Roberto Benigni è incantevolmente furbo. Ha recitato la più strepitosa poesia d’amore dell’umanità (la più gettonata nelle chiese ai matrimoni) come se fosse un archeologo atterrato in elicottero a Sanremo direttamente dal Mar Morto col manoscritto inedito del Cantico dei Cantici.
Mille volte ritoccata dalla Chiesa, sbianchettata e cosparsa d’incenso, perché i fedeli non ne cogliessero il suo violento, inebriante afrore di sesso, la Canzone delle Canzoni è arrivata a Sanremo scortata dalla festosa banda municipale, capitanata dal folletto italiano più famoso e invidiato del mondo, soprattutto in Italia, popolo miserabile e invidiosissimo quando si parla del successo di un connazionale e della sua meritatissima fortuna economica. Ma Benigni è ricco dentro, un milionario di sorrisi, a differenza del pubblico che, mi sbaglierò, a me è sembrato smorto, come il mare. Mar Smorto. Ma l’Italia di oggi, purtroppo, è un po’ così: odio e noia.
Il divino erotismo del testo biblico, quasi pornografia sacra, è stato portato sul palco dell’Ariston con ironia, grazia e sapienza. L’ultrasessantenne Roberto ha un’energia vitale paragonabile a quella dei giovani, irruenti spasimanti della Bibbia. Ammaestrato e avvilito da Youp*rn e altri siti a luci rosse, il pubblico avrà capito la lezione magistrale di Roberto che il Nobel della sessualità è di chi scopa con poesia? Ieri sera, un fremito d’eternità ha turbato l’universo pecoreccio della canzone italiana. Benigni ha fatto scendere la Madonna dal cielo. Donando alla sua femminilità regale una spiritualità ancora più accecante, quella di una ragazza di carne, innamorata del suo ragazzo fino alla morte. E ieri sera, a Sanremo, la morte è morta, umiliata e vinta dall’erotismo della parola di Dio:
“Le tue labbra sono porpora in cui sboccia l’indicibile fiore del sorriso. Il tuo odore vince ogni profumo. Se muovi gli occhi rinnovi la luce”.
E la Madonna di carne risponde:
“Ho grande voglia di rannicchiarmi nella tua ombra. E il sesso tuo su me, amore”.
Grazie, Roberto, per questo brivido eterno in diretta da Sanremo di 2.400 anni fa.
Diego Cugia