Se oggi tutti conosciamo e amiamo Artemisia Gentileschi, vuoi per le opere, vuoi per la vicenda, è merito di Roberto Longhi e Anna Banti. Perché? Presto detto: dell’artista i due studiosi fecero un’eroina da romanzo.
Il 16 novembre ha aperto a Genova a Palazzo Ducale una mostra già molto celebrata dedicata ad Artemisia Gentileschi. In ordine di tempo è solo l’ultimo dei moltissimi eventi dedicati a una pittrice sempre più amata dal grande pubblico. La storia della fortuna critica di quest’artista è curiosa. Poco più di cent’anni fa, in pochi la conoscevano e meno ancora la studiavano. Poi arrivarono Roberto Longhi e Anna Banti, che alla “pittora” dischiusero (meritatamente) le porte del mito.
La fortuna critica di Artemisia Gentileschi dai contemporanei al 1916
Nata a Roma nel 1593, primogenita di sei fratelli e con un padre che tesorizzava la lezione caravaggesca, Artemisia Gentileschi ebbe una vita eccezionale. Il suo talento e il carattere deciso e ribelle la condussero a Firenze, Genova, Venezia, Napoli e in Inghilterra, alla ricerca di sempre nuove commissioni. Lavorò per sovrani illustri come Charles I e Filippo IV di Spagna, ebbe per amici Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il giovane. Poté difendere legittimamente le proprie richieste economiche e le proprie capacità, scrivendo ai propri committenti esattamente quanto avrebbe accettato di essere pagata. Promettendo (e mantenendo) di dimostrare loro quel che una donna pittrice potesse fare.
Il giudizio dei contemporanei sul suo lavoro, tuttavia, fu altalenante e spesso fortemente viziato da pregiudizi di genere e legati alle sue vicende personali. Artemisia, infatti, da ragazza era stata vittima di uno stupro cui era seguito un processo scandaloso. Il colpevole, Agostino Tassi abilissimo pittore che il padre stimava e le aveva concesso come maestro di prospettiva, l’aveva disonorata. Anche se lui era stato condannato, la fama di donna fin troppo estrosa anche nella scelta degli amanti inseguì l’artista per tutta la vita.
Di lei parlò con stima, per esempio, Joachim von Sandrart, autore di un’importante raccolta di vite degli artisti, sul finire degli anni ’70 del Seicento. Filippo Baldinucci, dal canto suo, nel 1681 dedicava un’attenta analisi ai lavori del periodo fiorentino dell’attività della pittrice. Lo stesso avrebbe fatto un secolo dopo anche Bernardo De Dominici, dedicandosi però al periodo napoletano. La maggior parte dei critici e degli esperti d’arte, però, nei propri lavori sostanzialmente la ignorava.
Questa tendenza continuò a manifestarsi anche nei secoli successivi, tanto che Artemisia fu considerata più con curiosità che con interesse e rispetto sul piano storico-artistico. Certo, ci furono anche dei sinceri estimatori, ma non si sentì mai l’esigenza di approfondire la vicenda artistica di questa donna-pittrice.
Roberto Longhi e la “donna terribile” protagonista del Caravaggismo
Il silenzio dell’accademia su Artemisia Gentileschi si protrasse, ostinato, fino al 1916, data in cui usciva un articolo dal titolo Gentileschi padre e figlia. A scriverlo era un giovane e brillante studioso che in pochi anni avrebbe maturato una carriera eccezionale: Roberto Longhi. Non ancora una celebrità nel mondo della storia dell’arte, Longhi elaborò questo articolo per sviluppare il tema che maggiormente lo interessava: il Caravaggismo. In particolare, la sua ipotesi era che i Gentileschi, con le loro peregrinazioni in Italia, avessero avuto un ruolo importante nel diffondere la lezione caravaggesca. Di più: che proprio Artemisia, formando alcuni grandi artisti napoletani come Stanzione e Cavallino, fosse stata l’anello di congiunzione tra Caravaggio e i fiamminghi. Dunque Artemisia Gentileschi, seppur cruciale nel discorso condotto, rimaneva una figura di sfondo. Interessante, secondo Longhi, ma non eccelsa: una maestra di minor talento degli allievi.
Ma allora perché questo articolo contribuì a elevare la pittrice nell’Olimpo della storia dell’arte? Perché Longhi dedicò a un dipinto di Artemisia, Giuditta che decapita Oloferne degli Uffizi, una delle pagine più belle mai scritte nella storia della disciplina.
Chi penserebbe […] che sopra un lenzuolo studiato di candori ed ombre diacce degne d’un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato, da parer dipinto per mano del boja Lang? Ma – vien la voglia di dire – ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto
questo? Imploriamo grazia. […] qui non v’è nulla di sadico, se anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo, ed è persino riescita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile, vi dico!
Il dipinto, dice Longhi, è difficile da guardare. Proprio fisicamente: fa contrarre le viscere per quanto è brutale e paradossalmente elegante al tempo stesso. Una donna: davvero una donna ha potuto fare tutto questo?
Anna Banti e il romanzo che Artemisia meritava
Grazie a Roberto Longhi, la critica dell’arte del primo ‘900 apriva gli occhi prima sul capolavoro e poi, progressivamente, su tutta l’opera di Artemisia Gentileschi. Ma perché la pittrice fosse consacrata quale maestra mancava ancora un passaggio. Longhi aveva dato un suggerimento. Quello di una donna particolare per status, una pittrice, che con occhio attento e cuore d’acciaio studia come poter riprodurre un fiotto violento di sangue. Di più: una donna così capace di immedesimarsi in Giuditta da preoccuparsi non dell’atto in sé, ma di non sporcarsi le vesti nel compierlo. In nuce, quella che Longhi delinea è già la figura di un’eroina da romanzo in potenza.
Perché questa potenza si traduca in atto occorre aspettare un po’, ma è colpa della guerra. Corre l’anno 1947 quando Anna Banti pubblica Artemisia, biografia dell’artista che è subito finalista allo Strega. Lo leggono (e lo amano) intellettuali come Pasolini e Contini. Lo legge e lo ama un pubblico sempre più vasto, che lo fa arrivare fino in America. E quando arriva lì, la storia della pittrice coraggiosa e ribelle che non si rassegna a un destino di vittima spopola. L’immagine del volto di Tassi come modello per Oloferne diventa icona di un riscatto a lungo atteso, ed Artemisia diventa un’eroina femminista. La sua parabola è in ascesa.
Uno degli aspetti più curiosi di questo processo è che per Roberto Longhi e Anna Banti Artemisia Gentileschi è questione di famiglia. Anna Banti, infatti, è lo pseudonimo di Lucia Lopresti, moglie di Roberto Longhi e prima ancora, ai tempi del liceo, sua allieva. Chissà che lei non se ne sia innamorata proprio sui banchi di scuola, ascoltandolo raccontare questa straordinaria pittrice…
Dopo Roberto Longhi e Anna Banti: Artemisia Gentileschi, un’eroina della pittura
Tra le pagine di Roberto Longhi e Anna Banti Artemisia Gentileschi subì un’evoluzione straordinaria. La gran parte di essa, va detto, ebbe luogo all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Qui, un sempre più maturo, consapevole e agguerrito movimento femminista intravvide nella figura dell’artista un’eroina. Cioè colei che, da vittima, si riappropria di sé facendo pagare al carnefice il giusto contrappasso, ritraendo Oloferne sgozzato con il volto dello stupratore. E acquisendosi, grazie al proprio coraggio non meno che grazie al talento pittorico, una fama immortale.
A questo punto, il gioco era fatto: dotata di una sua epica, Artemisia diveniva oggetto di molteplici studi e ricerche. Non ultime quelle di giovani studiosi appassionati che passavano al setaccio fondi e quadrerie alla ricerca dei suoi dipinti perduti. Un lavoro ben lungi dall’essere concluso, dato che oggi sono stati identificati poco più di un terzo dei quadri di Artemisia. E che si assiste quasi ogni anno a nuove scoperte e attribuzioni.
Oggi, forse, il problema è l’opposto di un secolo fa: una grande fama, condita però con un pizzico di stereotipo. Ossia, la figura iconica rischia di oscurare l’artista, con tutti i problemi che ne conseguono in campo interpretativo. Credo che Roberto Longhi e Anna Banti, però, non si farebbero scoraggiare dalla sfida di ricondurre Artemisia dal cielo alla terra. Anzi, secondo me la troverebbero appassionante.