Rwanda, il paese delle donne: dal genocidio alla riconciliazione

Sono trascorsi 25 anni da uno dei genocidi più tremendi della storia, quello consumatosi in Rwanda nel 1994, durante una delle primavere più vergognose che si rammentano. In questi giorni si riparla di Rwanda: fa capolino nelle pagine dei giornali un fatto storico sibillino che narra ciò che è stata ed è ancora la decolonizzazione del continente africano.

Il caso diplomatico ‘Hotel Rwanda’: luci e ombre su una storia ancora viva e controversa

Ha fatto discutere la richiesta dell’Ambasciata del paese di non proiettare il film ‘Hotel Rwanda’ sul genocidio del 1994 nell’ambito della rassegna “Musica e Storia”, organizzata dalla Fondazione Siotto. Istituita nel 1986, la Fondazione Siotto di Cagliari  è stata inserita – unico caso italiano – tra gli Istituti nazionali di Alta cultura nella tabella del Ministero dei Beni e le Attività Culturali.

Un riconoscimento istituzionale di grande valore alla luce dell’ampio ventaglio di iniziative ed eventi culturali che la Fondazione organizza ogni anno. Un caso diplomatico, quello della richiesta di non proiettare il film, evaporato in pochi giorni, ma che getta luci e ombre su una storia ancora viva e controversa.

La Fondazione Siotto: “Hotel Rwanda è un film. Nulla di più”

Paul Rusesabagina
Paul Rusesabagina

Alla comunicazione scritta da parte dell’Ambasciata del Rwanda a Parigi (dalla quale dipende anche l’Italia e il suo console onorario) in cui si invita a sospendere la proiezione del film, sono seguite telefonate e mail da parte di associazioni, organizzazioni non governative, privati cittadini e anche di funzionari di altre ambasciate in Italia.

Ciò che ci viene segnalato è che il protagonista del film, Paul Rusesabagina – ha spiegato Francesco Accardo, consigliere di amministrazione della Fondazione – sia in realtà un impostore, che non abbia mai salvato nessuno e che recentemente abbia fatto alcune uscite pubbliche di carattere negazionista legate agli avvenimenti di 25 anni fa”.

La Fondazione si è così rivolta al Governo Italiano e agli Uffici del Ministero degli Esteri per ricevere indicazioni su come reagire a quello che fin da subito si palesava come un incidente diplomatico. Infine, la Fondazione ha deciso di proiettare ugualmente il film, consentendo ai relatori la piena libertà di contestualizzare i fatti e i protagonisti. “Hotel Rwanda è un film – ha aggiunto Francesco Accardo – nulla di più”.

C’è una storia che viene narrata nei film, in cui immaginazione e verosimiglianza entrano addirittura nelle sedi diplomatiche, provocando diatribe che si consumano a colpi di lettere formali e moniti istituzionali. C’è poi una storia narrata dal basso, in cui sogni e verità entrano a far parte di una narrazione altra. C’è una politica fatta dalle persone, dalle donne in questo caso, che fa emergere un’altra storia del Rwanda. Una storia che passa nei sotterranei delle ambasciate e dei ministeri e che viene narrata nel documentarioRwanda, il paese delle donne’.

Rwanda, il paese delle donne: quel 70% che ha ricostruito il paese

‘Hotel Rwanda’ è un film, ma i film raccontano storie tramite immagini e quest’ultime restano inchiodate negli occhi delle persone. Lo stesso effetto ha sortito un altro documentario, più recente e meno famoso, che parla di un altro Rwanda, quello delle donne.

Dopo l’infame genocidio di oltre 800 mila ruandesi, principalmente appartenenti all’etnia tutsi ma in parte anche della controparte hutu moderata (ossia quella parte di popolazione hutu che si è rifiutata di imbracciare le armi contro i propri vicini di casa tutsi), il paese contava una popolazione composta dal 70% di donne. Donne violentate, con in grembo bambini concepiti nel sangue, spesso portatrici del virus HIV, vedove, sole e tormentate dalle vicende del genocidio, che hanno cominciato a riunirsi, dapprima solo per piangere insieme, poi per rimboccarsi le maniche e ricostruire, mattone su mattone, una coesione sociale frantumata dal conflitto.

Siete delle eroine”, afferma una giovane ruandese, nata dalle ceneri del genocidio, nel documentario sopracitato ‘Rwanda, il paese delle donne’, rivolgendosi a quelle mamme che 25 anni fa hanno portato avanti gravidanze causate da efferate violenze.

Le donne e la rinascita del continente africano

Una riconciliazione difficile resa possibile dalla forza e dal coraggio di queste donne. Nelle pagine della storia le donne non emergono spesso e il loro ruolo di artefici del cambiamento poche volte è stato narrato.

In Rwanda, donne di varia estrazione sociale si sono unite, dapprima per esprimere solidarietà reciproca e raccontare le proprie dolorose storie, poi per ricostruire il paese, sia dal punto di vista strettamente economico sia culturale, valoriale, sociale. Mosse dai valori della non violenza, dell’uguaglianza, della pace e della dignità, queste donne si sono unite in associazioni, hanno aperto scuole, sono tornate nei campi, hanno dimostrato di poter gestire attività economiche ed imprenditoriali.

Il Rwanda oggi conta il 64% di parlamentari donne, un primato mondiale. Grandi forme di emancipazione occupazionale, culturale e politica sono state introdotte in un paese che oggi viene annoverato tra i più dinamici dell’Africa per il suo alto tasso di crescita (tra i più elevati del continente), per la sua capacità di risollevarsi dalle macerie. Tutto questo grazie alle donne, la cui sensibilità ed energia riusciranno forse un giorno a trasformare il Rwanda in una vera democrazia e a superare le diversità etniche.

Riusciranno anche a trasformare il processo di decolonizzazione in un processo di pace e riconciliazione, in un processo di rinascita del continente africano?

Giulia Galdelli

 

 

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