Sacrificare la libertà individuale sull’altare della sicurezza

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Il vero politico è colui che prende le decisioni in situazioni di crisi

-Carl Schmitt

In tali circostanze i cittadini decidono di sacrificare la libertà individuale in nome della sicurezza.

Le situazioni d’emergenza (come quella attuale) sembrano, infatti, imporre la necessità di affidarsi ad un’autorità. Nel nostro caso si tratta dello Stato, che ci offre la sua protezione con fare paterno, ma viene da chiedersi: a che prezzo?

Dallo scoppio della pandemia abbiamo assistito alle reazioni degli Stati di ogni parte del globo.
Pur variando da Paese a Paese, le misure assunte hanno sortito un effetto comune: l’aumento esponenziale dei poteri statuali e l’obbligo di sacrificare la libertà individuale. Secondo l’Economist è il più alto incremento dei poteri dello Stato dai tempi della seconda guerra mondiale.

Se la minaccia alla sicurezza negli Stati Uniti si è tradotta in una corsa alle armi, in Italia, come nel resto d’Europa si è verificato un progressivo rafforzamento delle funzioni del governo (in UK il Parlamento ha delegato provvisoriamente poteri “speciali” a Boris Johnson, in Italia la produzione ipertrofica di decreti ha scavalcato il Parlamento).

A Singapore ed in Corea del Sud un’app ha permesso di tracciare gli spostamenti dei cittadini potenzialmente contagiosi, sacrificandone la privacy. La Cina, prima a dover fronteggiare l’epidemia, si è servita di un sistema di sorveglianza di massa, applicando misure coercitive contro chiunque violasse le regole. Similmente in India alla polizia è stato ordinato di sparare a chi non rispetti i divieti. Israele ha sfruttato le tecnologie militari volte a sventare attacchi terroristici, per monitorare la diffusione del contagio.




Fino al caso limite dell’ Ungheria, in cui Orban, col pretesto della situazione d’emergenza, ha dato il colpo di grazia ad una democrazia, ormai fragile, svuotando il Parlamento di ogni funzione rilevante.

Eppure i cittadini sembrano gradire queste misure di sicurezza.

Lo dimostra l’improvviso aumento del consenso verso leader, dapprima aspramente criticati. Ed è il motivo per cui il paternalismo dei sindaci italiani o del governatore della Campania riceve tanta approvazione.

Le persone hanno bisogno di sentirsi protette, di qualcuno che le redarguisca se non rispettano le regole, imposte (ovviamente) per il loro bene!

Eppure proprio qui risiede il pericolo. Yuval Noah Harari, in un articolo sul Financial Times, mette in guardia sulla raccolta dei dati biometrici, che “permettono alle aziende di conoscerci meglio, predire i nostri sentimenti, manipolarci e venderci tutto ciò che vogliono, che siano prodotti o politici”.

Attenzione quindi, a sacrificare la libertà individuale, ad affidare agli altri la nostra sicurezza, perché si rischia, un giorno, di svegliarsi in trappola.

L’emergenza finisce e noi diventiamo “vittime dell’abitudine a servire”, dimentichiamo che forma ha la libertà. Come affermava Etienne de la Boetie, infatti, nel “Discorso della servitù volontaria”

Il potere di chi governa origina sempre da una compiacente concessione dei sudditi.

Perché la libertà fa paura, in quanto spesso significa solitudine, incertezza, mancanza di garanzie e, per questo, appare incompatibile con il bisogno umano di sicurezza.
Eppure, come affermato da Bauman, non è così: entrambe sono indispensabili per una vita decente e dignitosa.

Dinanzi a quest’aporia, la soluzione sembra giungere proprio da Harari, che auspica ad un uso della tecnologia che, anziché controllare i cittadini, sia volto a responsabilizzarli, a renderli consapevoli dei rischi e delle conseguenze delle loro azioni e per questo in grado di decidere da soli.

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