Room, stanza. Questo film, candidato gli oscar come miglior film, racconta di come una Stanza possa essere tutto il nostro mondo e come questa concezione della realtà influisca sul nostro modo di viverla. Riduttivo sintetizzare la trama così, lo ammetto, ma quello che suggerisce questa storia è così immenso che bisogna andare per gradi, facendo passo dopo passo un’osservazione dopo l’altra.
Jack (Jacob Tremblay) è un bellissimo bambino nato e cresciuto all’interno di una stanza, dove vive con sua madre. Joy, “Ma’“(Brie Larson -vincitrice agli oscar come miglior attrice protagonista-), l’ha cresciuto indottrinandogli il credo che Stanza sia il mondo in cui loro vivono e che appena fuori ci sia Cosmo, che è grande e immenso e la fetta di cielo che vedono dal lucernario sul tetto è solo una piccola sintesi; c’è la Tv, che è una scatola magica da cui escono immagini di cose non reali e dalla quale Old Nick esce il cibo per nutrirli, quando viene a fargli visita.
Così è come Jack vive la realtà e così è come Joy gliela propina, per proteggerlo dall’orrore della loro condizione reale, condizione che noi spettatori comprendiamo già dai primi frame, grazie anche ai colori cupi e freddi che sanno di luogo squallido e all’aspetto fisico di Joy e Jack, un po’ malaticcio e pallido: questa madre e il suo bambino sono segregati in quella stanza, da quando Joy è stata rapita da quello che chiamano Old Nick, sette anni prima. Questo ritaglio di realtà contrasta con il punto di vista narrativo, quello di Jack, che vive e vede tutto con estrema serenità e candore, vivendo la sua vita all’interno di Stanza, che è il suo mondo e tutto ciò che vede alla televisione è finto, immaginario. Solo Lampada, Armadio, Sedia Uno e Sedia Due, Ma’ e lui sono reali, il resto non conta, il resto è finzione. Il giorno del suo quinto compleanno, però, il mondo di Jack inizia a tremare, scrollato da qualche dubbio su cosa ci sia intorno a Stanza, in seguito anche a un incontro con un piccolo topo che sbuca fuori da un mobile: ma com’è possibile? Topo è vero? Non era immaginario, come i cani, gli scoiattoli e gli alberi alla Tv?
Joy, esasperata dalla loro condizione, decide di spiegare tutto al piccolo Jack, paragonando la sua sventura ad Alice nel Paese delle Meraviglie: anche Joy è caduta in un buco, per colpa di Old Nick, dove è stata catapultata nel mondo di Stanza, ma prima viveva altrove, fuori da quella porta, nel Mondo. Cos’è Mondo? E’ quello che c’è fuori da Stanza, oltre il muro: dove c’è un muro c’è sempre un fuori e un dentro, loro sono dentro e Jack non ha la più pallida idea di cosa sia Fuori. Il bambino viene stravolto da questa rivelazione e inizialmente non ci crede, chiudendosi in quello che conosce. Ma poi, con calma e con amore, Ma’ riesce a calmarlo, a spiegargli tutta la storia e ad architettare insieme una fuga, per scappare via, oltre quella porta blindata di cui non conoscono il codice.
Dopo diversi stratagemmi riescono a elaborare la strategia più efficace per sgusciare fuori e dopo un susseguirsi di vicende che ci tengono con il fiato sospeso, ci riescono. Ed ecco Jack nel Mondo, alla scoperta di quello che al di fuori di Stanza esiste e di cui non poteva immaginare l’esistenza. Veniamo accompagnati dai suoi occhi durante tutto il periodo di paura e rivelazione come se fossimo noi stessi a vedere le cose per la prima volta. Jack Newsome (cognome rivelatore: “qualcosa di nuovo”) conosce Nonno e Nonna, i quali sono immensamente felici e sollevati dall’aver ritrovato la loro figlia e accolgono il piccolo nella loro casa. In una scena, mentre sono all’ospedale, Jack, voce narrante di tutta la storia, dice “sono al mondo da 37 ore” e inizia ad elencare le nuove parole che ha imparato. Ancora Jack contrappone il candore e la genuinità di un bambino alle vicende drammatiche della storia, dove Joy si ritrova a dover fare i conti con una realtà che in qualche modo ha rimesso al mondo anche lei, chiedendole di adattarsi nuovamente a nuovi contesti alla quale non era più abituata e a dover riflettere sulle sue scelte, anche nei confronti dello stesso Jack, soprattutto quando affronta un’intervista in cui le viene chiesto come mai, una volta nato Jack, non ha pensato di chiedere al suo rapinatore di salvare almeno lui e portarlo via, per concedergli una vita migliore.
Insomma, quello che vediamo, durante tutta la pellicola, non è soltanto un bambino che, seppur a cinque anni scopre per la prima volta un mondo nuovo, ma anche sua madre. Entrambi vengono investiti, nonostante si tratti di livelli emotivi e mentali diversi, da nuove e stravolgenti concezioni di sé e della realtà circostante. E tutto questo è fatto in maniera così coinvolgente, così determinante e così commovente, che in qualche modo anche noi ci riscopriamo immersi in qualcosa di nuovo.
Verso la fine del film, vediamo Jack e Ma’ inseriti, ormai, in quel Mondo. Jack però, ha un ultimo desiderio: rivedere Stanza. Un po’ riluttante, Joy glielo concede e insieme vanno in quel capanno che adesso è ancora più spoglio perché la polizia ha preso tutto come prove. Jack saluta tutto, Armadio, Sedia e Tavolo e invita Ma’ a fare lo stesso. Così, insieme, mano nella mano, li vediamo uscire da Stanza e darle le spalle, in direzione di Mondo e quello che li aspetta.
E se fossimo tutti Jack? Se anche il nostro Mondo, in realtà non fosse tutto? Se anche noi, in fondo, vivessimo attorniati da muri oltre i quali sconosciamo Fuori?
Forse non è Noi-Mondo-Cosmo; forse c’è qualcos’altro che semplicemente ignoriamo. Perché c’è una Ma’ che ci ha insegnato così, perché c’è in noi la comodità di credere che sia così e basta; perché, sebbene qualcuno abbia provato a scuoterci, noi ci siamo chiusi, per paura e tristezza, nella nostra Stanza. Eppure, anche noi abbiamo un lucernario sulla testa che ci suggerisce il cielo, qualcosa di grande, qualcosa di esterno.
Chi lo sa, forse è così.
Gea Di Bella