L’attualità
Continua l’offensiva su Rafah, nonostante gli appelli di tutta la comunità internazionale a fermare questa iniziativa criminal e far fronte alle necessità sanitarie della popolazione civile. Intanto, Benyamin Netanyahu e il suo governo si rammaricano per il raid di domenica notte definito un “tragico incidente” che è costato la vita a 45 civili e ne ha feriti almeno 180, le vittime cercavano rifugio nell’area umanitaria nei pressi di Tel Sultan nella parte occidentale di Rafah.
L’attacco, secondo le IDF, ha seguito tutti i protocolli per ridurre al minimo il numero di vittime civili. Secondo un’inchiesta del magazine di informazione israeliano +972 e Local Call, tali protocolli sarebbero divenuti, in questi mesi di guerra, molto più permissivi rispetto al passato, quando per neutralizzare esponenti di Hamas non era concepibile il rischio di un così alto numero di vittime civili.
Al raid sarebbe seguita una seconda esplosione, origine dell’incendio che ha causato la maggior parte delle vittime nella tendopoli poco distante il luogo dell’attacco. Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che una scheggia abbia colpito un deposito di carburante, causando l’incendio, secondo quanto riportato dalle forze di difesa israeliane.
L’attacco ha scatenato forti critiche internazionali, sull’onda del malumore scatenato dall’invasione di Rafah. Intanto, i carri armati israeliani hanno raggiunto il centro della città, ma secondo gli Stati Uniti, anche questa iniziativa israeliana non rappresenterebbe il superamento della linea rossa imposta da Washington.
Nella giornata di lunedì un altro attacco su un campo profughi a Rafah ha causato sette vittime e decine di feriti. La paura, a seguito dell’invasione della città, ha indotto più di un milione di persone a fuggire tra le macerie e i rifiuti che si accumulano da mesi nelle strade di Gaza.
La disperata condizione delle infrastrutture sanitarie a Gaza
L’inferno scatenato su Gaza da 235 giorni continua, la popolazione civile è allo stremo così come le strutture sanitarie dell’enclave. I continui attacchi su ospedali, aree umanitarie e il costante blocco agli aiuti, imposto da Israele, stanno rendendo impossibile l’assistenza sanitaria vitale per gli oltre 1.7 milioni di rifugiati interni, una tragedia umanitaria di proporzioni inaudite.
Solo 11 dei 36 ospedali di Gaza rimangono parzialmente in funzione e operano in condizioni critiche se non disumane, a causa della mancanza di forniture sanitarie di base.
L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha espresso tutta la sua preoccupazione per la situazione a Gaza, diffondendo i numeri spaventosi degli attacchi contro strutture sanitarie e ospedali dal 7 ottobre a oggi:
- Più di 723 operatori sanitari hanno perso la vita
- Oltre 924 sono stati feriti e non sono in condizioni di operare
- 450 attacchi registrati contro strutture sanitarie
- Nessuno degli ospedali ancora in attività è in grado di funzionare a pieno regime
A seguito dei recenti bombardamenti sulla città di Rafah, giungono notizie della chiusura del Kuwait Specialty Hospital, uno degli ultimi due ospedali in funzione a Rafah, chiamati a prestare servizio ad oltre 1.4 milioni di rifugiati che si sono ammassati nella città sul confine con l’Egitto nelle passate settimane, su indicazione delle IDF.
Nessuna struttura sanitaria al mondo è concepita per far fronte a una simile barbarie, il personale medico è quasi interamente composto da sfollati ed è stato decimato dai continui attacchi diretti verso strutture sanitarie, come nel caso dell’assedio dell’ospedale Al-Shifa iniziato il 18 marzo, atti che rappresentano violazioni sistematiche del diritto umanitario internazionale.
Gli immensi bisogni della popolazione civile
L’emergenza sanitaria permea l’intera popolazione palestinese, un nuovo report di Integrated Food Security Phase Classification (IPC) indica come la percentuale di popolazione civile che sta subendo le conseguenze della carestia in corso a Gaza sia passata dal 70% al 100% in poche settimane.
Il blocco imposto da Israele a tutti i valichi di frontiera impedisce l’ingresso di medicinali salva vita, così come di acqua, cibo e carburante per mantenere gli ospedali operativi. Le immagini dei camion, ammassati al confine con l’Egitto da settimane, in attesa dei permessi per l’ingresso a Gaza, e dei coloni che bloccano fisicamente l’accesso dei convogli, rimarranno macchie indelebili sulla coscienza collettiva del paese.
La popolazione necessità di ogni tipo di bene di prima necessità, ma acqua pulita e cibo rimangono le priorità per arginare la continua perdita di vite umane.
I bambini di Gaza
Oltre 1000 bambini hanno subito amputazioni di uno o più arti, da tempo ormai la mancanza di anestetici ha costretto i medici ad eseguire tali operazioni senza l’uso di anestetici, anche sui bambini.
Per 1 milione di bambini residenti a Gaza le sofferenze fisiche si sommano al dramma psicologico. La guerra che da quasi otto mesi imperversa ha distrutto intere famiglie, tutti a Gaza hanno sperimentato la perdita di familiari come conseguenza del conflitto.
L’arrivo in ospedale di bambini feriti, soli, senza nessun familiare sopravvissuto, ha costretto a coniare un nuovo acronimo in lingua inglese per far riferimento a questa condizione; WCNSF (Wounded Child No Surviving Family)
Le ricadute psicologiche del conflitto avranno conseguenze per generazioni. Tutti gli abitanti di Gaza sono coinvolti. Il personale sanitario, in prima linea nell’assistenza ai feriti, lamenta la straziante condizione di dover scegliere quali pazienti salvare e quali lasciar morire a causa delle limitate forniture mediche e della mancanza di strutture e macchinari.
Le donne di Gaza
Oltre 60 mila donne, secondo il Ministero della Salute di Gaza, stanno portando avanti una gravidanza in queste condizioni e 5 mila tra loro dovrebbero partorire questo mese. Malnutrizione, infezioni, disidratazione e l’impossibilità d’accesso a strutture sanitarie sono solo alcune delle cause che possono portare alla morte sia delle madri che dei feti prima ancora del parto.
La mancanza di acqua pulita o medicinali ha costretto le donne più prossime al parto ad intraprendere un pericoloso viaggio, sotto i bombardamenti, per raggiungere il centro di Gaza, nella zona di Deir al Balah, dove una clinica gestita dalla ONG americana Project Hope, assiste oltre 60 donne gravide al giorno.
Secondo le testimonianze del personale sanitario, che ha assistito alle condizioni nelle quali le donne di Gaza stanno partorendo, manca il rispetto della dignità umana. Spesso i parti avvengono in rifugi di emergenza o negli ospedali affollati che ospitano decine di miglia di persone in cerca di riparo dai bombardamenti. 1,5 metri di pavimento ingombro da altre persone diventano il luogo del parto, sotto gli occhi di tutti, mancano privacy e dignità.
La cura dei neonati è ampiamente compromessa per la mancanza di acqua pulita e corrente elettrica, in questo modo si diffondono malattie e infezioni. Epatite A, anemie e scabbia sono tra le più frequenti.
Malattie e infezioni come conseguenza del conflitto
La mancanza di carburante per alimentare gli impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare contribuisce ad aggravare la carenza idrica nella striscia. Questa condizione causa il diffondersi di infezioni batteriche dovute al consumo di acqua contaminata.
La diarrea è ampiamente registrata e miglia di nuovi casi affliggono ogni giorno la popolazione. I rifiuti si ammassano tra le macerie attirando insetti e roditori che fungono come veicolo d’infezione, casi di varicella, scabbia, rash cutanei e problemi respiratori sono ampiamente registarti, come riporta l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il livello di distruzione delle infrastrutture civili e degli ospedali aumenta il rischio di diffusione di malattie infettive. Lo stesso personale medico esposto a traumi e ferite è soggetto a contrarre e diffondere infezioni che nei casi dei pazienti immunodepressi è causa di decesso. I pazienti che affrontano patologie come il cancro sono particolarmente sensibili a queste esposizioni e nessuna delle cure cui avrebbero diritto è garantita.
L’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è un richiamo a tutti gli attori impegnati nel conflitto a cessare le ostilità e far fronte agli obblighi dalla Legge Umanitaria Internazionale per proteggere e tutelare la salute dei civili.
Fabio Schembri