“Roma guerra totale”: Con l’addio di De Rossi e le dimissioni di Totti si è aperta una crisi senza precedenti
Prima l’addio di Totti al calcio giocato, poi il divorzio decisamente inaspettato con De Rossi, infine le dimissioni da dirigente dell’ex numero dieci giallorosso. In mezzo, una stagione esaltante – nessuno può dimenticare la semifinale raggiunta in Champions League nel 17/18 – e una assolutamente fallimentare.
Sono queste le principali tappe che hanno portato la Roma al disastro in cui boccheggia oggi. A nulla servono i comunicati e le dichiarazioni di una società incapace a nascondere l’evidente guerra totale che è in atto al suo interno e che, anche per questo, sembra aver perso legittimità non solo verso i tifosi, ma anche verso gli organi di stampa e le numerose stazioni radiofoniche locali che si occupano di Roma h24 e che tentano, ognuna seguendo i propri interessi, di trovare una quadra in mezzo alle macerie.
Complesso è certamente, per chi vede da fuori, comprendere cosa sta accadendo dentro al raccordo anulare. Quando nel 2011 la squadra capitolina è passata nelle mani della cordata americana (capitanata da Thomas DiBenedetto prima e James Pallotta poi, che ne acquisisce pieni poteri soltanto a partire dal 2014) il futuro sembrava, ai più, florido. Un progetto tecnico chiaro, obiettivi dichiarati, internazionalizzazione della società, inserimento nei circuiti che contano, ma anche e soprattutto costruzione dello stadio di proprietà, conditio sine qua non per competere a grandi livelli.
Con gli americani dal 2011, nessun trofeo e molte polemiche
Otto anni dopo, se non fosse sportivamente tragico, verrebbe quasi da ridere. Dello stadio non c’è traccia, se non nei faldoni della procura e nelle continue retromarce di Virginia Raggi – non casuali le sue parole di sostegno a Totti in rotta totale con la proprietà americana, ovvero i promotori del progetto – , così come risulta comicamente vuota la bacheca dei trofei. Pur riconoscendo a Pallotta & co alcuni apprezzabili risultati sul piano di comunicazione e marketing (accordi commerciali, crescita sui social, partecipazione a tornei internazionali, apertura verso mercati emergenti), il progetto tecnico, smentito di anno in anno, di svendita in svendita, di delusione in delusione, si può dire, senza paura alcuna, è semplicemente fallito.
Tutto è imploso durante l’ultima stagione: una sessione di calciomercato del presunto mago Monchi disastrosa, una fiducia a un allenatore che aveva perso lucidità e polso, la fuga finale dei due. A poco è servita la chiamata di Claudio Ranieri per salvare il salvabile. E infatti nulla è stato salvato, se non, forse, il richiamo alle radici di un certo romanismo che passa, inevitabilmente e direttamente, proprio per Francesco Totti e Daniele De Rossi e che, secondo la ricostruzione di alcuni, sarebbe sotto esplicito attacco della proprietà stessa.
La Roma come immagine di una città buffa e disperata, esausta e sognatrice
Nel contorto e sadico gioco dell’ambiente romanista – e forse del calcio in generale – tuttavia, anche le due bandiere giallorosse, loro malgrado, finiscono per essere frullate nel caleidoscopico universo delle misteriose forze che si muovono attorno alla Roma e che vengono plasmate, gonfiate, alimentate quotidianamente da speaker delle radio locali, politici con interessi fumosi, generoni da circolo, amici e spifferatori magazzinieri, giornalisti in cerca dello scoop della vita e molto altro.
Tutto sembra vero e tutto sembra falso a Roma, e il tifoso, come un elettore indeciso, ascolta, insegue, cambia idea, urla, litiga e, faticosamente, a fine giornata, torna in sé, per poi ricominciare il giorno successivo. De Rossi attacca Baldini e difende Totti. Il cugino dello zio della madre, però dice all’amico di un giornalista di Repubblica che non è vero niente. E allora via, ore di diretta sul rapporto tra De Rossi e Totti. Poi arrivano i vip. Verdone dice la sua, Amendola dice la sua, Venditti dice la sua, Gasparri, sì, pure Gasparri dice la sua. E ancora conferenze stampa, smentite, minacce di querele, articoli, audio di WhatsAapp, presunte cordate comandate da Malagò, chiacchiere, dicerie, m’hanno detto che…
Alla fine resta solo la sensazione di vuoto e impotenza di una città buffa e disperata, che insegue il calcio specchiando se stessa e scoprendosi ogni volta impicciona, immatura, sporca, esaurita, arrabbiata, esausta, ma anche, e per sempre, tragicamente sognatrice. Come tutto è iniziato, tutto finirà, verrà un’altra stagione, e si esulterà ancora, in attesa della prossima puntata.
Giorgio Federico Mosco