Aumentano drasticamente i flussi migratori verso le isole spagnole. Le tragedie in mare ora si consumano anche sulla rotta atlantica, nuova frontiera dell’immigrazione.
La rotta atlantica
Rispetto allo scorso anno i flussi migratori verso le isole spagnole sono aumentati di otto volte, portando l’attenzione sul delinearsi della nuova rotta atlantica.
L’Atlantico, in realtà, non è nuovo alle migrazioni che dall’Africa arrivano alle isole Canarie. Questo fenomeno era già ampliamente presente prima che iniziassero le migrazioni verso il continente europeo passando per l’Italia. Le rotte verso le isole Canarie, sorte nel 1994, si sono intensificate negli anni duemila, incontrando poi una battuta d’arresto nel 2006. Con la successiva ripresa di questi flussi migratori, il governo spagnolo ha intensificato le operazioni di salvataggio in mare. Con il tempo, però, la politica di esternalizzazione delle frontiere (ovvero la collaborazione con i Paesi di origine e transito dei flussi) è divenuta il cavallo di battaglia per arginare i moti migratori. Il risultato di pattugliamenti e accordi con i Paesi di origine e di transito, è stato un drastico calo dei flussi attraverso la rotta atlantica. Nel 2010 il numero di migranti arrivati alle Canarie dall’Atlantico era di sole 196 persone.
Il problema, o meglio la questione, è tornato a ripresentarsi con l’inasprirsi delle condizioni socio-politiche dei paesi di origine dei flussi migratori. Non solo: tra le principali cause che hanno ricondotto all’utilizzo della rotta atlantica ci sono le condizioni disumane cui sono sottoposti i migranti in Libia. Questo Paese, infatti, funge da crocevia per i flussi diretti all’attraversamento del Mediterraneo. Molte sono le inchieste e i report che denunciano i feroci trattamenti nelle prigioni libiche dove i migranti vengono detenuti e privati dei loro diritti. Per evitare di incorrere in questi scenari, molti decidono di percorrere un tragitto più pericoloso: quello attraverso l’Atlantico.
Verso le Isole Canarie: il record del 2020
È così che, dopo anni, sono ripresi gli sbarchi sulle Isole Canarie, partendo principalmente da Marocco e Mauritania; ma anche da Senegal e dal porto di Dakhla. Secondo l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), dal settembre al novembre 2020 sono state 5mila le persone che hanno percorso questa pericolosa tratta. Si sono spostate a bordo di 200 imbarcazioni più che precarie e purtroppo non senza vittime. Si tratta di cifre dieci volte superiori se confrontate a quelle dello stesso periodo del 2019. A confermare i numeri dell’OIM anche un report del giornale spagnolo El Confidencial. Secondo il documento, nel 2020 sarebbero state circa 18.400 le persone emigrate nelle Isole Canarie attraverso la rotta atlantica. Tale rotta è stata riscoperta anche a seguito della chiusura delle frontiere per la pandemia da Covid-19; ma l’elevato numero di contagi, sommato all’impreparazione del governo di Madrid nel far fronte al rinnovato -ma non nuovo- flusso migratorio, ha scatenato una crisi politica interna alle isole.
La stretta imposta agli attraversamenti sulla rotta del Mediterraneo occidentale; la continua cooperazione tra Marocco e Spagna; l’instabilità della situazione in Libia; la militarizzazione delle rotta centro-mediterranea sia a mare che a terra (nei luoghi di transito) e l’assenza di canali migratori legali lasciano ben poche opzioni per coloro che decidono di migrare
(Nando Sigona, professore di Migrazioni internazionali presso l’Università di Birmingham)
Persone da accogliere e persone da espellere
Nonostante questi preoccupanti numeri, le parole del governo spagnolo e dell’Unione Europea suonano contraddittorie. Se, infatti, da un lato promettono un maggiore impegno per salvaguardare l’incolumità e i diritti di chi intraprende questo pericoloso viaggio, dall’altro rimarcano sulla necessità di intensificare ed accelerare le espulsioni nel caso di persone che non hanno bisogno di protezione internazionale. Ma come si può giudicare non meritevole di protezione chi mette a repentaglio la sua vita per cercare di avere una possibilità di sopravvivenza? Tra questi “non meritevoli” sembrerebbero rientrarvi i cosiddetti migranti economici che, secondo il governo spagnolo, costituiscono il 90% di chi arriva nelle Canarie; mentre l’asilo sarebbe riservato solo a persone soggette a situazioni di vulnerabilità. Non è chiaro, però, quali siano queste situazioni di vulnerabilità e se, ad esempio, vi rientrino le instabilità politiche che colpiscono diversi stati del continente africano, come quelli della fascia saheliana.
Disordini e crisi climatica
Secondo l’ONU, infatti, i disordini in Sahel sarebbero responsabili dell’aumento dei tassi di immigrazione. A questa causa si aggiunge, e si concatena, un’altra: i cambiamenti climatici. Questi ultimi generano situazioni precarie e di instabilità interne ai Paesi dovuti a diversi fattori come, ad esempio, il controllo delle fonti d’acqua. Ed è sempre l’ONU a riconoscere, tra le cause dei flussi migratori verso le Canarie, i cambiamenti climatici che starebbero rendendo la vita in Africa occidentale ancora più difficile.
Tuttavia, quella del migrante climatico, o migrante ambientale, è una condizione non ancora riconosciuta a livello giuridico; pertanto tutti coloro che decidono di lasciare il proprio Paese per motivazioni di tipo ambientale non ricevono il giusto supporto. Eppure si tratta di un numero considerevole di persone ed è ormai conclamato come la questione climatica sia strettamente legata al benessere di un Paese e dei suoi abitanti. Non solo: il numero dei migranti climatici è destinato ad aumentare, col peggioramento delle condizioni globali, tra surriscaldamento e inquinamento.
Inutili muri
Intanto le persone continuano ad attraversare confini, via terra e via mare, a rischiare la vita per cercare condizioni migliori. E purtroppo c’è chi la sua vita la perde. L’ultima tragedia nella rotta atlantica è stata registrata lo scorso sei gennaio quando quattro persone hanno perso la vita cercando di raggiungere l’isola di Tenerife.
La riscoperta della rotta atlantica è la prova che alzare muri, invisibili o materiali, non fermerà le persone dal desiderio di una vita migliore. È importante prendere atto di questa secolare ovvietà e comportarsi di conseguenza con provvedimenti reali che non siano il voltarsi dall’altra parte o la creazione di stati cuscinetto in cui relegare i migranti per evitare che raggiungano i nostri confini, in una sorta di limbo disumanizzante.
Marianna Nusca