‘‘Avrei dovuto essere un detective privato e sicuramente sarei già morto. Sarei morto in Messico a trent’anni, a trentadue anni, sparato per strada, e sarebbe stata un morte simpatica e una vita simpatica.’’ (Roberto Bolaño)
Città del Messico, 1975. Juan Garcìa Madero è un ragazzo di diciassette anni che frequenta la facoltà di giurisprudenza, appassionato di letteratura. Ulises Lima e Arturo Belano – alter ego di Roberto Bolaño e del poeta Mario Santiago – gli propongono di entrare a far parte del loro movimento, il realismo viscerale. Così iniziano I detective selvaggi, attraverso la voce di Juan Garcìa Madero:
‘’2 novembre. Sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale. Naturalmente, ho accettato. Non c’è stata cerimonia di iniziazione. Meglio così. / 3 novembre. Non so bene in cosa consista il realismo viscerale.’’
Capolavoro indiscusso di Bolaño, I detective selvaggi è stato definito da lui stesso come ‘‘una lettera d’amore’’ alla sua generazione. I poeti anarchici nel Messico degli anni Settanta: una banda di ”ragazzini entusiasti, amanti del sesso e dell’alcool”, il cui problema principale era che ”avevamo un sacco di tempo libero’’. Erano i poeti di Bolaño e Mario Santiago.
I detective selvaggi
In tutta la prima parte, la voce narrante è quella di Juan Garcìa Madero. Lo studente assiste alla nascita del realismo viscerale, e la racconta attraverso i suoi occhi di ragazzino. Grazie a lui, e con il suo entusiasmo, impariamo a conoscere il mondo pittoresco dei realvisceralisti: i posti che frequentano, le antipatie con il potere e gli altri movimenti letterari, le feste, gli amori.
Nella seconda parte invece abbiamo una sessantina di diverse voci narranti. A parlare sono molti dei personaggi già incontrati nella prima parte del romanzo. Attraverso le storie di questi, che sono appunto i nostri detective selvaggi, riusciamo a ricostruire il percorso di Ulises Lima e Arturo Belano.
Si alternano toni da intervista, flussi di coscienza, narrazioni deliranti. In modo vago e frammentato riusciamo a individuare alcuni degli spostamenti dei due veri protagonisti, che tuttavia ci continuano a sfuggire. Sono l’alter ego di Bolaño e quello del suo migliore amico, Mario Santiago.
Roberto Bolaño e Mario Santiago: l’amicizia di una vita
A Mario Santiago Papasquiaro è dedicato I detective selvaggi. È con lui che Bolaño fondò il movimento poetico chiamato infrarealismo messicano. Come dichiarò più volte Bolaño, il loro era un legame unico e speciale, che andava oltre ogni cosa.
La loro amicizia durò anche dopo il trasferimento di Bolaño in Europa. Poi Santiago morì in un incidente d’auto il 10 gennaio 1998: lo stesso esatto giorno in cui Bolaño terminò di correggere le bozze de I detective selvaggi. Mario Santiago, a cui andava tutta l’opera, non la poté mai leggere.
Il personaggio di Ulises Lima è Mario Santiago Papasquiaro, mentre Arturo Belano è Roberto Bolaño. Sono i protagonisti del romanzo, ma non parlano mai in prima persona. Sono sempre raccontati dagli altri membri del realismo viscerale, che guardano dall’esterno ai loro capi fondatori.
È anche per questo che la loro presenza si avverte comunque in modo allusivo in ogni pagina, fino ad assumere un carattere “spettrale”. Lima e Belano sono due personaggi che sfuggono, di cui i loro vecchi amici provano a mettere a fuoco le vite e il percorso. Tutto quello che riescono a fare è ricostruire alcuni episodi, ma nulla di più.
Nel romanzo, Bolaño restituisce se stesso e il suo migliore amico nel modo più onesto possibile: la fragilità del vivere. Non vuole restituire se stesso come una figura solida, cercando di resistere all’oblio cui inevitabilmente ogni vita umana va incontro. Al contrario, aderisce appieno alla sua natura di essere umano. E cioè la fragilità di un corpo che sfugge: che è là fuori nel mondo ma non si capisce bene dove. Proprio come il suo amico di una vita, Mario Santiago.
La fragilità del vivere
Roberto Bolaño conobbe Mario Santiago per la prima volta nel Cafè La Habana. Ed è subito dopo questo incontro che partorirà il suo primo, grande romanzo di successo, La pista di ghiaccio.
Se andate a vedere qualsiasi intervista ancora reperibile di Roberto Bolaño noterete che cita sempre il suo grande amico. Quando gli viene chiesto che cosa gli manchi più del Messico, ora che vive in Spagna, risponde che più di tutto gli mancano le infinite passeggiate con Mario Santiago.
Fragilità del vivere, vaghezza, indeterminazione. Quello che rimane di una vita – e dell’amicizia di una vita – è questo. ”A Santiago” dice Bolaño ”devo la mia gioventù, e tutta la mia scrittura”. Lui che è sempre molto ironico, quando parla di Mario sembra sempre perso nella sua nostalgia. E di lui come della loro amicizia ci restituisce proprio questo: un quadro poco chiaro, indefinito, a metà tra la vita e la morte.
Ma è meglio così. Quasi come in una ‘’paradossale interpretazione letteraria del principio di indeterminazione di Heisenberg’’. Perché per l’autore questa indeterminazione è il significato della vita; mentre il suo contrario, la determinazione, equivale alla morte.
Noemi Eva Maria Filoni