Aleksej Navalny starebbe morendo, nelle mani delle autorità russe, che non gli concedono di essere visitato dai suoi medici. Tutto questo mentre si trova in detenzione a 100 kilometri da Mosca. L’attivista ha allora iniziato uno sciopero della fame. Putin, però, non sembra cedere: ma ha così voglia di trasformare Aleksej Navalny in un eroe nazionale e internazionale?
Il rischio, sulla questione Navalny, è il benaltrismo. L’Italia in questo momento ha molto altro di cui occuparsi e preoccuparsi. C’è la pandemia da fermare, c’è la campagna vaccinale da portare avanti, c’è un’economia da sorreggere. A 100 kilometri da Mosca, però, in un campo di detenzione che, secondo fonti internazionali, assomiglia più a un campo di concentramento, Aleksej Navalny sta morendo.
Lo sta facendo nelle mani del governo russo e sotto gli occhi della comunità internazionale che si spertica in condanne verbali e tweet indignati, ma che molto di più non può fare verso il reale responsabile del trattamento del detenuto Navalny.
La detenzione nella colonia penale di Pokrov
Secondo la sua portavoce e la figlia Daria, l’attivista russo starebbe rischiando la vita in un vero e proprio gulag, a Pokrov. Si tratterebbe di una delle strutture più rigide, in cui Navalny è stato rinchiuso dopo il suo rientro in patria, nel gennaio di quest’anno. Rientro, tra l’altro, avvenuto a seguito di una lunga riabilitazione in terra tedesca, a fronte dell’attentato da cui si è miracolosamente salvato e di cui avevamo diffusamente parlato, anche tramite un’intervista al documentarista Stefano Tiozzo.
L’arresto
Putin insomma lo aveva fatto arrestare al suo rientro a Mosca, con un processo farsa in aeroporto per una sentenza risalente a qualche anno fa. Navalny, infatti, durante il periodo di degenza in Germania non avrebbe ottemperato all’obbligo di firma quindicinale a cui era sottoposto e, per questo motivo, sarebbe stato fermato dalle autorità e sottoposto a un processo sommario.
La negazione delle visite mediche
Cosa stanno facendo le autorità russe? Semplicemente, gli stanno negando le visite dei suoi medici. Dopo essere stato avvelenato tramite Novichok, un agente nervino letale, Navalny aveva affrontato una lunga riabilitazione per tornare a muoversi e a parlare. Il team dell’attivista, quindi, sostenendo che sia proprio il governo russo il mandante del suo attentato, vorrebbe fare intervenire un’equipe medica indipendente dalle autorità moscovite, per assistere Navalny in sicurezza.
Lo sciopero della fame
Niente da fare, però: le autorità negano l’accesso ai medici. Da qualche tempo, dunque, Aleksej Navalny ha iniziato uno sciopero della fame: secondo fonti a lui vicine, avrebbe già perso 15 kg e questo comprometterebbe ancor di più la fragilità del suo fisico, ancora provato dall’attentato.
Le reazioni internazionali
La comunità internazionale, nei giorni scorsi, si è esposta. Joe Biden ad esempio ha definito Putin un killer, facendo sollevare non pochi sopraccigli per la schiettezza delle sue parole. Effettivamente, a Putin le organizzazioni internazionali più disparate e gli attivisti di altri partiti russi imputano l’uccisione di connazionali in patria, di giornalisti e di oppositori politici. Salvare o non salvare Navalny non è una questione che riguardi solo Navalny.
Gli Stati Uniti
Navalny non è certamente un parvenu e, legittimamente, decide le sue mosse come in una partita di scacchi. Non a caso, aveva deciso di fare rientro a Mosca il 17 gennaio 2021, pochi giorni prima dell’insediamento del nuovo presidente Usa. Una coincidenza? Certamente no. Se non si riesce a demolirlo da dentro, con le inchieste sulla corruzione portate avanti riguardo alle enormi proprietà nei pressi di Gelendzhik, allora bisogna provare a scalfirlo da fuori.
La mossa di Navalny sulla sua stessa pelle
E su cosa si muove la comunità internazionale, solitamente? Beh, prende posizioni, almeno formali, quando vengono violati dei diritti umani. Gli appelli per salvare Navalny sono un piatto d’argento per gli Stati Uniti, non più ostaggio di Trump e della sua collusione con il governo di Mosca. Ah, tra l’altro, è emerso poche ore fa che un funzionario del team di Trump nel 2016 ha passato informazioni al Cremlino. Ma questa è un’altra storia.
Le ingerenze russe
Biden comunque sta iniziando a prendere dei provvedimenti contro la Russia: sta inasprendo sanzioni e sta trascinando la Nato verso posizioni più dure contro le manovre di Putin ai confini ucraini. L’atteggiamento di Biden, già molto rigido verso Putin durante la vicepresidenza di Obama, ora non ha fatto altro che rafforzarsi. Obama e George W. Bush poco avevano fatto contro le mosse militari in Ucraina o contro quel vizietto di Vladimir Putin di finanziare estremismi di destra di tutto il pianeta, cercando di creare pressioni sui vari governi e di riorientare l’opinione pubblica dell’Occidente.
E l’Italia?
Beh, la relazione dell’Italia con la Russia è stata altalenante. Sono lontani i bei tempi in cui Silvio Berlusconi e Putin venivano immortalati con il colbacco stretti in un amichevole abbraccio, mentre il nostro Presidente del Consiglio fantasticava sull’idea di portare l’amico Vladimir nella Nato. C’è stata poi la parentesi di Savoini, che andava negli alberghi russi a cercare finanziamenti per la Lega. Ma, più recentemente, c’è stato anche il non prendere posizione del Governo Conte, poi caduto, ma ancora presente in spirito nel ruolo chiave del ministero degli Esteri, da cui Luigi di Maio non ha mai traslocato.
Il ruolo di Matteo Renzi
Incredibile a dirsi, ma come Presidente del Consiglio, la paternità di una rottura con Mosca è da attribuire unicamente a Matteo Renzi che, nel ruolo di premier, è andato sul Bolshoi Moskvorecki a rendere omaggio a Boris Nemtsov. Anche qui: un altro oppositore di Putin misteriosamente ucciso. In quell’occasione, Renzi aveva partecipato anche al Forum di San Pietroburgo e davanti a Putin aveva criticato le leggi russe discriminatorie verso le persone LGBT+.
Come salvare Navalny?
Tornando a Navalny, comunque, il problema rimane. Cosa si può fare per trarre in salvo un uomo a cui, per quanto controverso politicamente, non vengono riconosciuti i diritti fondamentali? Bastano le dichiarazioni della Casa Bianca? A cosa servono i tweet della Farnesina o i rimproveri della Nato? Cercare di capire come mettere Putin di fronte alle sue responsabilità rimane per ora un problema senza soluzione. Per ora: secondo l’entourage di Navalny, l’aggravarsi delle sue condizioni gli darebbe ancora qualche giorno di vita. Non secondo le autorità russe, che hanno derubricato il malessere dell’attivista alla ricerca di attenzioni. Che, di fatto, sta avendo: oltre 70 intellettuali e artisti la scorsa settimana avevano indirizzato al presidente Putin un appello per la concessione a Navalny di cure adeguate. Basterà? Probabilmente no.
Possibile però che Putin abbia così voglia di trasformare Navalny in un eroe? Prima che le sue condizioni si aggravino ancor di più, il Cremlino dovrà per forza cedere alle visite dei medici, se vuole evitare che Navalny diventi il paladino della giustizia, anche per i russi più tiepidi. Salvare Navalny, quindi, o trasformarlo in un simbolo? Se questo fosse, non sarebbe certamente il primo degli oppositori messi a tacere da Putin. La palla, quindi, passa alla comunità internazionale, che dovrà pensare forse a qualcosa di più incisivo di un tweet indignato.
Elisa Ghidini