Con un colpo di scena, il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha rinunciato a fare parte di un eventuale esecutivo a guida socialista, facendo saltare il principale veto che aveva bloccato le negoziazioni tra Unidas Podemos e il Psoe. Le elezioni spagnole di aprile hanno dato un mandato chiaro a Pedro Sanchez che, in assenza di una maggioranza assoluta, si è lanciato in un ampio giro di negoziazioni, da destra a sinistra, in cerca dell’appoggio parlamentare necessario. La chiusura più che prevedibile della destra e l’arenarsi del dialogo con Unidas Podemos facevano credere l’investitura di Sanchez sempre meno probabile, approssimando invece l’ipotesi di nuove elezioni. Quantomeno fino a venerdì, quando Iglesias, in un’inaspettata dichiarazione-video sui social network, ha cercato di riparare con il Psoe, accettando di non servire da ministro.
La vittoria di Sanchez
Le elezioni del 28 aprile hanno sfatato due false opinioni che fino a qualche tempo fa avevano nel dibattito lo statuto marmoreo della certezza: 1) il Partido Socialista Obrero Español non ha ancora imboccato la china inesorabile che portò i socialisti greci all’incenerimento politico e 2) l’elettorato spagnolo non sta guardando a destra. Il numero dei parlamentari del Partido Popular e della sua costola populista Ciudadanos presi insieme corrisponde a quello del Psoe da solo, e non raggiunge quello del PP nel 2016.
Il rinnovamento del Psoe sotto Sanchez ha permesso al partito di presentarsi come la principale opposizione al PP, dopo anni in cui -soprattutto a livello locale- le due forze politiche erano quasi indistinguibili. Pedro Sanchez è riuscito a creare l’immagine di un partito nuovo e progressista sul piano delle riforme sociali, promuovendo nella sua breve legislatura misure importanti come l’aumento del 22% del salario minimo. La crisi profonda del PP, acuita dallo scontro sulla Catalogna, ha aperto un vuoto nello scenario politico spagnolo che Sanchez si è sbrigato a riempire.
La spartizione del bottino
Nondimeno, la prospettiva di un governo delle sinistre, che oggi sembra quasi certa, ha incontrato non poche resistenze all’interno dei ranghi socialisti. I dinosauri del Psoe hanno sempre mostrato un disprezzo aristocratico nei confronti di Podemos, da loro ritenuti dei parvenu della politica. Inoltre, avere un grillo parlante alla propria sinistra è la cosa meno auspicabile per chi, come i socialisti, vuole cogliere l’occasione d’oro della vittoria elettorale per tirare su un governo progressista sì, ma senza contorsioni e impedimenti.
Sanchez avrebbe preferito di gran lunga un governo con il partito nazionalista di destra Ciudadanos di Albert Rivera, con il quale condivide per lo meno una posizione netta sulla Catalogna a sostegno dello sciovinismo castigliano. È stato proprio il segretario del Psoe, in uno dei momenti più tesi delle negoziazioni, ad attaccare Podemos su questo punto: “Pablo Iglesias parla di prigionieri politici e io ho bisogno di un vicepresidente che difenda la democrazia spagnola”. Ma Rivera ha ben altro a cui pensare. Ciudadanos e il suo ambizioso leader hanno come obiettivo quello di imporsi come il primo partito della destra spagnola e sostituire il morente Partido Popular. La nuova versione della destra iberica, una specie di PP scomposto, è stata inaugurata proprio in questi giorni nel parlamento regionale di Murcia, con l’appoggio di Vox.
E Podemos?
Unidas Podemos non ha fatto nulla per differenziarsi dal Psoe nelle ultime elezioni. Questo ha fatto sì che il vento da sinistra portasse avanti la nave socialista, le cui vele sono più ampie e maneggiate con maggiore perizia. Dalle elezioni del 2016, la coalizione guidata da Iglesias ha perso più di un milione di voti, andati a rinforzare la riscossa di Pedro Sanchez. Ad ogni modo, Sanchez ha bisogno di Podemos per governare. Se è vero che nuove elezioni avvantaggerebbero proprio i socialisti, Sanchez vuole governare e lo ha chiarito più volte. E sulla barca socialista che avanza a gonfie vele vuole salire anche Iglesias, a tutti i costi.
Il leader di Podemos, andando a negoziare con il Psoe, aveva più l’aria di un mercante che di un dirigente politico. L’appoggio al governo di Sanchez è stato barattato da subito con poltrone ministeriali, dando vita alle resistenze dei socialisti, che la settimana passata avevano dato per rotte le negoziazioni. Ma proprio per Podemos questa è la strategia peggiore. L’ostinazione a mettere il secondo piano il programma e a enfatizzare l’importanza di imporre i propri ministri, oltre che a essere una pessima propaganda, riduce ulteriormente i margini di manovra di Iglesias, costringendolo a schiacciarsi sul Psoe. Su queste basi, prima o poi Podemos sarà obbligato a spaccare l’esecutivo o a scomparire.
Francesco Salmeri