Immaginate di dovervi recare in ospedale per un urgenza. Pensate anche che l’urgenza riguarda il figlio che tanto volete e che purtroppo state perdendo. Pensate anche che la diagnosi è una delle peggiori che vi potete immaginare. In quello stato d’animo difficile da comprendere pensate che l’ospedale, che vi dovrebbe curare il una quindicina di minuti per potervi permettere di tornare a casa ed essere liberi di sfogare il proprio dolore, vi imprigioni per 16 ore. Ecco questo è quello accaduto a Francesca Robertillo che racconta la sua odissea ospedaliera ora per ora su Repubblica. Lei incinta si reca al Fatebenefratelli di Roma per delle perdite. La diagnosi è una delle peggiori aborto interno alla decima settimana. Non c’è bisogno di fare il raschiamento immediatamente e gli danno appuntamento due giorni dopo alle 7.30 del mattino del 12 di ottobre. Un intervento che di solito dura 15 minuti si trasforma in un grottesco racconto di insensibilità e abbandono. Il racconto della giornalista è talmente assurdo da sembrare un romanzo di fantasia. Arriva alle 7.30 e solo alle 10 ha la certezza di dover fare il raschiamento. Sbattuta su una barella in attesa che un posto vero si liberi. Dopo un ora e mezza trova un posto ma le cose di certo non migliorano. Dal racconto della giornalista il prelievo del sangue si trasforma in un film comico di terzo ordine con le caricature degli infermieri romani, ma purtroppo è la realtà. A mezzogiorno firma il consenso informato, si sofferma a leggere le informazioni sull’intervento “Ma sono come il bugiardino delle medicine”. Alle 16 “Purtroppo la sala operatoria è occupata abbiamo altre urgenze”. Sedata per i dolori alle 17,30 dopo 20 ore senza cibo ne acqua, perché in preparazione all’intervento doveva rimanere digiuna dalla sera precedente, implora una flebo. Alle 19.45 entra in sala operatoria. Alle 20.23 si sveglia sola in una stanza con l’unico modo per sapere come sta è leggere la sua cartella “L’umanità del medico è un foglio di carta stampato”. Dopo mezz’ora scopre che dovrà dormire in ospedale e che il medico invece è già andato a casa. “Giovedì sera ho perso del tutto il mio piccolo compagno di viaggio di 2,4 centimetri e in quell’ospedale ho perso parte della mia dignità di donna e di madre”.
Queste sono le parole che chiudono il racconto da brividi della giornalista di Repubblica, vi invito se ancora non lo avete fatto a leggere direttamente le sue parole. Una storia che sembra inventata da una penna di talento che invece è l’amara verità della sanità romana. Un intervento di 15 minuti che dura 16 ore. La dignità di una persona calpestata per mancanze di un ospedale. Un dolore moltiplicato dall’abbandono e dalla superficialità di un ospedale. Troppe parole di indignazione potrebbero essere scritte e dette ma non riesco a metterle in ordine. Una storia cosi ti lascia spaesato e perso in un mondo che credevi che fosse non dico bello ma almeno non crudele.
CD