In questi giorni la polemica attorno al mondo delle cheerleader sembra non essersi ancora placata. Dopo lo spiacevole caso di Bailey Davis, ragazza pon-pon dei New Orleans Saint, licenziata in tronco per aver postato su Instagram una sua foto in lingerie violando i severi codici di comportamento, si sono accesi i riflettori sulla questione di sicurezza sul lavoro.
Molte cheerleader hanno iniziato ad esprimere la propria opinione o a raccontare la propria esperienza.
“Quando ti presenti in certi contesti con una minigonna e un reggiseno push-up, sembra che certi atteggiamenti facciano parte del gioco. Non sono mi sono mai trovata in situazioni spiacevoli con membri dello staff o giocatori, ma il rischio c’è quando stai a contatto con i tifosi che si sono scolati diverse birre. Ricordo che una volta una persona mi guardò e urlò che sperava che venissi violentata. Io rimasi ferma immobile a pensare se ricevere simili insulti facesse parte del lavoro.”
Il caso dei Washington Redskins
Alcune cheerleader appartenenti ai Washington Redskins hanno rivelato al New York Times tutto ciò che il club ha obbligato loro di fare: posare in topless davanti ai dirigenti e proprietari, intrattenere i tifosi più facoltosi e fare da escort. Il caso però più eclatante si è verificato in Costa Rica quando il gruppo di ragazze pon-pon ha alloggiato al resort Occidental Gran Papagayo riservato esclusivamente agli adulti. Un volta arrivate là a queste 36 giovani è stato sequestrato il passaporto e sono state obbligate ad intrattenere i dirigenti e tifosi accompagnandoli anche nei nightclub.
“Semplicemente non è giusto spedire le cheerleader per una serata con questi strani uomini, specie quando alcune ragazze non volevano andare. Sfortunatamente temo che queste cose non cambieranno fino a quando non succederà qualcosa di terribile, come un’aggressione o uno stupro. Si inizierà a fare attenzione solo quando sarà troppo tardi. Non è ce ci stessero puntando la pistola alla testa, però era obbligatorio andarci. Non ce l’hanno chiesto, ce l’hanno detto.”
A dare l’ordine è stata la direttrice e coreografa Stephanie Jojokian che però ha negato tutto. Il New York Times ha inoltre ribadito che da questa traumatica esperienza le cheerleader coinvolte non hanno ricevuto alcun compenso ed è un’abitudine ormai consolidata tra le diverse squadre organizzare sessioni di foto e serate nei nightclub all’estero.
I Codici di Comportamento
“Il problema è che ci insegnano a non rispondere mai male ad un tifoso, ci dicono che se siamo lì è anche merito loro. Dobbiamo essere dolci e accondiscendenti, al massimo possiamo replicare con un “non è molto carino quello che fai e dici”. Ci ricordano spesso che abbiamo la possibilità di usare il linguaggio del corpo per scoraggiare eventuali comportamenti spiacevoli. In realtà dovremmo chiamare la sicurezza per farci togliere dai paraggi chi ci infastidisce.”
I manuali di comportamento forniscono scarse informazioni riguardanti alla gestione di molestie e palpeggiamenti. Nessuna può assolutamente disobbedire agli ordini della squadra e non possono quindi opporsi quando vengono inviate nei parcheggi degli stadi, nei pub o alle feste di paese per pubblicizzare il club senza la minima sicurezza.
“Una volta ci mandarono addirittura a casa di un privato dove trovammo sette uomini che bevevano e guardavano la partita. Ci chiesero subito chi era single e chi impegnata. Fu un’esperienza terribile, mi sentivo davvero a disagio. Nessuno ci ha chiesto di fare sesso, ma l’ho sentito comunque come un abuso. Immagino che il club abbia chiesto a questi uomini quante ragazze volessero e se preferivano che ballassimo. Io mi sono sentita trattata da escort.”
Silvia Barbieri