controllino attentamente le loro frontiere presupponendo politiche omogenee in tema di sicurezza e controllo dell’immigrazione. La politica di esternalizzazione delle frontiere, oltre a essere caposaldo della politica di gestione dei flussi migratori dell’UE, diventa così anche prerogativa fondamentale per mantenere l’area Schengen: si rafforzano le frontiere esterne per allenare quelle interne, bloccando i migranti “irregolari” ai limiti d’Europa.  La costituzione della libera circolazione interna si è infatti legata alla questione della sicurezza, in particolare in relazione al controllo della mobilità degli stranieri che è stata investita da un processo di securitizzazione che l’ha posta al centro delle agende politiche europee.

Alla base della reintroduzione dei controlli alle frontiere vi è la criminalizzazione dei movimenti secondari ovvero quegli spostamenti non autorizzati che i migranti compiono muovendosi all’interno del territorio dell’Unione Europea dopo aver lasciato il primo paese d’ingresso. L’obiettivo è quello di contrastare il fenomeno dell’asylum shopping, di fatto privando le persone in movimento di ogni possibilità di autodeterminazione e della libertà di scegliere il Paese europeo in cui presentare domanda di asilo.

La reintroduzione dei controlli alle frontiere interne dell’area Schengen sembra in numerosi casi una decisione fatta per contrastare i flussi migratori, più che per vera minaccia alla sicurezza interna. Anche queste misure, in particolare in seguito alle decisioni dell’ultimo periodi degli 8 Paesi facenti parte dell’area Schengen, si inseriscono all’interno della direzione presa dall’Europa in tema migratorio, sottolineando la sempre più marcata chiusura del territorio europeo creando anche nella narrativa politica una criminalizzazione dei flussi migratori.

Arianna Locatelli

Exit mobile version