Basilica di Santo Stefano a Bologna. Sette chiese in una, secoli di storia che hanno reso questo luogo tra i più affascinanti e misteriosi della città.
Che il nostro Paese sia uno scrigno di patrimoni (poco valorizzati e conosciuti) è cosa ben nota. Paesaggi che mozzano il fiato, opere artistiche e architettoniche che richiedono approfondimenti storici estesi.
Nell’ultimo periodo, per motivi che non sto qui a raccontare, ho avuto la fortuna di approfondire le mie conoscenze su una delle città italiane che maggiormente mi affascinano: Bologna.
La dotta, la rossa e la grassa Bologna. Tutti conosciamo l’importanza culturale del capoluogo dell’Emilia Romagna e della sua famosissima e storica facoltà di giurisprudenza. Sappiamo che è chiamata “la rossa” per il tipico colore dei tetti e delle case che mantengono, vivi i colori tipici dell’epoca medievale (sicuri solo per questo?). Tortellini, lasagne, ragù, mortadella, tigelle, crescentine, passatelli (mi fermo, ok…), ora comprendiamo anche il perché è definita “grassa”!
Oltre a tutto questo ci sono molte altre cose in grado di richiamare turisti da tutto il mondo, mi viene in mente Piazza Maggiore, cuore pulsante della città con la sua Fontana del Nettuno, la gotica Basilica di San Petronio, quinta chiesa più grande al mondo e la Torre degli Asinelli.
Ovviamente ci sarebbe davvero molto altro da elencare, ma c’è uno specifico diamante che, per quello che dal punto di vista culturale, storico e …. audacia ha da offrire, lo considero uno dei luoghi più interessanti di Bologna: la Basilica di Santo Stefano (Ecclesia Sancti Stephani).
Iniziamo a capire il perché questo luogo generi così tanto fascino sul sottoscritto sottolineando che la Basilica viene anche chiamata Santo Stefano alle sette chiese, poiché sorta in conformità a un antico tempio pagano, vide nei secoli una serie di estensioni che comportarono la realizzazione non di una ma a ben sette chiese.
La storia comincia attorno all’anno 80, quando in una delle zone più ricche di sorgenti, a meno di 100 m dalla via Emilia, che collegava Rimini con Piacenza, una ricca matrona bolognese fece edificare un tempio alla Dea Iside. Colonne di marmo di origine nord-africana, l’acqua che sgorgava dalla sorgente più vicina veniva chiamata “del Nilo”, una grande ara sacrificale nel deambulatorium, mentre ai lati le abitazioni dei sacerdoti, delle vergini e dei despoti, questa era la Basilica durante i suoi primi anni di vita.
La storia diventa più intrigante e ascetica quando una notte del 429, a Papa Celestino I, appare in sogno San Pietro che gli ordina: “Celestino, c’avemo da fa Petronio vescovo de Bologna, c’ha er sangue de Costantino e Teodosio, meditando ha fatto li sorchi nei deserti egiziani, conosce Gerusalemme come le sue tasche, ha portato er piede sinistro de Santa Caterina e un frammento della vera croce pagato 300 pezzi d’oro ai saraceni, mica spicci; lo dovemo fa”.
Per inconfutabile segno divino Petronio diventa vescovo di Bologna iniziando ad apportare notevoli cambiamenti in tutta la città e portando il sito in questione a diventare un Battistero cristiano coperto, costruendo accanto la seconda delle sette chiese, quella di San Vitale e Sant’Agricola, dedicata ai due santi, rispettivamente servitore e padrone, vittime di una delle più grandi persecuzioni cristiane della storia, quella di Diocleziano.
Petronio fa partire anche i lavori per una terza struttura, quella del Martyrium (o Chiesa della Trinità), senza però riuscire a vederli terminare. Per questo motivo la Chiesa subisce continue modifiche, dai longobardi fino ai monaci benedettini, arrivando al tardo 800 con una struttura neoromanica.
Alla morte del Vescovo Petronio, i luoghi di culto perdono importanza, e quello che era stato Iseo e dopo Battistero, passa a indicare il luogo del martirio di S. Stefano (Rotonda Stefanina) fino al 737, quando i Longobardi li eleggono a loro centro religioso, rivitalizzando gli edifici presenti e costruendo la loro chiesa di S. Giovanni Battista che si aggiunge alla Rotonda Stefanina a S. Vitale e Agricola, al “Martyrium” e al deambulatorium. In questo periodo, proprio il deambulatorium, si arricchisce grazie a una vasca marmorea (Catino di Pilato) regalata dal re longobardo Liutprando.
Tra il 760 e l’830, con l’arrivo dei Franchi e la devozione di Carlo Magno si valorizza il culto di S. Vitale, per il quale viene ricostruita e ampliata l’antica Basilica. Conteporaneamente l’antico Martyrium assume lo stile trinitario con le tipiche nicchie, a custodire le urne cinerarie dei capi famiglia.
La fine della dinastia Carolingia significa un lungo periodo di abbandono. Con l’arrivo dei monaci Benedettini di Cluny e quelli di S. Bartolomeo di Musiano (983) comincia la ricostruzione dopo l’incendio del 902 opera degli Ungari (che amavano particolarmente giocare col fuoco).
Viene costruito adiacente a S. Vitale l’ospedale di S. Bovo (1050-1080) con gli orti officinali e risistemato l’antico Iseo-Battistero per custodire la riproduzione del Sepolcro di Cristo (1080-1160).Viene anche ampliato e costruito ex-novo il monastero (1000-1200), innalzato il campanile e costruita la Chiesa monastica di S. Giovanni Battista con relativo passaggio al pulpito esterno.
Arriviamo alla fine del 1300, la storia diventa estremante interessante, ma prima credo sia necessario soffermarci su un “piccolo dettaglio”. S. Pietro è stato ribattezzato da Gesù “Kefa”, che in aramaico significa appunto “pietra”, il suo nome originario era invece Simone.
Sempre alla fine del 1300 sotto il pavimento della Chiesa dei Santi Vitale e Agricola viene ritrovata una tomba di epoca romana, indovinate quale nome vi era inciso sopra… proprio così mio caro e perspicace lettore, sopra avresti potuto leggere SIMONE.
Scoppia il caos, il vescovo fa suonare le campane, la Chiesa viene immediatamente dedicata a San Pietro e i nomi dei cocktails iniziano a ispirarsi a quello del Santo.
La notizia arriva in Vaticano, ma nel dicembre del 1399 la prima reazione fu di questo tipo: “che c’è frega, noi semo Roma, e poi dovemo pensà ar Giubileo”.
Le cose cambiano qualche mese dopo, quando i pellegrini iniziano a snobbare Roma o favore dei nuovi cocktails bolognesi, così, Bonifacio VIII dice: “emmò basta però”. Prima decide di sconsacrare la Chiesa, poi di distruggerla e infine di far scomparire il sarcofago. Carlo Lucarelli e Federica Sciarelli avendo trovato pane per i loro denti lavorano da anni sul caso
Comincio ad avere una certa età, ma credo sia l’unico caso in cui una Chiesa non viene distrutta da infedeli ma dal primo ministro degli esteri di Dio, si sa, le vie del signore sono infinite, ma giusto per inquadrare il personaggio, Bonifacio VIII è lo stesso mattacchione che eliminò Celestino V e rase al suolo Palestrina per dei capricci personali.
Gli anni passano, e a metà del 1400 vuoi che Sisto IV non abbia regalato al nipote (futuro signore di Imola e Forlì) la riapertura al culto dell’antichissima Chiesa?
Le opere di ricostruzione iniziano immediatamente e nel 1800 la chiesa ritorna al suo massimo splendore e successivamente furono apportate solo piccole modifiche arrivate fino ai nostri giorni.
Ecco, in poco più di 1000 parole ho cercato di inserire storia, ironia, cultura, misfatti e segreti. Per me la Chiesa di S. Stefano è tutto questo, per me Bologna è tutto questo. At salùt caro lettore.