A circa 30 km da Miami, 5 milioni di salmoni allevati a terra nuotano in vasche coperte e isolate dall’ambiente esterno. Un’idea che porta la firma dell’azienda norvegese Atlantic Sapphire.
Ha poco più di un anno di vita Bluehouse la filiale americana della norvegese Atlantic Sapphire ed è già il più grande impianto ittico di salmoni allevati a terra. Le vasche possono contenere sino a 5 milioni di pesci contemporaneamente per una produzione annua di circa 9.500 tonnellate di esemplari. Ma il colosso non si ferma e punta alle 222.000 tonnellate entro il 2031, con l’obiettivo di coprire il 40% del consumo annuale di salmone negli USA.
Il salmone atlantico
Scientificamente si chiama Salmo salar e appartiene alla famiglia dei Salmonidae, nella quale sono classificate anche sette specie di salmoni del Pacifico, alcune trote, i salmerini e i pesci del genere Hucho. Di solito, i soggetti selvatici giovani hanno una livrea argentea con un dorso bluastro, mentre, con la crescita, i maschi tendono al rosso scuro e le femmine diventano quasi nere.
Per quanto concerne l’habitat, il range ottimale della temperatura oscilla tra una minima di 5-7 °C e una massima di 24-26 °C. Anche la composizione chimica dell’acqua influisce molto sulla crescita, in particolare le quantità di ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO₂). Durante i mesi invernali risale i fiumi per riprodursi e rimane nelle acque dolci sino all’età di 1-2 anni. Il salmone non necessita di un periodo di acclimatazione, infatti l’adattamento alle condizioni saline avviene direttamente durante la discesa verso il mare senza particolari problemi.
“Meno malattie e un più basso tasso di mortalità dei pesci”.
I dibattiti sulla salute dei pesci in allevamento, soprattutto in relazione all’uso di antibiotici e dei loro possibili effetti sui consumatori sono ormai all’ordine del giorno da tempo. In particolare, si parla spesso del rischio associato a tutte quelle specie che sono più vendute sul mercato internazionale, complici talvolta le mode del momento, in primis quella del ristorante giapponese. Tuttavia, il progetto della compagnia norvegese ha arginato questo problema proponendo sul mercato americano dei salmoni allevati a terra. In pratica, le vasche non sono posizionate in acqua, ma sulla superficie terrestre, in magazzini appositamente isolati per ricreare l’ambiente ottimale alla vita di questa specie.
RAS, Sistemi di Acquacoltura a Ricircolo.
Gli antibiotici non sono necessari perché l’impianto utilizza i moderni sistemi RAS (Recirculating Aquaculture System), i quali possono controllare contemporaneamente molteplici parametri (es. temperatura, salinità e pH). Inoltre, tale tecnologia monitora anche i cicli di illuminazione e rimozione delle sostanze di scarto, affinché le vasche siano sempre pulite.
La non necessità di utilizzare farmaci e/o antibiotici dipende dal fatto che il circuito è chiuso, ovvero l’acqua è sempre la stessa e costantemente depurata, quindi i pesci non sono esposti agli agenti patogeni tipici dell’habitat naturale.
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Perché in Florida?
Quando si pensa a Miami non possono non venire in mente le immagini di spiagge chilometriche accompagnate da centinaia di palme. Insomma, uno scenario molto diverso da quello dei fiordi norvegesi o dei laghi scozzesi, dove il salmone atlantico generalmente vive. Pertanto, ricreare il rigido clima del nord Europa in una zona tipicamente sub-tropicale fa sorgere diverse domande.
Tuttavia, l’obiettivo primario dell’Atlantic Sapphire è troppo appetibile per cedere alle oggettive difficoltà di progettazione e mantenimento, soprattutto in termini di sostenibilità. La compagnia norvegese punta a imporsi sul mercato americano, eliminando i costi del trasferimento dei prodotti e questo spiega la scelta della Florida.
Investimenti da capogiro
Atlantic Sapphire ha già investito 400 milioni di dollari nel progetto americano e prevede di spendere un totale di 2 miliardi per raggiungere gli obiettivi del 2031. Se tutto andrà come programmato, Bluehouse avrà 372.000 m² di serbatoi su una superficie di 65 ettari.
Salmoni allevati a terra: una soluzione sostenibile?
Sebbene la compagnia norvegese focalizzi l’attenzione dei media sul non utilizzo di farmaci, sono in molti a chiedersi quanto costi tutto questo all’ambiente. Infatti, il consumo di energia per refrigerare le vasche deve essere notevole e assai poco economico in termini di elettricità, come sottolineano le parole di Ragnar Tveteras: “ci sono dubbi strutturali sulla quantità di energia necessaria e sul conseguente contributo alle emissioni di gas nocive”.
Di contro, l’azienda difende la sua strategia e sottolinea il suo costante impegno a favore della sostenibilità, riportando l’esempio della sede centrale in Europa. Infatti, in Danimarca le vasche di salmoni allevati a terra sono alimentate al 50% da energia rinnovabile e il progetto prevede lo stesso anche negli USA. Tuttavia, in America questo obiettivo è ancora molto lontano e le condizioni climatiche sono comunque estremamente diverse.
“Alleviamo pesce a livello locale per trasformare la produzione di proteine a livello globale“
Questo lo slogan promosso da Johan Andreassen, l’amministratore delegato di Atlantic Sapphire, ma ancora non convince completamente, soprattutto le associazioni animaliste. In particolare, l’allevamento a terra non incontra il favore di People for the Ethical Treatment of Animals (Peta), di Animal Outlook, che sono preoccupate per il benessere degli animali. Inoltre, Seafood source richiede alle autorità competenti di indagare anche sulla salute dei lavoratori, dopo una serie di incidenti che li ha visti travolti dai fumi di un gas sconosciuto.
Anomale mortalità di massa
Nel RAS americano si sono verificati ben due episodi, di cui l’ultimo in marzo 2021. Tramite un comunicato stampa diramato da Euronext, l’azienda norvegese ha comunicato di aver perso circa 500.000 esemplari a causa di un malfunzionamento dei filtri. “Ciò ha provocato un’elevata torbidità e forse gas, e ha causato un comportamento anomalo dei pesci. I pesci si sono raccolti sul fondo delle vasche, interrompendo il flusso di nuova acqua, causando un aumento della mortalità”.
Nel luglio 2020, sempre nello stesso impianto più di 200.000 salmoni sono morti in circostanze ancora poco chiare. L’azienda ha attribuito la causa a “lavori di costruzione dirompenti vicino all’ambiente operativo”. Solo qualche mese prima, in febbraio, nella sede danese circa 227.000 pesci hanno perso la vita a causa dell’esposizione a livelli troppo elevati di azoto.
Un mercato in crescita
Indubbiamente la domanda di pesce, soprattutto di salmone, è particolarmente cresciuta negli ultimi tempi. In dieci anni l’incremento delle richieste ha fatto anche lievitare i prezzi, permettendo alla Norvegia di guadagnare oltre 350 milioni di euro (2018). In Italia, dal 2010 la crescita dei profitti del salmone è stata del 257% e, ad oggi, il nostro paese è il terzo importatore al mondo, con una quota di mercato pari al 12%.
Da cosa dipende la colorazione della carne?
Da sempre molto apprezzato in molte cucine, il salmone è un pesce pregiato, dal sapore caratteristico e difficilmente confondibile. In genere, siamo abituati a vederlo di colore rosa, più o meno intenso, ma, in realtà, nasce bianco e si scurisce con la crescita, grazie all’alimentazione. In particolare, la “salmonatura” è data dalla dieta naturale a base di crostacei, alghe e plankton, che sono ricchi del pigmento carotene. Quest’ultimo si fissa nel muscolo nel tempo, ma è reversibile, se l’apporto del colorante non è sufficiente e costante.
Invece, negli allevamenti i salmoni sono nutriti con mangimi ai quali deve essere necessariamente aggiunto il colorante salmonato, la cantaxantina, che permette alla carne di assumere la colorazione rosata. Tale sostanza è un additivo alimentare non cancerogeno, ma potenzialmente pericoloso per la vista, se assunto in quantità eccessive. Infatti, dal 2010 l’EFSA ha richiesto di porre un limite massimo di somministrazione negli allevamenti (10mg per 1 kg di carne).
Forse, da oggi, più che chiedersi cosa abbia mangiato in vita quel bel trancio di sashimi sotto ai nostri occhi, ci dovremo preoccupare se ha visto un fiordo o piuttosto una bella palma verde. E, soprattutto, preoccuparsi di quanto costerà al nostro già sofferente pianeta questa nuova trovata commerciale, su cui, al momento ci sono più dubbi che certezze.
Carolina Salomoni