Il Governo Meloni ha finalmente sbloccato la possibilità di accedere al reddito di libertà, una misura economica finanziata dallo Stato che sostiene le donne vittime di violenza maschile. Il reddito di libertà è stato introdotto nel dicembre 2020, per sostenere le donne nella costruzione di una propria vita autonoma, sia a livello sociale che, sopratutto, a livello economico. Per ottenere il bonus economico, bisognerà presentare la domanda entro il 31 dicembre.
Un aiuto per donne vittime di violenza
Dopo quasi un anno di blocco, il Reddito di Libertà torna finalmente operativo. Questo strumento, istituito nel 2020 durante il secondo governo Conte, offre un contributo economico di 500 euro al mese alle donne vittime di violenza, in condizioni di difficoltà economica, seguite da centri antiviolenza.
Nonostante il rifinanziamento deciso dal governo Meloni con 10 milioni di euro annui per il triennio 2024-2026, il mancato decreto attuativo ha impedito fino ad oggi l’erogazione dei fondi. Ora, grazie alla firma dei ministri Roccella delle Pari opportunità, Calderone del Lavoro e Giorgetti dell’Economia, il decreto è pronto per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il sostegno economico alle donne vittime di violenza maschile è presentato in collaborazione con i centri antiviolenza e i Comuni italiani. Il problema però, nonché nocciolo della questione, è che fino a poche ore fa, il Reddito di Libertà ha subito un blocco di oltre dieci mesi. Ancora oggi, nonostante sia stato firmato, è ancora in attesa di pubblicazione.
Cosa prevede il decreto?
Il decreto stabilisce la ripartizione dei fondi tra le regioni in base alla popolazione femminile di età compresa tra i 18 e i 67 anni. Le domande saranno gestite dall’INPS, mentre le regioni potranno integrare i fondi statali con risorse proprie, come già fatto da Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia.
Il reddito di libertà è disponibile per un massimo di 12 mesi, non rinnovabili, e può essere richiesto una sola volta. Le domande dovranno essere corredate da autocertificazioni e dichiarazioni dei centri antiviolenza e dei servizi sociali, che attestino il percorso di uscita dalla violenza e l’urgenza del sostegno economico.
Un anno senza fondi: i disagi
Il blocco del 2024 ha generato gravi conseguenze. Le risorse stanziate si sono esaurite rapidamente, lasciando molte donne senza aiuti. Come denuncia Antonella Veltri, presidente della rete antiviolenza D.i.Re, il ritardo ha compromesso i progetti di vita di molte beneficiarie: ha denunciato infatti come molte donne sono in attesa già dall’inizio del 2024 e hanno avuto grandi difficoltà nella gestione della propria vita.
Molte di loro, costrette a ripresentare domanda, si trovano ora ad affrontare procedure burocratiche lente e complesse, che potrebbero compromettere ulteriormente la fiducia nelle istituzioni.
Come ripresentare le domande respinte
Per chi aveva presentato domanda nel 2024, ma non ha ricevuto il contributo a causa della mancanza di fondi, il decreto offre una priorità per i primi 45 giorni dalla sua pubblicazione. Superato questo termine, le richieste non avranno più corsie preferenziali. È necessario recarsi presso i centri antiviolenza per aggiornare la documentazione, che deve poi essere inoltrata ai comuni e infine all’INPS. Un iter che richiede rapidità da parte di amministrazioni locali non sempre efficienti.
Le sfide di un sistema a sportello
La modalità di erogazione “a sportello” rappresenta una criticità: i fondi sono limitati e assegnati in base all’ordine di presentazione delle richieste.
I numeri parlano chiaro: dall’introduzione del Reddito di Libertà, solo 2.772 domande su 6.489 sono state accolte, stanziando circa 13 milioni di euro. Una cifra ben lontana dal rispondere alle esigenze delle oltre 50.000 donne che si rivolgono annualmente ai centri antiviolenza.
Nonostante l’aumento del contributo da 400 a 500 euro al mese, il Reddito di Libertà resta accessibile a una platea limitata. Con il nuovo stanziamento, si stima che solo 1.660 donne potranno beneficiarne nel 2024, un numero irrisorio rispetto alla domanda effettiva. Come sottolinea Zanni, il ritardo nell’implementazione di misure come questa rappresenta un ostacolo al percorso di emancipazione delle donne, spesso vincolate economicamente a uomini violenti.
Il futuro del Reddito di Libertà: il problema a priori
Con un fondo di 30 milioni di euro per il triennio 2024-2026 e ulteriori 6 milioni annui previsti dal 2027, il Reddito di Libertà rappresenta un segnale di impegno istituzionale. Per essere davvero efficace, occorre un miglioramento della gestione burocratica e una maggiore attenzione alle esigenze delle donne. La speranza è che i prossimi interventi possano garantire un accesso più equo e tempestivo a questo fondamentale strumento di supporto.
Da anni ormai è sempre più tangibile la negligenza delle istituzioni, parte di un sistema oppressivo che altro non fa che aumentare la violenza di genere. Dai mancati finanziamenti alle esternazioni maschiliste e sessiste degli uomini al governo: ogni giorno una donna viene molestata, abusata o uccisa davanti gli occhi inermi di uno Stato che non esiste per loro.
Il sistema patriarcale e l’ignoranza nei confronti delle questioni di genere si riescono a vedere chiaramente, a partire dai ritardi del Reddito di Libertà. Sempre meno fondi vengono investiti nei e per i centri antiviolenza, un punto di riferimento fondamentale per le donne in fuga da partner violenti; allo stesso modo, il Governo dimostra sempre meno interesse, sociale ed economico, nei confronti dei consultori, luoghi fondamentali e necessari per il diritto all’aborto e all’autodeterminazione dei corpi delle donne.
La scelta è sempre stata quella di investire in campagne propagandistiche di un femminismo liberale e pink-washing, fino ad arrivare ai finanziamenti e la protezione dei centri pro-vita. Queste decisioni politiche governative, insieme ad un imbarazzante rallentamento delle procedure burocratiche per il reddito di libertà, altro non fanno che minare sempre di più la sicurezza e la lotta delle donne nella società, mettendo a rischio anche la stessa libertà di manifestare contro un governo che non rappresenta la lotta alla violenza di genere.