Salute mentale dei giornalisti italiani: 1 su 3 è depresso

Salute mentale dei giornalisti italiani

Il giornalismo è sicuramente uno dei lavori più instabili, precari e stressanti.
Che impatto ha questo sulla salute mentale dei giornalisti italiani? E, di conseguenza, sull’informazione?

La prima inchiesta in Italia sulle condizioni di salute mentale dei giornalisti, condotta da Alice Facchini di Irpimedia, si intitola “Come ti senti“.
Da luglio a ottobre 2023, Irpimedia ha distribuito online un questionario anonimo, al quale hanno risposto 588 individui.
Tra questi, ci sono professionisti, freelance, addetti all’ufficio stampa, film maker, fotogiornalisti e social media manager. L’età dei partecipanti è compresa principalmente tra i 18 e i 45 anni.

I risultati ottenuti mostrano come più della metà dei giornalisti italiani soffra di stress, ansia e senso di inadeguatezza. Poco meno della metà ha raccontato di avere attacchi di rabbia, o di essere diventato dipendente da Internet e dai social media.
1 su 3 ha dichiarato di essere depresso.

Il tema dell’indagine di Irpimedia non è da sottovalutare.
I primi studi sulla salute mentale dei giornalisti risalgono agli anni ’90, negli USA. È infatti nel 1999, che nasce il Dart Center for Journalism and Trauma, think tank progettato dalla Scuola di giornalismo della Columbia University, a New York.
Anni dopo, nel 2016, la Rivista europea di psicologia del lavoro e delle organizzazioni pone la questione lamentando la mancanza di studi approfonditi sul tema.

Per quanto la quotidianità delle redazioni possa essere stressante anche per chi non si occupa di una tragedia, pochissimi studi distinguono (e nessuno confronta) l’angoscia dei giornalisti nel loro lavoro quotidiano e l’angoscia di raccontare i grandi disastri

In Italia, un importante lavoro sullo stress subito dai giornalisti italiani è quello di Casagit, la cassa autonoma dei giornalisti, e il Consiglio nazionale ordine psicologi (Cnop). Tuttavia, riguarda solo i giornalisti contrattualizzati (che sono, oltretutto, in minoranza rispetto ai freelance).

Ma se i giornalisti italiani non stanno bene, allora neanche l’informazione può essere sana.
E un’informazione malata, non può che danneggiare l’intera società.

Stress, ansia, rabbia: cos’hanno i giornalisti italiani?

I primi tre disturbi ad essere stati segnalati nelle risposte ai questionari sono stress (87%), ansia (73%) e senso di inadeguatezza (68%).




Circa il 50% ha dichiarato di sentirsi solo, isolato e incompreso. Frequenti anche i casi di insonnia, burnout, attacchi di rabbia e dipendenza da Internet. Il 34% ha segnalato di soffrire di depressione, il 26% di attacchi di panico.

Ma a cosa sono dovuti questi malesseri?
Uno dei fattori che, più di tutti, è fonte di stress, è il compenso economico troppo basso. Quello del giornalista, in Italia, è infatti un lavoro fortemente segnato dal precariato.
Secondo uno degli ultimi studi della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), tre quarti dei giornalisti italiani lavora 8 o 10 ore al giorno, per un compenso annuo pari a 15mila euro lordi.

Per uno dei principali quotidiani italiani con cui collaboro mi trovo a svolgere anche innumerevoli altri ruoli: caposervizio per prodotti editoriali del gruppo, social media manager, organizzazione eventi, ufficio stampa. Durante un evento mi è stato chiesto di servire gli antipasti

Non sorprende, quindi, che l’85% dei rispondenti all’indagine abbia dichiarato che i bassi compensi e la precarietà incidano “abbastanza” o “molto” sulla propria salute mentale.
Altri fattori che colpiscono la salute mentale dei giornalisti italiani sono: la necessità di essere sempre connessi e reperibili, i ritmi frenetici, l’iper-competitività e l’ambiente giudicante.

Ricevevo continuamente pressioni da parte del capo per l’ennesima breaking news da scrivere velocemente. Non riuscivo a dormire se non sognando breaking news, avevo attacchi d’ansia continui

Solo il 30%, invece, dichiara che la propria salute mentale subisce l’impatto di minacce, querele temerarie e pericoli sul campo. La stessa percentuale ha citato il rischio di molestie sessuali e discriminazioni.

Ero in Africa per un reportage e non mi è stato dato il budget per pagare un autista privato, così mi sono dovuto affidare a un mototaxi locale. Ho rischiato di essere rapito, per un pezzo da freelance pagato all’epoca 83 euro lordi. Con foto, ovviamente

I giornalisti italiani non stanno bene: chi li supporta?

Uno dei primi passi da compiere per affrontare malesseri psicologici, è quello di parlarne apertamente.
L’89% dei giornalisti che hanno risposto al questionario ha dichiarato di aver parlato con amici, partner e familiari. Altri hanno preferito confrontarsi con altri colleghi, ma raramente con i superiori.

Il 52% ha scelto di andare in terapia, ma senza che questa opportunità gli venisse presentata sul luogo di lavoro. Infatti, solo il 5% ha trovato un adeguato sostegno sul lavoro. Nella maggior parte dei casi – nonostante la preoccupante situazione della salute mentale dei giornalisti italiani – non esistono ancora servizi dedicati.
Cose che, invece, gran parte degli intervistati ritiene utile. Soprattutto sedute individuali gratuite di psicoterapia, gruppi di condivisione e auto-mutuo aiuto; ma anche workshop, numeri verdi o chat di supporto.

Alcune associazioni offrono risorse online per i giornalisti, come la Guida alla salute mentale per i giornalisti che affrontano la violenza online di International Women’s Media Foundation.
Si tratta di un testo che aiuta i lavoratori dei media ad adottare misure che proteggano il loro benessere. Inoltre, contiene tabelle di autovalutazione e indicazioni per risorse a cui chiedere aiuto.

Perché ci interessano le condizioni dei giornalisti italiani?

Tra i fattori di stress che impattano sulla salute mentale dei giornalisti italiani, uno tra tutti è il precariato.
Lo stesso tema è stato oggetto di un’indagine di FNSI dal titolo “Precariometro“, che ha interessato 400 giornalisti nell’arco di un anno e mezzo.
Mattia Motta, giornalista freelance e segretario generale aggiunto di Fnsi, ha presentato la ricerca e le gravi conseguenze per la società.

Il “lavoro povero” non è solo il problema di una categoria, quella del mondo dell’informazione. Ma è un problema che riguarda il diritto dei cittadini a essere informati da giornalisti liberi e indipendenti, anche dai bisogni materiali.
Tutto questo lavoro precario e parcellizzato concorre all’abbassamento della qualità della democrazia. A dirlo non è solo la Federazione, ma anche il Consiglio europeo nell’ultimo Rapporto sullo stato dell’Unione, dove viene indicata la precarietà dei giornalisti assieme alle querele e al bavaglio come due problemi per la qualità della democrazia in Italia

Come evidenzia anche Alice Facchini, autrice dell’indagine di Irpimedia, nel mondo del giornalismo le difficoltà psicologiche sono spesso un tabù.

I contratti sono sempre più precari e mal pagati, e la crisi dell’industria, con la minaccia della cassa integrazione, porta un clima di ansia e ipercompetitività nelle redazioni.
Si fatica ad arrivare a fine mese, spesso si fanno più lavori, ma soprattutto si è perennemente esposti. E ricattabili.
Senza pause, in solitudine, senza poter fare affidamento sullo spazio (fisico e metaforico) della redazione, mentre si deve mantenere uno stato di apparente invulnerabilità

A fronte di questa situazione, Irpimedia spera che l’indagine sia un punto di partenza per affrontare finalmente il tema della salute mentale dei giornalisti italiani.
Ammettendo l’esistenza di una crisi e trovandole soluzioni.

Giulia Calvani

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