Salmoneo è un esempio emblematico (anche se non molto noto) di hybris punita. Perché per gli antichi Greci nemmeno un re poteva permettersi di paragonarsi a Zeus e sperare di passarla liscia.
Per gli antichi Greci, non rispettare le divinità era una colpa grave: non a caso, la mitologia pullula di storie che raccontano truculente punizioni. La faccenda diventava particolarmente seria quando ci si macchiava di hybris, cioè di empietà. Chi lo faceva, in sostanza, si rifiutava con le parole e i gesti di riconoscere i propri limiti di mortale, paragonandosi agli Dei o volendoli sfidare. Inutile dirlo: non finiva mai bene. Un caso emblematico è quello di Salmoneo, re fanfarone che cercò di farsi passare per Zeus e ne pagò le conseguenze.
Salmoneo: chi era costui?
Quello di Salmoneo non è uno dei racconti più noti della mitologia classica, anche se a parlarci di lui sono diverse fonti. Ne parlano lo Pseudo-Apollodoro nella Biblioteca, Ellanico di Lesbo nei suoi commenti a Platone, Strabone nella Geografia. Il primo spiega che Salmoneo era figlio di Eolo, figlio a sua volta di Elleno, e della ninfa Enarete. Il terzo, invece, racconta chi fosse il suo popolo, dicendoci che lui era re degli Epei e dei Pisatidi. Non solo: doveva essere anche un guerriero temibile, visto che guidò la propria gente contro Etolo e lo scacciò dall’Elide. Qui divenne sovrano al suo posto, fondando la città di Salmonia.
Il racconto più dettagliato e interessante su Salmoneo, però, viene dall’Eneide del poeta latino Virgilio.
Il resoconto di Virgilio
Nell’Eneide la figura di Salmoneo compare nel libro VI, più precisamente tra i personaggi che l’eroe troiano Enea incontra negli Inferi. È proprio qui che si scopre il brutto vizio che Salmoneo aveva preso una volta diventato re. Enea, infatti, racconta:
Vidi anche Salmoneo, sottoposto a un supplizio crudele
per aver voluto imitare le folgori di Zeus e il tuono dell’Olimpo.
Su un carro trainato da quattro cavalli, scuotendo una fiaccola,
andava esaltandosi tra i popoli greci, in mezzo alla città
che è il cuore dell’Elide. Pazzo! Pretendeva per sé gli onori degli Dei.
E credeva, il folle, di poter imitare coi tamburi e col rimbombo
del suo carro e del galoppo dei cavalli dall’unghia di corno
la tempesta e il fulmine che non si può imitare.Eneide, VI, vv. 720-729.
La conclusione di questa vicenda di empietà è facile da presentire. Una volta che la cosa giunse alle orecchie di Zeus, infatti, il sovrano degli Dei non la prese bene.
Ma Giove onnipotente, adirato, da in mezzo alle nuvole nere
gli scagliò contro un fulmine vero, ben diverso dai tizzoni
fumosi che Salmoneo andava agitando. E così lo tuffò a capofitto
in un immenso turbine.Eneide, vv. 730-733.
Salmoneo: una storia di ordinaria follia nell’antica Grecia
Così come avrebbe fatto l’Ulisse di Dante molti secoli dopo, il Salmoneo di Virgilio termina il suo viaggio nell’unico modo possibile. E cioè precipitando in un baratro fatto di tempesta e di orrore. Una punizione fin troppo severa? Non proprio: guardandola attraverso un’altra ottica, è possibile vedere che c’è di più.
Sì, Zeus con un fulmine colpisce Salmoneo e lo fa precipitare nell’abisso. Eppure, a ben guardare, nell’abisso Salmoneo ci si era già avventurato da solo. L’aveva fatto allorché, seguito da un codazzo di servi che percuotevano i tamburi, aveva iniziato ad aggirarsi sul proprio carro brandendo una fiaccola. L’aveva fatto andando di città in città, nell’Elide, cercando di convincere i propri sudditi a venerarlo. E nemmeno come un dio qualsiasi, bensì come IL dio, il sovrano e padre di tutti gli dei del pantheon. Un comportamento che, certo, dal punto di vista di Zeus doveva costituire un reato inaccettabile di lesa maestà. Ma non era solo questo.
Un sovrano che si ritiene pari agli dei immortali, anzi, addirittura pari al maggiore tra essi, è un uomo pericoloso. Per sé e soprattutto per gli altri. Perché è qualcuno che manca di quel senso del limite caro alla cultura greca, che pure valorizzava le azioni eroiche e le grandi imprese. Una persona del genere, fosse pure come Salmoneo di nobili natali e un guerriero del limite, si rivelava tragicamente inadatta a governare. Perché per i Greci un buon sovrano era qualcuno che, anzitutto, doveva conoscere gli uomini, sé stesso e il proprio posto nel mondo.