Il recente fuoco di sanzioni reciproche tra Potenze accelera la definizione di due blocchi contrapposti
Negli ultimi giorni, il livello di contrapposizione tra la Cina e gli alleati degli Stati Uniti si è andato esacerbando. In pochi giorni sono state imposte una serie di sanzioni reciproche su diversi funzionari e rappresentanti.
L’iniziativa europea è stata la miccia cui si è aggiunta subito dopo quella di Regno Unito Canada e USA. Le contro-sanzioni cinesi si sono scagliate prima verso l’Unione Europea e poi nei confronti di cittadini britannici. Non è detto che siano le ultime.
Una serie di recriminazioni e convocazioni di ambasciatori hanno condito il tutto. La Cina considera le sanzioni un’ingerenza indebita, mentre molti esponenti dell’Unione – tra cui il presidente del Parlamento David Sassoli – hanno giudicato le contro-sanzioni di Pechino incomprensibili e inaccettabili.
La miccia che ha fatto detonare la bomba
La miccia si è accesa contro alcuni dirigenti cinesi considerati colpevoli della repressione degli uiguri. Quella del popolo turcico-musulmano nello Xinjiang è una assimilazione forzata che dura da anni se non da decenni. Periodicamente risalta nelle cronache occidentali quando c’è aria di conflitto con Pechino.
Sanzioni europee contro la Cina sono un evento epocale: le ultime erano state comminate per la repressione di piazza Tienanmen nel 1989. Da allora il Dragone ha mantenuto un profilo basso puntando però sempre allo sviluppo. Così nasce la teoria della ascesa pacifica, proprio all’entrata del nuovo millennio, contro l’immagine avversa della minaccia cinese.
Stati Uniti, Canada e Regno Unito si accodano
Appena il giorno successivo le sanzioni europee, si sono accodate quelle statunitensi canadesi e inglesi – del tutto simili. Secondo analisti autorevoli le prime avrebbero sfruttato il fuso orario per giungere in anticipo e ostentare una finta autonomia.
In verità di autonomo c’è poco, dato che le misure fanno riferimento esplicito al Magnitsky Act. Si tratta di una legge statunitense che nel 2012 inflisse sanzioni alla Russia per la repressione di un dissidente politico, e sulla cui falsariga l’UE ha definito la norma quadro omonima per le violazioni dei diritti umani.
La reazione della Russia che si allontana
Proprio Mosca reagisce per bocca del Ministro degli Esteri. Sergej Lavrov denuncia come il comportamento di Bruxelles abbia nel tempo azzerato i rapporti tra l’Europa e la Russia, che ha ora molte più relazioni con l’Est che con l’Ovest. È significativo un sondaggio da poco pubblicato, secondo cui solo il 29% dei russi si sentirebbe europeo, contro il 52% del 2008.
Dopo l’allargamento della NATO a Est è noto che la Russia si sente accerchiata. Nel 2014 reagì al voltafaccia dell’Ucraina annettendosi la Crimea. L’azione fu sanzionata dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Negli ultimi mesi le autorità crimee hanno lamentato manovre ai confini. Il Segretario Generale della NATO Stoltenberg ha manifestato la necessità di aumentare la pressione sulla Crimea e sul Mar Nero.
Più di recente la crisi bielorussa e il caso Navalny hanno segnato ulteriore conflittualità. A rimetterci è la salute degli europei, perché le resistenze all’acquisizione del vaccino Sputnik nascono proprio da qui. Nondimeno lo Sputnik è già in uso in Ungheria, Slovacchia, Serbia, San Marino.
Ora anche le relazioni sino-europee sono in crisi grazie alla pioggia di sanzioni reciproche. A dicembre gli scambi con Pechino avevano superato quelli con gli Stati Uniti. Poco dopo, un importante accordo commerciale – il CAI – aveva sanzionato questo attivismo aprendo la strada agli investimenti europei in Cina. La Nuova Via della Seta è un altro passaggio fondamentale di questa ritrovata cooperazione, possibile solo finché a Washington guardavano da un’altra parte.
La rinnovata alleanza euro-americana
Per capire la crisi innescata bisogna allora guardare al nuovo inquilino della Casa Bianca, che ieri sera ha partecipato al Consiglio Europeo. Qualcosa di simile era avvenuta solo con Obama nel 2009 ma in una forma più defilata.
Il Presidente del Consiglio Charles Michel ha dato risalto alla rinnovata alleanza tra democrazie, annunciata da Joe Biden nella conferenza stampa tenutasi poco prima alla Casa Bianca. Biden ha di nuovo girato il coltello nella piaga dolente dei diritti umani. Ha poi aggiunto che non consentirà che la Cina diventi la Potenza leader del mondo, perché gli Stati Uniti continueranno a crescere e a espandersi.
Divergenze tra le due sponde dell’Atlantico
Alla Casa Bianca non piace neanche il gasdotto Nord Stream 2 in costruzione tra Russia e Germania. Berlino finora ha nicchiato ma Washington no. Sono già previste dalla legge americana sanzioni verso le imprese che vi partecipano. Allo stesso modo, come ricorda il diplomatico francese Pierre Vimont, le sanzioni americane verso Teheran hanno penalizzato imprese europee come Renault e Total.
All’interno dell’Unione Europea le posizioni sulle relazioni da tenere con Washington divergono. La Francia, che per lungo tempo è stata fuori della NATO, tende ad avere una linea “indipendentista”. Lo ha ribadito il presidente Macron qualche mese fa, rilanciando la proposta di una strategia comune indipendente proiettata sull’Africa ma non contrapposta né a Washington né a Pechino.
L’amministrazione Clinton nel 1998 frustrò un tentativo indipendentista europeo dopo la Dichiarazione di Saint Malo. Del resto ormai la Francia sembra essere solitaria in questa rivendicazione. È evidente che Biden voglia l’Europa di nuovo con sé e nessuno – tantomeno la Germania – sembra interessato a smentirlo. L’epoca del disimpegno trumpiano è finita.
L’Italia e i due nuovi blocchi
Questa nuova linea a suon di sanzioni reciproche è salutata anche dall’Italia. In seguito ai recenti contrasti la Farnesina ha convocato l’ambasciatore cinese per chiarimenti. Sono lontani i tempi in cui Roma si asteneva in seno al Consiglio Europeo sulle sanzioni da infliggere al Venezuela.
Del resto la politica estera con un ministro così debole è gestita di fatto dal Presidente del Consiglio. La separazione tra Est e Ovest sembra accentuarsi. L’egemone è però sempre l’America, cui rimane la primazia militare nonostante l’espansione economica dell’ex Impero Celeste.
Lorenzo Palaia