Il “re delle scommesse” torna libero, ma non in Sicilia. Così la Corte d’Appello di Palermo ha recentemente applicato nuove misure cautelari per la scarcerazione di Giuseppe Corona, considerato un importante esponente di Cosa Nostra. A seguito della scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, la procura generale ha richiesto un provvedimento che vieta al presunto boss di risiedere in Sicilia e impone restrizioni come l’obbligo di firma e di permanenza in casa nelle ore notturne. Corona, noto come il “re delle scommesse” per il suo presunto coinvolgimento in attività mafiose legate a centri scommesse e compro oro, era stato condannato in Appello a 15 anni e due mesi per riciclaggio e intestazione fittizia di beni.
Scarcerazione di Giuseppe Corona per decorrenza dei termini: una scarcerazione controversa dal 41bis
La scarcerazione di Giuseppe Corona, dovuta al decorso dei sei anni di custodia cautelare, ha suscitato polemiche, soprattutto tra esponenti politici come il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e la presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo. Questi ultimi hanno espresso preoccupazione, sostenendo che la scarcerazione del boss mafioso metta a rischio i risultati ottenuti finora nella lotta contro la mafia. Il rilascio è stato infatti richiesto dai legali di Corona, a causa del ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza, risalente allo scorso marzo.
Ad occuparsene è stata la Corte d’Appello di Palermo che, su richiesta della Procura Generale, ha però emesso un divieto di dimora in Sicilia per Giuseppe Corona, con l’obbligo di permanenza nella sua abitazione durante gli orari notturni, oltre all’obbligo di presentare l’intera documentazione della sua futura dimora.
Un percorso di ascesa criminale e imprenditoriale
Corona, impiegato come cassiere in una caffetteria, si è rivelato secondo gli investigatori un personaggio chiave negli affari di Cosa Nostra, in particolare per le famiglie mafiose di Porta Nuova e Resuttana. La sua carriera imprenditoriale e il presunto ruolo di intermediazione tra diverse cosche erano emersi già nel 2018 con l’operazione “Delirio” della Guardia di Finanza, che ne aveva evidenziato i legami con investimenti finanziari a favore delle cosche palermitane.
Nel 2018, Corona fu arrestato proprio con l’accusa di associazione mafiosa e successivamente condannato a 15 anni e due mesi di reclusione nel regime di 41bis nel carcere di Milano Opera. A seguito di un’istanza dei suoi legali, la scarcerazione di Giuseppe Corona è avvenuta per “decorrenza dei termini della custodia cautelare”. La Corte D’appello ha così accolto la richiesta degli avvocati di Corona, Giovanni La Bua e Antonio Turrisi, e ha proceduto con la scarcerazione fino alla conclusione del processo. Trascorsi sei anni dall’arresto, Giuseppe Corona, secondo gli inquirenti, è profondamente e pericolosamente coinvolto in una “fitta rete di contatti e amicizie, oltre che ambiti della società civile”.
Il parere della Procura e la prossima tappa in Cassazione
La Procura Generale di Palermo, guidata da Lia Sava, ha sottolineato come la scarcerazione non cancelli la necessità di misure severe per prevenire rischi di pericolosità sociale. In attesa dell’esito del ricorso in Cassazione, si mantiene alta l’attenzione sul caso di Corona, considerato dagli inquirenti come un boss in ascesa e un simbolo delle moderne dinamiche mafiose, basate su investimenti in attività imprenditoriali legali.
Le polemiche per la scarcerazione di Giuseppe Corona dal 41bis non arrivano però come un fulmine a ciel sereno: quella di oggi non è la prima scarcerazione dal regime di carcere duro che si vede negli ultimi mesi. Come il boss di Resuttana, ci sono stati altri condannati che sono tornati liberi e che potrebbero, con alte probabilità, rientrare nella nuova rete mafiosa. Pochi giorni fa è avvenuta infatti la liberazione di una decina di boss di area trapanese che facevano riferimento alla cosca di Matteo Messina Denaro.
Lucrezia Agliani