Nel 2012 Sara Rogel Garcia, una ventenne di El Salvador, era stata condannata a 30 anni di prigione per aver subito un aborto spontaneo. A causa di una caduta accidentale quando era incinta di otto mesi, aveva sbattuto violentemente a terra entrando in uno stato di incoscienza: il colpo è risultato fatale per il bambino che, poco dopo, è nato morto. Sara si è svegliata a tragedia avvenuta, ammanettata al letto dell’ospedale e, appena quattro giorni dopo l’incidente e la perdita del proprio bambino, è stata scortata in prigione.
Poco più di un mese fa, dopo 9 anni di carcere, Sara Rogel Garcia ha finalmente riottenuto la propria libertà grazie ad una riduzione di pena a 10 anni ed è riuscita a riunirsi ai famigliari e agli amici che, durante questo lungo incubo, sono sempre rimasti al suo fianco. Sara è tornata libera ma, dietro di lei, ancora in cella, ha lasciato molte altre donne conosciute durante la detenzione, condannate come lei per omicidio aggravato a seguito di un aborto, anche spontaneo, o dopo aver partorito un neonato morto.
Le leggi di El Salvador sull’aborto
El Salvador è uno tra i 26 stati nel mondo che proibiscono e condannano l’aborto in tutte le sue forme e sotto ogni circostanza, incluse quelle in cui la vita della donna stessa o la sua salute siano fortemente a rischio, inclusi anche lo stupro e l’incesto. Abortire ad El Salvador è un crimine, in qualsiasi caso, e sono perseguibili anche le azioni mediche e ostetriche che possono condurre alla morte del feto. Il clima che si è venuto a creare nel paese negli ultimi decenni a causa di questa legge ha fatto sì che a molte donne sia stata perfino negata assistenza medica in caso di gravi complicanze durante una gravidanza per timore delle ripercussioni legali: chiunque aiuti o sostenga un processo di aborto, dal personale medico ai famigliari, rischia la reclusione dai 6 ai 12 anni e la radiazione dall’albo professionale.
Studi e ricerche hanno confermato che le leggi contro l’aborto non impediscono alle donne di tutto il mondo di interrompere gravidanze indesiderate ma, piuttosto, aumentano la mortalità materna, dal momento che esse sono costrette a rivolgersi a strutture clandestine e a personale non qualificato. Negli ultimi anni migliaia di donne salvadoregne sono morte nel tentativo di interrompere una gravidanza, centinaia di donne sono state ingiustamente condannate al carcere per aborto, con pene dai 2 agli 8 anni, o per omicidio aggravato, con pene fino a 50 anni.
Secondo il gruppo per la campagna pro-choice Agrupación Ciudadana, al momento altre 16 donne si trovano in carcere nel paese con le stesse accuse mosse a Sara Rogel. Come nel caso di Sara, negli ultimi anni diverse sentenze sono state annullate o le pene sono state ridotte, dando il via ad un processo di contrasto della criminalizzazione dell’aborto a livello nazionale e internazionale. Nel 2020, Cindy Erazo è stata rilasciata dopo sei anni di carcere a seguito dell’accusa di aborto e della condanna a 30 anni di carcere per omicidio aggravato dopo un’emergenza ostetrica. Nel 2019, Evelyn Beatríz Hernández Cruz, anche lei condannata a 30 anni di carcere dopo che il suo bambino è stato trovato morto nella toilette dove l’aveva partorito prima di svenire, è stata rilasciata dopo quasi tre anni di carcere.
Nonostante questi piccolissimi passi avanti per i diritti delle donne, l’aborto ad El Salvador non è ancora stato depenalizzato. Nell’ottobre del 2020 la Commissione Interamericana per i diritti umani ha presentato alla Corte interamericana il caso di Manuela, una donna condannata per omicidio in seguito a un aborto spontaneo, morta di cancro in carcere: la speranza è che la Corte ordini a El Salvador di annullare le sentenze contro le donne accusate e incarcerate, e di riformare il suo Diritto Penale al fine di conformarsi alla Convenzione americana dei diritti umani.
Il diritto all’aborto nel mondo
Lo stato delle leggi sull’aborto nel mondo, nonostante il fatto che negli ultimi anni siano stati fatti numerosi passi avanti per la sua depenalizzazione e il riconoscimento della libertà di scelta, mostra ancora una situazione preoccupante. I diversi paesi del pianeta possono essere divisi in cinque categorie differenti a seconda del loro quadro legale sull’aborto: proibito in toto (26 paesi), consentito solo per salvare la vita della donna (39 paesi), consentito solo per ragioni mediche e di salute (56 paesi), giustificato sulla base dei background sociale ed economico della donna (14 paesi), consentito sotto ogni circostanza con limite gestazionale variabile (67 paesi).
Le donne in età fertile che abitano nei 26 paesi che proibiscono e condannano l’aborto in toto sono oltre 90 milioni, il che significa che circa il 5% della popolazione femminile mondiale non ha possibilità di scegliere liberamente rispetto ad una propria gravidanza e rischia, come capitato a Sara Rogel Garcia, di passare anni in carcere perfino a causa di un aborto spontaneo. Anche laddove depenalizzato, ad altri 360 milioni di donne è consentito abortire solo in caso di rischio di vita, a 240 milioni solo in caso di comprovati problemi di salute, a 380 milioni solo se sono in grado di provare che non possono permettersi di crescere un figlio. Le percentuali parlano chiaro: solo il 36% delle donne del mondo, circa 590 milioni, vive in paesi che consentono di portare a termine una gravidanza indesiderata senza condizioni entro i limiti gestazionali stabiliti. Circa un terzo delle donne nel mondo è libero, almeno su carta, di scegliere cosa fare con il proprio corpo, nonostante il fatto che, anche in questi contesti, il diritto all’aborto venga troppo spesso ostracizzato e ostacolato.
Il caso di Sara Rogel Garcia è un emblema di come la parità di genere, il diritto alla salute, il riconoscimento della libertà di scelta siano obbiettivi ancora molto lontani in gran parte del mondo. Finché anche ad una sola donna sulla faccia del pianeta verrà negata la possibilità di scegliere autonomamente cosa fare con il proprio corpo, finché anche solo una donna verrà incarcerata ingiustamente per aver abortito o per aver perso il proprio bambino, la pressione e la lotta portate avanti dai gruppi di difesa dei diritti umani e dai gruppi femministi non potrà far altro che crescere.
Marta Renno