Secondo Javier Cercas il romanzo come genere letterario esiste per sollevare domande morali. Ma allora qual è il ruolo del romanziere nella società contemporanea? La risposta distingue tra letteratura e dibattito pubblico. Nel secondo contesto, infatti, il romanziere agisce come intellettuale: una voce critica con il dovere di preservare la dignità collettiva.
La “teoria del punto cieco” e il ruolo del romanziere
Nel 2015 lo scrittore Javier Cercas esponeva la propria “teoria del punto cieco”. In sintesi – per approfondirla vi rimandiamo a questo articolo – Cercas pensa che al cuore del romanzo come genere letterario ci sia una domanda morale. Il romanzo, cioè, non serve a semplificare la realtà o a fornire risposte. Serve a offrire una rappresentazione del reale problematica che impegni la riflessione del lettore. Questa teoria ci porta a chiederci quale sia il ruolo del romanziere nella società contemporanea. Se, infatti, è sua prerogativa stimolare il pensiero critico dei lettori, quali sono le modalità e i limiti del suo intervento nel dibattito pubblico?
Una coscienza inquieta ed inquietante
Come Jean-Paul Sartre, Cercas concepisce la letteratura non come intrattenimento, ma come azione. Scopo di quest’azione è rivelare il reale. La letteratura, cioè, dovrebbe mostrarci la realtà – quella morale e politica quanto quella fisica – come se la vedessimo per la prima volta. Questa rivelazione porta alla rivoluzione. Infatti, strappando alla realtà la maschera dell’abitudine, lo scrittore può rimettere in discussione i valori comunemente accettati. La letteratura, in questa prospettiva, è strumento per cambiare il mondo perché porta gli uomini, trasformandone lo sguardo, ad assumersi le loro responsabilità. Lo scrittore, di conseguenza, è la coscienza inquieta e inquietante che contribuisce al progresso morale della società. Cercas, dunque, ci invita a pensare lo scrittore contemporaneo come un Socrate che percorre avanti e indietro la polis scuotendo le coscienze? Non proprio.
Il ruolo del romanziere non è quello di ideologo
Cercas non è d’accordo con le conclusioni del filosofo francese nel saggio Che cos’è la letteratura?. Infatti, mentre Sartre propone una letteratura al servizio della rivoluzione proletaria, per lo spagnolo la letteratura deve essere indipendente dalle ideologie. Certo, il romanziere può (e forse dovrebbe) avere passioni ideologiche e convinzioni forti. Tuttavia, il romanzo non è un semplice strumento per illustrarle. Il romanzo è piuttosto uno spazio di critica e di rielaborazione, per il romanziere come uomo non meno che per il lettore. Compito del romanziere, in altre parole, non è offrire certezze ma strumenti per coltivare l’arte del dubbio e il pensiero critico.
Romanziere e intellettuale
Di fatto, però, il romanziere è anche un cittadino e, se ha successo, un personaggio pubblico. In quanto tale, ha la responsabilità di intervenire nel dibattito pubblico ogni volta che la sua coscienza lo esige. Quando si pronuncia su questioni pubbliche, il romanziere assume il ruolo di intellettuale. Un ruolo molto rischioso. Non solo perché così rischia di farsi conoscere più per le idee politiche che per le sue opere. Il rischio maggiore è quello di essere costretti a tradirsi. Secondo Cercas, tra il mestiere di romanziere e il ruolo di intellettuale esiste una tensione inevitabile. Infatti, mentre il romanziere coltiva il dubbio, l’intellettuale è obbligato a prendere una posizione chiara su problemi scottanti.
Errori passati e prospettive future
Secondo Cercas, è possibile che l’attività di romanziere e quella di intellettuale si stimolino reciprocamente, ma la convivenza resta difficile. Anche perché un eccesso di visibilità, soprattutto nell’epoca dei social media, potrebbe far commettere gli stessi errori di molti intellettuali del XX secolo. Questi, come una “casta di bambini viziati”, non si fecero scrupolo di appoggiare cause discutibili per godere di qualche beneficio. Oggi, spiega lo scrittore spagnolo, la figura dell’intellettuale ha cambiato connotati e per questo è difficile riconoscere subito la sua influenza. Eppure, il numero degli intellettuali e l’attenzione mediatica verso di essi è in costante crescita. Ciò rende urgente, tanto per il romanziere quanto per qualsiasi personaggio pubblico, comprendere davvero il compito dell’intellettuale.
Un intellettuale possibile?
L’intellettuale, secondo Cercas, è la persona che sui temi più divisivi e decisivi per la società si schiera secondo coscienza. La sua capacità di riflettere preserva la dignità collettiva. Si tratta di un servizio pubblico da svolgere con onestà. L’onestà dell’intellettuale dipende dalla sua capacità di formulare idee in accordo con le quali sia disposto a vivere, indipendentemente dalle convenienze. Poiché le sue convinzioni sono davvero meditate, l’intellettuale può esprimersi con credibilità. Senza alzare la voce. Senza assumere pose oracolari da salotto televisivo.
Nell’epoca contemporanea basta un tweet per scatenare un vespaio. Un’idea sembra poter essere espressa solo ad alta voce e con toni offensivi. Ragionando su questo fenomeno, Marcello Fois lo scorso anno ha affermato che – in particolare in Italia – ormai l’intellettuale ha perso la sua battaglia. Forse Fois si sbaglia. Forse l’intellettuale può ancora – anzi, deve – pronunciare dei “no” decisivi. Il primo “no”, pacato ma deciso, potrebbe essere quello rivolto a questa modalità discorsiva. Un “no” che, per chi lavora con le parole allo scopo di stimolare il pensiero critico, diventa ancor più che per altri professionisti un dovere di coscienza.
Valeria Meazza