Quattro agenti di polizia hanno perso la vita durante violenti scontri a fuoco avvenuti il 29 febbraio nella capitale haitiana, Port-au-Prince, in seguito a una serie di attacchi coordinati mirati a rovesciare il contestato primo ministro Ariel Henry, secondo quanto dichiarato dal sindacato della polizia. La gravità di queste problematiche rivolte ad Haiti evidenzia la persistente crisi politica, di sicurezza e umanitaria che affligge Haiti dall’omicidio del presidente Jovenel Moïse nel 2021.
Sotto il segno del caos
Dallo scorso 29 febbraio, ci sono state una serie di rivolte ad Haiti che hanno aumentato il clima di tensione: oltre alle proteste violente, sono avvenuti episodi di scontri armati con le forze dell’ordine – per cui sono anche morti alcuni agenti della polizia locale – ed evasioni di massa nella prigione della città. I gruppi armati hanno assunto il controllo di vaste aree del paese, e il tasso di omicidi è più che raddoppiato nel corso del 2023. Ariel Henry, al potere dal 2021, avrebbe dovuto dimettersi agli inizi di febbraio, ma la sua permanenza ha alimentato tensioni e violenze.
Le motivazioni che riprendono il filo di queste numerose e preoccupanti rivolte ad Haiti sono riconducibili al fatto che la Repubblica, situata nel Mar dei Caraibi, è uno degli Stati più poveri del mondo. Instabilità politica, insicurezza economica e problematiche sociali hanno aumentato negli ultimi due anni, sempre di più, le tensioni. Ad oggi, il movente chiave e materiale delle rivolte ad Haiti è stati sopratutto la non indizione, il giorno del 7 febbraio, di nuove elezioni. Adam Henry, il ministro verso cui il popolo haitiano si sta scontrando, sarebbe stato il responsabile delle logistiche elettive.
L’escalation delle rivolte ad Haiti
Il 29 febbraio, gli scontri hanno provocato la morte di quattro agenti di polizia e il ferimento di cinque persone, con due stazioni di polizia date alle fiamme. Il leader di uno dei principali gruppi armati, Jimmy Chérizier, noto come Barbecue, ha dichiarato su un video sui social media che tutti i gruppi armati agiranno per costringere le dimissioni di Henry, rivendicando la responsabilità degli sconvolgimenti in corso.
Un anniversario funesto
La data delle rivolte ad Haiti, il 29 febbraio, ha coinciso con il ventesimo anniversario del colpo di stato che ha rimosso dal potere il presidente Jean-Bertrand Aristide. Questi eventi si sono svolti mentre Ariel Henry si trovava in Kenya, il quale guiderà una missione multinazionale, autorizzata dalle Nazioni Unite, per supportare le forze di sicurezza haitiane contro le bande armate.
Jimmy Chérizier è il comandante di un gruppo armato piuttosto pericoloso e sostiene, appunto, di voler portare avanti le rivolte ad Haiti “con le armi e con la gente”. Gli scontri e le proteste non hanno riguardato solo occupazioni e attacchi a infrastrutture e sedi della polizia: i rivoltosi si sono scontrati anche contro il carcere di Port-au-Prince, una delle problematiche sociali più evidenti e concrete ad Haiti.
Attraverso social ma anche dichiarazioni pubbliche, il più grande rivoltoso haitiano ha consigliato alle famiglie di proteggere i figli e i più anziani: in particolare, ha consigliato loro di non mandare i bambini a scuola, proprio perché si preannunciano scontri che metteranno l’intero paese a ferro e a fuoco.
Il potere di Chérizier diventerà sempre più grande, poiché da capo di una banda armata ora sta collezionando una popolarità sempre più grande, fino a raggiungere una grande coalizione di bande armate. L’obiettivo delle rivolte ad Haiti è quello di catturare i capi della polizia, i ministri e tutti i rappresentanti delle istituzioni, per tornare alle elezioni e far dimettere – con la forza, come in un colpo di Stato – l’intero governo di Henry. Le ultime elezioni ad Haiti non si effettuano dal 2016.
Preoccupazioni e l’appello per una soluzione politica
Tuttavia, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sottolineato l’importanza di una soluzione politica per Haiti, avvertendo che altrimenti i problemi persisterebbero. Mentre gli scontri continuavano il 3 marzo, il governo haitiano ha dichiarato lo stato d’emergenza e un coprifuoco a Port-au-Prince, in risposta alla fuga di migliaia di detenuti da una prigione attaccata dai gruppi armati.
Fuga di detenuti e emergenza umanitaria
Una delle ultime questioni, che hanno fatto definitivamente degenerare la situazione ad Haiti, è stata il 4 marzo, quando migliaia di detenuti sono evasi dalla principale prigione della capitale, contribuendo a una crisi umanitaria e di sicurezza senza precedenti. Il governo ha denunciato la furia dei criminali armati, mentre le forze di polizia hanno cercato di respingere gli attacchi contro il sistema penitenziario.
Il carcere di Port-au-Prince è uno spot problematico perché registra un sovraffollamento di detenuti di 3.500 rispetto alle appena 800 persone che possono essere detenute. All’inizio erano poche le notizie riguardo questa fuga, anche perché gli agenti di polizia non erano stati autorizzati a parlarne con la stampa. Domenica 3 marzo è stata poi resa nota la notizia, sia a livello locale che internazionale, che i detenuti evasi dal carcere sono stati almeno 3.500.
A diffondere la notizia è stato Arnel Remy, un importante avvocato di Haiti che lavora nelle carceri per la difesa dei diritti umani in una ONG. Sul suo account X ha poi accertato che, durante le evasioni dal carcere, un centinaio di uomini si è opposto alla rivolta ed è rimasto all’interno delle celle, probabilmente per non finire sotto gli scontri armati della polizia.
Effettivamente, dalle rivolte ad Haiti e in particolare dopo le rivolte del carcere di Port-au-Prince, sono rimaste ferite molte persone, e decine di corpi sono stati trovati morti attorno alle cinte murarie del carcere haitiano.
Richiamo all’azione Internazionale
La grave crisi politica di Haiti, accentuata dagli scontri recenti e dalle proteste contro il governo, rende fondamentale una risposta immediata e coordinata per ripristinare la stabilità nel paese. La comunità internazionale, attraverso la missione guidata dal Kenya, cerca di contribuire alla soluzione della crisi, ma il cammino verso una situazione stabile e sicura per Haiti rimane incerto.
Le rivolte ad Haiti sono quindi il biglietto da visita di un paese troppo debole, di una democrazia non sentita e di uno Stato già fallito e marcio dalle radici. Le violenze stanno complicando sempre di più le condizioni e la possibilità, prima più certa, di costruire stabilità sociale ed economica, si sta ora sempre più allontanando tra lacrimogeni e spari. Sicuramente una delle soluzioni alle rivolte ad Haiti è quella di indire nuove elezioni e ascoltare la voce del popolo, ma anche questo sarà piuttosto difficile visto che la situazione è ormai fuori controllo e totalmente orientata sulle strade.
Haiti, un altro focolaio di instabilità politica che trova ke sue radici in una società ingiusta sia in tema di diritti che di equità nella distribuzione della ricchezza.
In un clima sociale ormai così teso anche nuove elezioni non basterebbero a ristabilire un clima di civile convivenza e di democrazia.
Devastazione, morti, miseria e compressione dei diritti. Non è questa l’immagine che rappresenta Haiti nell’immaginario collettivo.
Eppure, messa in ombra da crisi internazionali più attuali e di maggiore interesse geopolitico, anche la situazione di Haiti si propone al mondo come una realtà
dove regna prepotentemente una profonda crisi della democrazia.