Infiammano le rivolte in Medio Oriente dopo le dichiarazioni di Trump su Gerusalemme

Fonte: Anwar Amro/AFP/Getty Images

Le rivolte nel Medio Oriente aumentano senza sosta a seguito del dissennato annuncio di Trump dello scorso 6 dicembre sul riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele, che ha ridestato il decennale conflitto tra palestinesi e israeliani.

È salito vertiginosamente il numero dei feriti, che arrivano a 1250. Del totale, secondo il ministero della sanità palestinese, 150 sono stati colpiti “da munizioni vere”.

I morti palestinesi, invece, sembrano essere quattro: due durante le manifestazioni a Gerusalemme e due dirigenti di Hamas.

Mentre Hamas incita a continuare lʼIntifada, Omer Barlev, ex colonnello dell’esercito di Israele e attualmente deputato di punta del Labor e membro delle commissioni parlamentari su Difesa e intelligence, in un’intervista afferma abilmente:

“In questi giorni ci sono state proteste, ma tutto sommato limitate. Vediamo come andrà nei prossimi giorni. Trump ha detto chiaramente che vuole un accordo fra palestinesi e Israele, fra noi e il mondo arabo. Per cui buona parte del mondo arabo, nonostante le dichiarazioni negative, si aspetta di vedere come procederà l’azione diplomatica Usa. Nel suo discorso Trump ha detto ripetutamente che vuole ‘lavorare alla pace‘. Siamo solo all’inizio di una nuova fase, e se nelle prossime ore le violenze non oltrepasseranno i limiti ci sarà la possibilità di una scossa che faccia ripartire il negoziato“.

In Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono centinaia i feriti dei “tre giorni di rabbia”; le città più colpite dalle rivolte sono state Betlemme, Ramallah, Gerusalemme Est, Nablus ed Hebron. I manifestanti hanno appiccato il fuoco a degli pneumatici ed hanno lanciato pietre, ottenendo come risposta dai soldati israeliani lacrimogeni e proiettili di gomma.

L’agenzia ufficiale palestinese Wafa riferisce che al campus universitario di Hebron:

“Dozzine di studenti sono stati intossicati dai gas lacrimogeni sparati dalle forze di occupazione israeliane. L’esercito ha impedito agli studenti universitari di organizzare una marcia studentesca verso Al-Quds Al-Khalil Street”.

Le rivolte contro la decisione di Trump sono infiammate nello scorso fine settimana in tutto il mondo arabo: Giordania, Egitto, Turchia, Tunisia, Iran e Indonesia sono solo alcuni degli stati in cui sono in atto le rivolte.

Anche in Libano domenica centinaia di persone hanno protestato davanti all’ambasciata americana di Beirut: i manifestati hanno incendiato le bandiere israeliane e i ritratti di Donald Trump ed hanno scagliato pietre contro le forze di sicurezza libanesi, che hanno reagito con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua.

Venerdì 6 dicembre il presidente Donald Trump ha pubblicato un video su Twitter in cui documenta come anche i tre presidenti statunitensi arrivati prima di lui parlarono di Gerusalemme come capitale di Israele.




Dagli anni ’90 a oggi però, tutti i presidenti americani avevano prorogato ogni sei mesi la decisione di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola quindi come capitale dello stato di Israele, proprio per evitare i conflitti di questi giorni.

A causa delle dichiarazioni di Trump, sono stati cancellati gli incontri previsti per la fine del mese tra Abu Mazen, il Papa copto Teodoro II e il gran mufti della moschea al Azhar con il vicepresidente americano Mike Pence.

Le prospettive di pace sembrano sempre più lontane e per questo motivo Trump viene condannato non solo dai palestinesi, ma anche dalla comunità internazionale.

Sono state convocate con urgenza le riunioni dalla Lega Araba e dall’Organizzazione per la cooperazione islamica e il ministro degli Esteri dell’Anp Riyad al-Malki ha annunciato che non considererà più gli Stati Uniti come mediatori con Israele:

 “Con la loro decisione su Gerusalemme sono diventati parte del conflitto e hanno cessato di essere dei mediatori. Cercheremo un nuovo mediatore e tra i nostri fratelli arabi e la comunità internazionale, un mediatore che possa aiutare a raggiungere una soluzione con due Stati. Chiederemo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che respinga la decisione di Donald Trump su Gerusalemme capitale di Israele.”.

Grazie all’incapacità di Donald Trump di prendere decisioni diplomatiche verso la pace, nello stesso giorno in cui in Medio Oriente si chiude un sanguinario capitolo, se ne apre immediatamente un altro: appena il premier iracheno Haydar al-Abadi ha annunciato la fine della guerra contro l’Isis (dopo quasi quattro anni), il presidente statunitense è stato in grado di aggravare terribilmente la crisi israelo-palestinese, minando la pace in tutto il mondo arabo.

 

Fadua Al Fagoush

Exit mobile version