Petrolio e tangenti per un giacimento al largo della Nigeria. Scandalo finanziario che coinvolge l’Italia con Eni

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Eni: petrolio e tangenti in Nigeria

In Nigeria e in Italia gli inquirenti sono impegnati sul chiarire le modalità e i protagonisti della frode e della corruzione internazionale. La vicenda è legata all’acquisizione, da parte delle multinazionali petrolifere Eni e Shell, del blocco di petrolio OPL 245 al largo delle coste nigeriane.  Questione finita sotto indagine in Italia, Nigeria, Stati Uniti e Olanda. L’Eni nega ogni coinvolgimento.

Il grande giacimento di petrolio al largo della Nigeria, noto con la sigla OPL245, è al centro di uno scandalo finanziario, che si svolge tra il paese africano, il Regno Unito, i Paesi Bassi e ormai anche l’Italia. Il giacimento, si trova al limite meridionale del delta del fiume Niger. In mare:  tra i 1.700 e i duemila metri di profondità.  Racchiude circa nove miliardi di barili di petrolio greggio, abbastanza da farne il più grande giacimento noto in Africa.

Lo scandalo emerge nel 2012 quando due intermediari d’affari che avevano lavorato per la Malabu, un nigeriano e un russo, si sono rivolti, separatamente, a due tribunali di arbitrato a Londra.

Sin dalla sua pima assegnazione, nel 1998, è stato oggetto di diverse dispute giudiziarie internazionali che hanno coinvolto Shell, la Nigeria, Malabu ed Eni. Dan Etete, in quegli anni ministro del petrolio nigeriano, diede il blocco OPL245 in concessione alla Malabu Oil & Gas. Il giacimento venne assegnato in modo fraudolento alla società Malabu. Un’impresa, secondo i giudici dell’High Court di Londra, riconducibile al Ministro del petrolio nigeriano Dan Etete e all’allora presidente della Nigeria Abacha. In seguito il presidente Goodluck Jonathan, successore del Generale Sani Abacha,  fece presente della questione scandalosa e tolse la concessione alla Malabu.

Nel 2007 Dan Etete viene condannato in Francia per riciclaggio di denaro. Fu coinvolto nello scandalo “Bonny Island” per il quale ENI patteggiò, con le autorità americane, il pagamento di oltre 350 milioni di dollari. Per aver raggirato le norme anti-corruzione nella realizzazione di impianti per la liquefazione di gas naturale.

Il blocco petrolifero offshore ceduto nel 2011 all’italiana Eni e l’anglo-olandese Shell –  concessione dell’intero blocco – in cambio di un pagamento di 1,1 miliardi di dollari. Di fatto trasferiti alla Malabu invece che allo stato nigeriano che avrebbe agito solo da tramite per Etete e i suoi fedelissimi. La questione, ritenuta come uno dei casi di corruzione internazionale più grande della storia. Oltre che per la cifra  anche per le clamorose mosse del governo nigeriano. Dan Etete ex Ministro e tra gli uomini del dittatore Sani Abacha (al potere dal 1993 al 1998) è indagato per frode dalle autorità nigeriane. Indagate, con l’accusa di concorso in corruzione internazionale, anche Eni e Shell.

Shell ed Eni sono sotto inchiesta da parte dell’Ufficio della Procura della Repubblica di Milano. 

Oggi l’ENI, la più grande impresa italiana fondata Enrico Mattei  indagata per corruzione internazionale. Si ritiene che abbia acquistato la concessione OPL 245 per 1,1 miliardi di dollari sapendo che il denaro sarebbe finito nelle casse di Malabu. E non in quelle dello stato nigeriano, come stabilisce la normativa dello stesso Paese. Il tutto utilizzando faccendieri, mediatori, lobbisti sempre pronti se si tratta di mettere le mani su gruzzoli considerevoli. Tra gli indagati, in Italia, ci sono l’ex dell’Eni Paolo Scaroni e l’attuale capo azienda Claudio Descalzi. Shell ed Eni hanno sempre negato di sapere che il denaro versato sarebbe andato a Malabu. Al contrario di quanto si evince dai documenti visionati da Global Witness. Dimostrano che le aziende avevano strutturato l’affare in modo che i soldi arrivassero in ultima istanza alla Malabu.

Eni non è mai stata coinvolta” ha spiegato Marcegaglia, rispondendo alle numerose domande su questo argomento

Marcegaglia spiega: Eni non è mai stata coinvolta nella vicenda della Nigeia. Non si è avvalsa di alcun intermediario, nè di Bisignnani nè di altri. “Nessun accordo è stato fatto da Eni con Malabu e nessun pagamento da Eni a Malabu o a Etete”. Tutto è stato concluso con il governo nigeriano e si ribadisce che Eni non paga alcuna tangente, in accordo al principio di zero tollerance. A febbraio la procura di Milano, nell’ambito delle presunte tangenti in Nigeria, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione internazionale nei confronti dei due. Della stessa Eni, di Shell e di altre nove persone. Il 20 aprile 2017 ci sarà l’udienza preliminare. Stabilirà il rinvio a giudizio o meno dei manager dell’Eni, compreso l’attuale amministratore delegato Claudio Descalzi, per il caso OPL 245.

Le dichiarazioni della Shell smentiscono Eni.

La Shell ammette, che prima della firma del contratto era a conoscenza che una parte del denaro versato sarebbe andato alla società Malabu. Probabilmente il cambio di linea è stato forzato dal rapporto di Global Witness e Finance Uncovered. Nel rapporto sono riportati varie intercettazioni, ed E-mail confidenziali, scambiate tra i vertici  delle due aziende. Viene diffuso un dossier con alcune E-mail sequestrate dagli inquirenti olandesi nel febbraio 2016, durante una perquisizione a sorpresa nel quartier generale della Shell all’Aja. Quei messaggi, periodo 2008-2010, rendono molto difficile per la società sostenere che i suoi dirigenti non sapevano con chi avevano a che fare. E che i soldi versati, per la concessione Opl 245, sarebbero finiti alla Malabu.

La trasmissione di Rai3, Report, andata in onda il 10 aprile ha trasmesso un servizio di approfondimento sulla vicenda delle presunte tangenti. Report, già nel 2015 si era occupata dell’inchiesta. Secondo quanto raccontato nella puntata di Report anche Eni era a conoscenza di quanto riconosce Shell. Report ha sostenuto di essere entrato in possesso anche di un documento confidenziale dell’intelligence estera inglese. Dove si sostiene che la trattativa in Nigeria di Eni sarebbe frutto di un accordo tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Sostiene anche che circa 50 milioni di euro siano tornati a disposizione di Scaroni, che li avrebbe usati per pagare i funzionari e le autorità che avevano facilitato la trattativa.

Eni risponde, alle accuse di Report, attraverso Twitter.

Eni ha spiegato che il «pagamento eseguito da Eni e Shell al Governo, per la cessione del giacimento di petrolio, è stato fatto su un conto corrente vincolato del governo. In banca internazionale». Precisando di essere «estranei ai flussi finanziari successivi al pagamento al Governo nigeriano per assegnazione licenza».

Altra accusa, dall’inchiesta di Report,  riguarda il salvataggio dell’Unità, nel 2014. Un presunto accordo da parte del costruttore Pessina in cambio di appalti in Kazakistan. Che una società del gruppo Pessina avrebbe ottenuto da un consorzio controllato sempre da Shell ed Eni.

 

Felicia Bruscino

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