Un centro di ritrovo per anziani come quelli che siamo abituati a vedere in ogni paese, ma con l’esclusività di accogliere solo anziani gay. È l’idea che sta prendendo forma in questi giorni a Roma, con l’unico scopo di riunire sotto lo stesso tetto over 60 appartenenti alla comunità Lgbt. In Italia sarebbe quasi una novità (si è parlato della stessa idea in Emilia Romagna qualche mese fa), ma in altri stati come Spagna, Svizzera o Stati Uniti si tratta di una realtà già ben consolidata.
Promotore dell’iniziativa è Nicola Di Pietro, coadiuvato da un gruppo di omosessuali non più giovanissimi. Più che di una casa di riposo, il loro obiettivo è quello di creare una “cohousing” lgbt, uno spazio dove potersi sentire meno soli e soprattutto accettati da tutti. “Non vogliamo finire soli in un ospizio omofobico – ha spiegato Nicola Di Pietro – Vogliamo costruire una comunità dove ci sia solidarietà e dove possiamo prenderci cura gli uni degli altri”.
Una comunità dove
non sono ammesse discriminazioni di alcun genere, perché con quelle, i futuri ospiti della struttura, hanno dovuto combattere tutta la vita. Per questo, per molti di loro, quello della vecchiaia sarebbe il momento ideale in cui uscire allo scoperto e godersi gli ultimi anni in totale serenità e libertà. Nella struttura, infatti, ci sarà spazio per tutti: gente sola, soggetti con problemi economici, chi non è più autosufficiente ed anche chi è affetto da Hiv.
Tutta gente che in un centro anziani “normale” troverebbe l’ostilità di gran parte degli ospiti, complice anche una mentalità non troppo aperta da parte degli anziani di oggi. Per molti di loro sarebbe poi il momento di unirsi finalmente ad altra gente dopo aver rotto con le proprie famiglie. Per altri ancora, che hanno la fortuna di essere in coppia, sarebbe il momento giusto per godersi l’età della pensione in ottima compagnia.
Un gruppetto pronto a dar vita a questa nuova realtà esiste già ed è composto da gente con lavori e vite diverse alle spalle, alcuni di loro provengono da matrimoni etero con figli, poi finiti male. C’è chi ha da sempre dichiarato la propria omosessualità e chi invece ha sempre vissuto nell’ombra, conducendo una doppia vita. Senz’altro c’è la voglia, da parte di tutti, di abbattere i pregiudizi e di potersi vivere serenamente la propria vita sentendosi a casa.
Inevitabile pensare che in questo modo è come se si stessero auto-escludendo dalla società, rinchiudendosi in una sorta di ghetto. A chi pensa questo, loro rispondono che viviamo in un mondo eterosessuale e stanno dunque cercando di “aprire spazi di libertà in cui ciascuno possa sentirsi finalmente se stesso”.
L’idea, dunque, potrebbe presto diventare qualcosa di reale sia sotto forma di cohousing formato da piccoli gruppi, sia costruendo uno spazio residenziale aperto a tutti (anche under 60 ed eterosessuali) che diventi anche sede di attività culturali. Ma per costruire questa “Casa della diversità” occorrerebbero fondi che solo le istituzioni potrebbero versare, visto che parliamo di ingenti cifre. Ma con tutti i problemi che ci sono, saranno davvero disposte a investire per un progetto simile? La scia di polemiche sarebbe interminabile.
Gianni Chiarappa