L’involontaria rivoluzione dei social media: la narrazione è delle vittime

I social media e la narrazione delle vittime

I social media hanno dato la possibilità alle persone in contesti di sopravvivenza di condividere la loro quotidianità e le ingiustizie che subiscono in tempo reale. La narrazione dal punto di vista delle vittime ha un potere immenso perché smentisce nell’immediato qualsiasi tesi propagandistica, o ragionamento strategico, partendo dall’esperienza vissuta e toccando aspetti del sentire umano innati come empatia e umanità.

Il genocidio di Gaza è stato il primo della storia ad essere documentato in tempo reale dalle stesse vittime. Questo evento, oltre a segnare le nostre vite e le future generazioni in modo indelebile, apre a nuovi scenari e possibilità sull’uso dei social media nei contesti di sopravvivenza, là dove i diritti umani vengono violati.

Gaza, la scorta mediatica

Gaza, la scorta mediatica è un libro di Raffaele Oriani. Il giornalista del Venerdì di Repubblica si è dimesso dopo 12 anni di servizio con una lettera in cui spiegava di non riuscire più a comprendere le reticenze del suo giornale nel raccontare il massacro che sta avvenendo a Gaza. Nel libro il giornalista si sofferma, sul linguaggio e la narrazione utilizzate dalla televisione dove parole come genocidio sono vietate, le immagini di Gaza centellinate. I media diventano come una scorta mediatica a protezione delle azioni di Israele.

Questo non è stato possibile sui social. Non certo per un’etica dei social media. Anche lì c’è stata censura di vario genere come hanno riportato numerosi studi. Instagram e Facebook, a pochi giorni dal 7 ottobre hanno chiuso la principale pagina, fonte e collettore di storie da Gaza, Eye on Palestine. Così per un certo tempo siamo andati tutti su Telegram dove ancora si poteva vedere cosa succedeva veramente.

 



La narrazione strumento di pace

Lo sterminio della popolazione di Gaza è stato la prima esperienza di un genocidio raccontato in diretta dalle vittime stesse, giorno dopo giorno, per chi ha voluto vedere. Non avevo mai visto così tanti bambini morti, in vita mia. Bambini impolverati, insanguinati e senza vita. Quell’istantaneità di ciò che ogni giorno vediamo ci ha chiamati in causa come mai era successo. 

Blinne Ní Ghrálaigh durante la presentazione della causa del Sudafrica contro Israele per genocidio ha detto

Questo è il primo genocidio della storia che vede le vittime trasmettere in diretta la propria distruzione nella disperata, e finora vana, speranza che il mondo possa intervenire.

Queste parole mi ricordano il finale di Se questo è un uomo di Primo Levi che, tornato dal campo di concentramento di Auschwitz scrisse

Se dall’interno di un lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui.

Ma questo disperato appello all’umanità intera, questo MAI PIÙ non è già successo, sta succedendo.

Tutti i governi conoscono il potere e l’importanza della narrazione. Ci hanno provato, ma le immagini di Gaza continuano a fare il giro del mondo. Per questo le censure, le manganellate agli studenti universitari, le stesse in tutto l’Occidente, il nuovo Decreto Sicurezza approvato dal Governo Meloni. Anche l’arresto di Pavel Durov, creatore di Telegram, è stata letta da molti come un’intimidazione a un’informazione più libera. La narrazione mainstream non regge.

Israele ha fatto di tutto per isolare Gaza. Già nel 2021 abbatté 4 torri a Gaza, tutte centri di produzioni televisive e informazioni. A partire dal 7 ottobre 2023 la rete internet è stata chiusa dalle forze israeliane. I giornalisti sono diventati bersagli da annientare, mai così tanti sono morti in un conflitto. Ma la popolazione ha reagito trovando sistemi alternativi. Tra tutti si è distinto il progetto di una Ong italiana: Associazione di Cooperazione e solidarietà.

A Gaza la popolazione ha reagito alla chiusura della rete creando nuovi modi per tenere i telefoni attivi, tra cui si distingue un italiano che ha inventato un sistema con secchi d’acqua.

Gazaweb è un progetto che si può sostenere con un crowdfunding. Si chiamano gli Alberi della rete: infilano i cellulari che forniscono il wi-fi. grazie alle e-sim in un cestello insieme al powerbank e, tramite corda e carrucola, vengono issati su un palo, alto abbastanza da consentire la connessione.

Grazie ai social tutto il mondo ha visto in tempo reale la distruzione di un popolo e ha costretto i governi a fare i conti con ciò che più temono e bramano: opinione pubblica e consenso. 

Vittime protagoniste della narrazione

La storia la scrivono i vincitori: è una frase pronunciata da Hermann Göring durante il processo di Norimberga. La storia la scrivono i vincitori, ma gli storici studiano i documenti. Ma ci vuole tempo. Anche le vittime sopravvissute necessitano di un tempo di recupero e di elaborazione del trauma.

Erich Maria Remarke visse la carneficina delle trincee della prima guerra mondiale. Chiamato alle armi nell’esercito dell’impero austriaco nel 1916 scriverà Niente di nuovo sul fronte occidentale nel 1928. Dodici anni dopo. Emilio Lussu scriverà Un anno sull’altipiano nel 1937, 19 anni dopo la fine della Prima guerra Mondiale. Sono due testimonianze che hanno stravolto la narrazione ufficiale di quella che era stata la guerra. I due sopravvissuti svelarono al mondo la totale disumanità e carneficina che fu la guerra di trincea. Primo Levi agì diversamente. Fu uno dei venti sopravvissuti degli ebrei italiani deportati al campo di concentramento di Auschwitz. Tornato in Italia, già nel 1945 cominciò la stesura di Se questo è un uomo. Levi diceva che il libro era

Nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi.

Levi ebbe immediatamente questa consapevolezza, la necessità di far emergere il vero sui lager nazisti. Per molti anni le persone non ci credettero e l’opera di Levi fu decisiva. Era la sua esperienza, era vera.

La condivisione di esperienze dolorose è un primo passo verso la loro elaborazione, un modo per sopravvivere. Nel villaggio di Wahat al-Salam Neve Shalom, dove Israeliani e Palestinesi hanno deciso di vivere insieme in pace, hanno istituito in questi mesi una tenda del lutto per reagire al dolore del genocidio. Un luogo dove incontrarsi due volte al giorno per poter condividere la disperazione della guerra, della morte dei propri cari, della paura.

Non c’è miglior modo di sopravvivere alla disperazione che con la speranza che le cose cambieranno, che c’è qualcuno in ascolto che ti aiuterà e che la tua storia servirà a qualcuno.

Le vittime sono diventate protagoniste e autrici della narrazione, senza la mediazione di giornalisti, filmmaker e inviati di guerra.

Gaza ci ha sbattuto in faccia l’oscurità fondamentale nella quale viviamo. Quelli a Gaza sono racconti drammatici, ma pieni di umanità. Padri e madri che danno l’ultimo saluto ai propri figli. Bambini tremanti, bambini pieni di vita e coraggio, abbiamo visto con i nostri occhi l’indomabile e infinita capacità di sopravvivenza degli esseri umani e ci siamo riconosciuti.

Loro sono diventati noi.

Occhi sul mediterraneo

Nel 2024 si sono contate 281 milioni di persone che stanno emigrando.

Migranti e rifugiati spesso fanno affidamento sui social media per attraversare i confini, così come fanno le reti di traffico di esseri umani. Le piattaforme di social media sono diventate molto più che semplici vie per condividere aggiornamenti o rimanere in contatto con i propri cari per migranti e rifugiati; si sono trasformati in ancora di salvezza. Le vittime utilizzano i social media per attraversare i confini o documentare le proprie esperienze. 

Ho trovato molte associazioni che si occupano di raccogliere le storie dei migranti, ma nessun canale video che metta in rete le loro testimonianze dirette. Perché non realizzare un Eye on Palestine dei flussi migratori che cambi la percezione di chi affronta questi viaggi tra la vita e la morte? Occhi sul Mediterraneo.

La capacità di cambiare il corso della storia, sta anche in questo, nella capacità di costruire una narrazione che smantelli propaganda, stereotipi e falsi miti.

Secondo il World Migration Report del 2024 la narrazione deve cambiare. Ancora oggi molte persone emigrano convinte di poter trovare nuove opportunità, ma la realtà è ben diversa. Dare voce, creare contenitori per chi sta vivendo esperienze del genere è determinante.

Una coscienza globale di solidarietà

La Palestina ci ha insegnato qualcosa. Che l’esperienza di una vittima in tempo reale è più forte di una massiccia disinformazione e conta su qualcosa che è incredibilmente umano: l’empatia.

Come descrive il report di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo il 2024 ha assistito a una regressione e a una deriva autoritarista, ma nello stesso tempo come dice la segretaria generale Agnès Callamard

Le regressioni dei diritti umani nel 2023 non sono passate inosservate. Al contrario. Persone in tutto il mondo si sono opposte alla regressione, manifestando solidarietà globale senza precedenti. Il conflitto Israele-Hamas ha scatenato centinaia di proteste in tutto il mondo, con milioni di persone che protestavano contro la morte di civili, chiedendo il rilascio di ostaggi, chiedendo un cessate il fuoco. 

Grazie alla Palestina si è riscoperta la solidarietà globale che avevamo accarezzato brevemente ai tempi del covid. La sensazione che la mia felicità non può fare a meno della tua è una consapevolezza che si sta diffondendo con grande lentezza.

Come ha scritto il mio maestro, Daisaku Ikeda, nella sua ultima proposta di Pace del 2022 inviata alle Nazioni Unite, una delle tre sfide che è necessario affrontare nei prossimi decenni è quella di realizzare una coscienza globale di solidarietà che si estenda al mondo intero. 

Federica Sozzi

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