Rosalie Fish corre per i diritti delle donne indigene

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Corre Rosalie Fish…per sé stessa, per il suo popolo e per i diritti femminili. 20 anni, nata ad Auburn, in Alabama, Rosalie è molto più di una tipica, talentuosa sportiva.  Appartiene alla tribù  indigena dei Cowlitz, della riserva Muckleshoot, e le gare di atletica leggera sono il palcoscenico della sua attività politica. Una potente piattaforma come strumento di denuncia per le scomparse e i femminicidi delle donne indigene, sempre più frequenti negli Stati Uniti e in Canada.

La denuncia

Le donne indigene in alcune riserve corrono un rischio di subire violenze sessuali o di essere uccise dalle due alle dieci volte superiore alla media statunitense. Più dell’ottanta per cento di loro è stata vittima di episodi di violenza  nel corso della propria vita.  Sono questi i tragici dati resi noti dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Una corsa per la sopravvivenza

Quei numeri non hanno lasciato indifferente Rosalie Fish, studentessa della Iowa Central Community College con la passione per l’atletica, che si è fatta portavoce della causa impegnandosi in una intensa campagna di sensibilizzazione che dall’istituto ha portato sino ai grandi media una piaga sociale che sempre di più affligge Stati Uniti e Canada. Lo sport al servizio della politica? Non esattamente…

“Per molti dire che non voglio che le donne indigene siano ignorate è una dichiarazione politica. Io che lotto per Missing and Murdered Indigenous Women (Donne indigene uccise e scomparse), diranno che è politica. Per me, invece, è sopravvivenza”

Proprio la sua attività sportiva, e le gare di atletica tra le fila del suo istituto, hanno rappresentato il veicolo migliore. Ogni gara, Rosalie ha portato dipinta sul volto una mano rossa, e le lettere MMIW scritte sulle gamba. Ogni gara, Rosalie l’ha dedicata ad una diversa donna indigena assassinata nel suo paese. Sino alla chiamata dell’Università di Washington, che la ha scelta tra le proprie fila.

“Washington ha 29 tribù riconosciute federalmente, ma gli atleti e i giovani indigeni raramente si vedono rappresentati nello sport. Ci  faremo vedere e chiederemo di essere riconosciuti. Siamo noi a dettare le regole di quello che le prossime generazioni raggiungeranno, e c’è ancora molto lavoro da fare”

Un palcoscenico più grande per combattere questa battaglia.
Una gara che Rosalie non corre da sola. Gareggia per le donne, vince per il suo popolo. Sfreccia per liberarsi, per liberare, per rivendicare i diritti sottratti alle donne indigene. Scatta con l’orgoglio e la fierezza, ma anche con la lucidità di chi sa che la guerra è appena cominciata. Corre, Rosalie. Nella speranza che presto si intraveda la meta. Per lei, per le donne indigene, per il mondo.

Beatrice Canzedda

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