Sahel, neocolonialismo e fondamentalismo religioso: soffrono i popoli che lo abitano
Sahel, neocolonialismo e fondamentalismo religioso creano una situazione geopolitica estremamente precaria. Il Sahel (o Sàhil, termine arabo usato per indicare il confine meridionale del deserto del Sahara) è una fascia di territorio dell’Africa centro-settentrionale che si estende orizzontalmente dall’oceano Atlantico al Mar Rosso. All’ingerenza di grandi potenze come la Francia, responsabile di un “nuovo colonialismo” di tipo finanziario, si affiancano le gravi azioni criminali gruppi jihadisti e integralisti che diffondono paura e devastazione tra le varie popolazioni che abitano il territorio. Il Sahel è un’area politica fragile, dove vige un ancestrale stato di natura. Questa situazione, inesorabilmente, condanna i gruppi umani autoctoni meno numerosi, come il popolo Dogon, stanziato in Mali.
Neocolonialismo francese: il franco CFA
Il franco CFA (originariamente “franco delle Colonie Francesi in Africa”, ora “Comunità Finanziaria Africana”) è una valuta creata nel 1945 e oggi utilizzata da 14 paesi africani, raggruppati nell’Unione Economica e Monetaria ovest-africana (UEMOA), comprendente Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo, e nella Comunità Economica e Monetaria dell’Africa centrale (CEMAC), formata da Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo, oltre all’Unione delle Comore con le isole omonime. UEMOA e CEMAC sono dirette da due distinte banche centrali.
Fatta eccezione per la Guinea-Bissau (ex colonia portoghese) e la Guinea Equatoriale (ex colonia spagnola), tutti gli Stati sopra elencati sono ex colonie francesi.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, la Francia fu l’unica potenza europea a mantenere un controllo effettivo sulle sue ex colonie e a stabilire dei rapporti commerciali privilegiati con esse. Alla base vi è sicuramente un forte interesse verso la grande quantità di materie prime che quella zona del continente custodisce: oro, petrolio, zinco, bauxite, per citarne alcune.
Il franco CFA è una valuta a cambio fisso: infatti, esso è deciso dalle banche centrali ed è legato all’euro tramite l’Erario francese, che fa da “garante”. La moneta, essendo a cambio stabilito, non subisce le fluttuazioni del mercato da un giorno all’altro. Questo meccanismo mette al riparo le economie di questi paesi dalla costante minaccia dell’inflazione ma le lega, indissolubilmente, alle politiche monetarie europee.
La discussione sul franco CFA va avanti da tempo, in contesti economici e politici. È innegabile che la Francia ottenga dei benefici non indifferenti da questa situazione geopolitica: il paese d’oltralpe può acquistare materie prime a prezzi vantaggiosi, senza dover utilizzare valuta estera, e le aziende francesi sono fortemente incoraggiate a investire nei paesi sopracitati. Dall’altro lato, attribuire i problemi socio-economici di questi paesi africani esclusivamente all’utilizzo del franco, soprattutto far dipendere i flussi migratori solo da questa politica monetaria, è una visione parziale.
Quello che è certo è che i paesi più sviluppati che decidono di investire in Africa (la Cina, per esempio, fortemente interessata negli ultimi anni alle risorse del corno d’Africa) non dovrebbero basare i propri rapporti con il continente esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse e delle popolazioni lì presenti. Dovrebbero invece stabilire rapporti di reciproca cooperazione e sostegno, al fine di favorire una crescita economica multilaterale.
Conflitti armati in Mali: il caso del popolo Dogon
I territori del Sahel sono afflitti da un continuo stato di conflitti civili. Ad opporsi alle strutture statali spesso fragili (si pensi al caso del Burkina-Faso, un vero e proprio “narco-stato” controllato da gruppi criminali e trafficanti di droga) ci sono gruppi criminali di diversa natura, fondamentalisti o secessionisti: Al-Qaeda per il Maghreb islamico (AQIM) e il Movimento arabo di Azawad (MAA) nel Mali, Boko Haram in Nigeria, per citarne alcuni. Il Mali, in particolare, è teatro di una guerra civile che vede contrapporsi i movimenti secessionisti del nord (i ribelli Azawad e alcuni gruppi Tuareg, appoggiati dalle fazioni jihadiste di Al-Qaeda per il Maghreb islamico) e il governo della capitale, Bamako.
Le correnti indipendentiste risalgono agli anni ’60, tuttavia dopo la caduta del regime di Gheddafi (resa possibile soprattutto con l’intervento militare dell’Occidente) la guerra civile si è inasprita. Nel 2013 la Francia è intervenuta militarmente in quei territori, nel tentativo di rinsaldare il governo centrale. Negli anni successivi sono stati inviati contingenti militari anche da Stati Uniti e Unione Europea.
Il conflitto, come spesso accade, si sfoga soprattutto sulla popolazione civile e sui vari gruppi entici (spesso poco numerosi) che abitano il paese.
Il popolo Dogon è uno dei tanti gruppi umani minacciati dal fondamentalismo religioso di stampo islamista. Questa popolazione, secondo alcune leggende proveniente dal Golfo di Guinea, occupa la regione della falesia di Bandiagara. I Dogon sono stanziati nel sud-ovest del Mali, a 300 km dalla città di Timbuctu, non lontani dal confine con il Burkina-Faso. Bandiagara è un’importante formazione di roccia sedimentaria, estesa per circa 200 km, che si innalza per 500 metri sul livello sabbioso sottostante. Dal 1989 Bandiagara è “patrimonio dell’umanità” secondo l’UNESCO, per via delle sue ricchezze archeologiche e orografiche.
Sono circa 240.000 gli uomini e le donne che formano il popolo Dogon. Essi vivono in agglomerati rurali di case incassate tra le rocce della falesia. La popolazione custodisce una grande ricchezza culturale, dato il loro attaccamento a tradizioni ancestrali come l’animismo e l’attività astronomico-propiziatoria. A quest’ultimo proposito, i Dogon sono anche detti “popolo delle stelle”, per il loro presunto merito di aver scoperto la stella Sirio-B 400 anni prima degli astronomi occidentali.
La sopravvivenza di questo antico popolo è da tempo messa a repentaglio, a causa delle azioni criminali intraprese dai fondamentalisti jihadisti. Razzie, devastazioni di villaggi, genocidi sono portati avanti senza che le truppe occidentali intervengano, troppo occupate a combattere nel nord. Le tensioni tra appartenenti a villaggi o etnie differenti (come l’etnia nomade dei Fulani) sono acuite proprio dalle attività dei fondamentalisti, che reclutano adepti tra queste persone e li fanno combattere. A questi fattori si aggiungono gli enormi disagi creati dal cambiamento climatico, che ha reso i pascoli e i terreni abitabili sempre più ridotti e dunque contesi.
Luca Oggionni