Chi di noi non conosce a memoria le preghiere imparate da bambini frequentando il catechismo? Eppure quelle parole ripetute più e più volte durante la messa stanno per cambiare, o almeno alcune di quelle parole. Stiamo parlando di una frase in particolare: «e non ci indurre in tentazione» (ma liberaci dal male. Amen). Ecco, proprio quella frase ha provocato non poco scompiglio all’interno della Chiesa nelle settimane passate.
Una traduzione da rivedere
Papa Francesco ha detto con un tono che non lascia spazio ad alcun dubbio, che quella adottata «non è una buona traduzione». Come può Dio indurci verso la tentazione? Questo è ciò che indica la frase incriminata. Il Pontefice ne aveva discusso durante il programma Padre Nostro, condotto da don Marco Pozza su Tv2000. Perciò, dal 2019, non solo verrà introdotto il nuovo Messale, ma anche quella frase del Padre nostro sarà cambiata con la più appropriata «e non abbandonarci alla tentazione». Altrove è già stata adottata la nuova versione: in Francia la nuova traduzione, «Ne nous laisse pas entrer en tentation» («Non lasciare che entriamo in tentazione»), viene utilizzata nelle celebrazioni pubbliche da domenica 3 dicembre .
Come si cambia una preghiera
Ma come si cambiano una preghiera e le parole delle Sacre scritture? A rispondere è stato don Paolo Tomatis, teologo, direttore dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Torino. Innanzitutto, ha messo in chiaro che non è stata la semplice osservazione di Papa Francesco a far decidere di modificare il Padre Nostro. La contraddizione presente nella preghiera era già stata notata da alcuni studiosi, che l’avevano sottoposta all’attenzione del Pontefice. E infatti anche nell’ultima traduzione ufficiale della Bibbia si è provveduto a modificare le parole. Don Tomatis sottolinea che: «Anche qualche Chiesa italiana ha già adottato la nuova traduzione, ma in realtà bisognerebbe aspettare l’introduzione del nuovo Messale». E proprio da esso parte la revisione delle Scritture, ciò avviene
«ogni volta che viene rivisto il Messale: succede ogni 30-50 anni circa. È un’operazione necessaria, perché la lingua e la cultura cambiano, ed è necessario adeguarsi, pur garantendo la continuità. La Chiesa non deve essere un museo, e non deve nemmeno inseguire tutte le novità: è necessario un lavoro attento per aggiornare e approfondire il linguaggio senza snaturare il messaggio originario».
Chi cambia le preghiere
Dunque, chi decide se e quando apportare delle modifiche alle preghiere? A svolgere questo delicato compito è la Conferenza Episcopale Italiana, attraverso i vescovi e i membri esperti dell’Ufficio liturgico nazionale, che comprende circa trenta specialisti fra teologi, pastori, linguisti. «Tutti i vescovi vengono chiamati a mandare le loro proposte di revisione e correzione, che vengono poi messe ai voti». Ovviamente, è un’operazione molto lunga e complessa: l’ultima revisione ha visto l’inizio nel 2004 ed è tutt’ora in corso. «Ma di solito non dura così tanto, comunque: ci sono stati problemi di traduzione sulle parole della Consacrazione».
Per le traduzioni, sono le singole chiese nazionali ad approntarle, per poi farle revisionare dalla Sede apostolica: «Si cerca di fare in modo che la traduzione sia rispettosa del testo latino originario e che sia comprensibile per i fedeli. Per il linguaggio della liturgia è un’operazione particolarmente complessa, e anche le migliori traduzioni non riescono a rendere immediatamente il senso e il significato del messaggio originario».
Prepariamoci, dunque, a tornare al catechismo, dall’anno prossimo dovremo tutti imparare (di nuovo) il Padre nostro.
Carmen Morello