Da tre mesi il Cile è sconvolto dalle proteste civili. I manifestanti chiedono una società equa, libera dai retaggi della dittatura.
“L’ Ottobre cileno” ha lasciato il segno, ma la rivolta in Cile stava maturando da trent’anni. Da quel fatidico 18 ottobre, quando i cittadini hanno protestato per i rincari del biglietto della metro a Santiago, le agitazioni hanno coinvolto ogni aspetto della vita del paese: sanità, istruzione, sistema pensionistico, trasporti. In breve, si chiede al presidente Sebastián Piñera una nuova Costituzione.
Il problema principale è il lascito del generale/dittatore Augusto Pinochet, che nel 1973 prese il potere con un colpo di stato, mettendo fine a quarant’anni di democrazia repubblicana. La dittatura, durata quasi 17 anni, è terminata nel 1990, ma per i cileni è più complicato del previsto compiere la transizione definitiva alla democrazia. Le proteste attuali ne sono una palese dimostrazione.
Rivolta in Cile: i retroscena
In Cile esiste una grandissima disparità economica e sociale. L’azienda pubblica è quasi completamente assente, quella privata è gestita da alcune famiglie che, secondo la rivista Forbs, sono tra le più ricche del pianeta. In pratica, quasi non esiste il libero mercato. Tutto è gestito dal settore privato: acqua potabile, pensioni, scuola. Dunque, le disparità sociali sono piuttosto ovvie: la maggior parte degli studenti universitari è costretta a indebitarsi per proseguire gli studi, le pensioni medie arrivano a stento a 155mila pesos (poco più di 250 euro), per non parlare delle difficoltà di superare i pregiudizi. Il rapporto del 2017 del Pnud (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo), riguardo al Cile, riportava: “scarsa mobilità di una società dove i pregiudizi e le discriminazioni riducono l’uguaglianza delle opportunità“, cioè, non basta essere un giovane studioso e talentuoso, per raggiungere certe posizioni è necessario avere un “buon nome”. L’intero sistema protegge e avvalla l’ingiustizia. Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, ha affermato che il Cile è uno dei paesi facente parte dell’ OCDE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con maggiori disuguaglianze.
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L’opposizione
La rivolta in Cile esprime il desiderio di avere molti più diritti. Si chiede a gran voce di cambiare la costituzione adottata da Pinochet nel 1980 e ancora oggi in vigore. Non è un caso che la canzone El pueblo unido jamas sera vencido sia la più urlata nelle piazze. I protagonisti delle proteste sono sopratutto gli studenti universitari e liceali, ma non mancano persone anziane, memori del regime militare, che vivono nell’indigenza. Mai prima d’ora s’era assistito a una protesta di tali dimensioni: chiunque abbia necessità di far sentire la propria voce, chiunque sia stanco di subire abusi è sceso in piazza a protestare, nonostante la violenta repressione.
Infatti il presidente Piñera ha reagito alle proteste con eccessiva ferocia, gridando allo “stato di guerra”. Era stato istituito un coprifuoco, i militari giravano armati fino ai denti su camionette blindate, i carabineros lanciavano continuamente lacrimogeni, sparando sulla folla con proiettili di gomma.
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Piñera ha incolpato dei disordini sopratutto gli encapuchados, manifestanti dal volto coperto che non si sono lasciati intimidire dalle minacce. Anche il movimento femminista ha lasciato il segno, soprattutto in relazione al numero di donne che ha subito violenze sessuali durante la repressione delle manifestazioni.
Rivolta in Cile: Plaza Italia è un simbolo
Plaza Italia è diventata l’emblema della rivolta, punto nevralgico del Cile, sopratutto perché segna la linea di demarcazione tra le diverse classi sociali. Infatti a nordovest si trovano i quartieri residenziali, con ricche ville e grattacieli, a sudovest si snoda invece il centro storico che a poco a poco sfocia nella periferia. Sono state coniate anche delle espressioni per sottolineare la disparità: de Plaza Italia para arriba, da Piazza Italia in su, e de Plaza Italia para abajo, da piazza Italia in giù, che ha assunto una connotazione negativa.
Per questo, ogni venerdì sera la piazza si riempie di manifestanti e di striscioni dai vari colori, simbolo delle diverse rivendicazioni: il giallo per protestare con il sistema pensionistico (Apf), i fazzoletti verdi per rivendicare il diritto delle donne all’aborto, la bandiera del popolo mapuche per i diritti degli indigeni, e sopratutto la bandiera arcobaleno simbolo della resistenza. Lo storico Rodrigo Booth, professore di architettura all’Università del Cile sostiene che Plaza Italia “non era mai stata occupata da un movimento così grande e per così tanto tempo“, nemmeno in occasione del No al referendum del 1988 che chiedeva se mantenere al potere Pinochet.
Il prossimo referendum
L’Instituto nacional de derechos humanos, un’organismo pubblico indipendente, ha denunciato “le più gravi violazioni dei diritti umani dal 1989”. La violenza della repressione e la brutalità della polizia non ha fermato la rabbia dei cileni, che continua a chiedere diritti. Piñera si è visto costretto a fare un passo indietro: ha annunciato che comincerà un percorso per cambiare la costituzione. E’ un grandissimo passo storico. Il 15 novembre tutti i partiti hanno firmato un Accordo per la pace sociale e per la nuova costituzione. Il primo step sarà il referendum del 26 aprile. I cileni dovranno rispondere a due domande: 1) Se desiderano una nuova costituzione e 2) se l’assemblea costituente dovrà essere composta solo da cittadini o anche da rappresentanti parlamentari.
Questo avvenimento rappresenta un grande cambiamento. I cileni, stanchi di subire soprusi e violenze, sono riusciti con tenacia a strappare una promessa ai poteri forti. Lo status quo è stato messo in discussione. Il presidente resta inerme a osservare con quanta determinazione si chieda democrazia ed equità.
Nel ’73, con la scusa di combattere il comunismo, l’America aveva avvallato la salita di Pinochet e, mentre il dittatore commetteva i crimini più terribili, il mondo restava impassibile. La complicità degli USA ha causato gran parte dei problemi attuali.Non ha mai ammesso le sue colpe. In quest’occasione resta in silenzio: sarebbe un’utopia vederla cercare il riscatto, aiutando il popolo a riacquistare diritti. Fortunatamente i cileni sono fieri e orgogliosi, riescono da soli nell’impresa. Una domanda sorge spontanea: è mai possibile che in ogni paese con problemi civili e sociali, spunti sempre fuori lo zampino americano a peggiorarli?!
Antonia Galise