Scappava dal regime iraniano, arrestata in Turchia l’attivista Nasibe Semsai

Nasibe Semsai

La protesta femminista contro il regime teocratico iraniano ha il volto sorridente di donne fiere, lo sguardo severo e profondo, la determinazione di chi non ha paura di far sentire la propria voce e sfida l’autorità. È il caso di Nasibe Semsai, attivista anti hijab arrestata in Turchia mentre cercava di raggiungere la Spagna.



L’arresto di Nasibe Semsai

Per Nasibe Semsai la libertà non era più solo un sogno lontano. Le sarebbe bastato allungare una mano per poterla quasi sfiorare. Quasi. Perché Nasibe Semsai, 36 anni, è stata arrestata la scorsa settimana all’aeroporto di Istanbul mentre cercava di imbarcarsi su un volo per la Spagna. Secondo le autorità turche viaggiava con un passaporto falso. Ora si trova in un centro per migranti irregolari nella località di Edirne, e rischia l’estradizione.

L’attivista per i diritti delle donne, architetto e nota alpinista iraniana, non si era tirata indietro quando, nel 2018, il movimento femminista contro l’hijab era sceso in piazza, manifestando coraggiosamente contro l’oppressione del regime di Teheran. A causa della sua protesta era stata condannata a sei mesi di carcere in isolamento. Successivamente la corte suprema l’aveva dichiarata colpevole di “propaganda contro il sistema” e “incitamento alla corruzione e alla prostituzione”, imponendole una pena di 12 anni di reclusione. Nasibe Semsai aveva allora deciso di scappare dall’Iran, inseguendo il sogno della libertà. Ma in Turchia è caduta vittima del governo di Erdogan.

La Turchia sta infatti mostrando un’allarmante tendenza a espellere i dissidenti, nonostante il diritto internazionale che proibisce di deportare individui in paesi in cui devono affrontare persecuzioni e torture. Con i 33 iraniani che sono già stati rimpatriati cresce la preoccupazione per la vita dei rifugiati nel paese, che potrebbero essere utilizzati per avviare dei negoziati tra Ankara e Teheran. L’Unione Europea non può rimanere indifferente e deve utilizzare tutti gli strumenti in suo potere per fare pressioni sulla Turchia. È questo il messaggio alla base dell’interrogazione presentata all’Alto Rappresentate Borrell dall’europarlamentare della Lega Marco Campomenosi, componente della delegazione UE-Iran. L’UE deve prendere provvedimenti contro Erdogan “che guida un regime lautamente sovvenzionato dall’UE” e agire prontamente contro queste violazioni dei diritti umani.



Mercoledì bianchi

Nasibe Semsai è una delle promotrici del movimento White Wednesdays, i mercoledì bianchi, che incita le donne a non indossare il velo o a utilizzarne uno bianco da sventolare con coraggio contro il regime iraniano. Una campagna cui hanno preso parte migliaia di donne, ma anche uomini e donne che invece scelgono di indossare l’hijab. Perché la protesta non è solo contro l’obbligo di portare il velo, ma è anche una lotta per i diritti della donna, per la libertà di scegliere, per la dignità. Mostrarsi col capo scoperto diventa quindi un atto di autodeterminazione, e una sfida contro il patriarcato che in Iran opprime 40 milioni di donne e ragazze.

Il velo è obbligatorio nel paese dalla rivoluzione del 1979. Da quando l’ayatollah Khomeyni instaurò il suo regime teocratico, maschilista e repressivo che obbliga la donna a rispettare un codice morale degradante che passa anche attraverso l’abbigliamento. Costrette a portare il velo e indossare abiti che le coprono da capo a piedi, le donne iraniane sono costantemente e scrupolosamente esaminate da agenti della polizia e da vigilanti del governo che si sentono in dovere difendere i valori della repubblica islamica e di aggredire le donne che, secondo il loro giudizio, non rispettano la legge. Le donne che si rifiutano di indossare l’hijab e che manifestano contro questa ingiustizia oltraggiosa mettono a repentaglio la loro sicurezza: arresti, detenzioni arbitrarie, torture, fustigazioni.

“La criminalizzazione di donne e ragazze per non aver indossato il velo è una forma estrema di discriminazione di genere e di trattamenti crudeli, inumani e degradanti, che danneggiano profondamente la dignità delle donne”, sostiene Magdalena Mughrabi, vicedirettrice per il Medio Oriente e il Nord Africa presso Amnesty International.

Donne iraniane, anime coraggiose

Nasibe Semsai è solo l’ultima di una lunga lista di anime coraggiose che hanno lottato per i diritti della donna e che stanno pagando per questa loro protesta.

Nasrin Sotoudeh, avvocato per i diritti umani, condannata a 38 anni e sei mesi di carcere e 148 frustate. Yasaman Aryani, sua madre, Monireh Arabshahi, e Mojgan Keshvarz, arrestate per aver diffuso un video in cui, col capo scoperto, camminano sulla metropolitana della capitale distribuendo fiori ai passeggeri donna. Vida Movahedi, colpevole di aver manifestato in silenzio, rimanendo in piedi, da sola, nel centro della piazza di Enghelab a Teheran, senza indossare l’hijab. Saba Kord Afshari, di solo 20 anni, condannata a 24 anni di carcere.

Ma il coraggio delle donne iraniane è infinito, e la loro lotta pacifica per un futuro libero non si ferma. Sono donne forti, schiette, determinate, non hanno paura delle frustate, non temono il carcere e le torture. Sono madri, figlie, sorelle decise a non accettare l’affronto della legge iraniana, che le vuole sottomesse, mute, nascoste dietro un velo, dei fantasmi senza dignità. La loro lotta va ammirata, supportata e rispettata.

Camilla Aldini

Exit mobile version