L’aggressione russa ai danni dell’Ucraina ha lasciato emergere, in tutta la sua devastazione, l’alterazione del nesso fra pace e democrazia. La crescente mobilitazione armata del discorso pubblico ha portato la diplomazia mondiale ad abbandonare definitivamente il sentiero del disarmo in Ucraina, segnando un punto di svolta nelle modalità con cui la comunità degli attivisti per la pace ha cercato di rispondere all’evento della guerra.
Nel corso della storia umana la guerra ha sempre ridisegnato la geopolitica degli Stati, realizzando una progressiva militarizzazione del discorso pubblico. E anche l’aggressione russa all’Ucraina ha rispettato fedelmente questa logica. Del resto, che la diplomazia mondiale abbia oramai abbandonato il sentiero del disarmo in Ucraina, preferendo fare affidamento sul sostegno militare ad oltranza, non è più un’ipotesi interpretativa ma un dato di fatto ad oggi non ancora invalidato.
L’aggressione russa ha posto al centro del dibattitto la legittimità del sostegno dei membri della NATO allo sforzo bellico in difesa di Kiev, rafforzando indirettamente la pericolosa relazione tra Guerra ed Emergenza, iniziata già con la pandemia da COVID19. Una delle principali accuse mosse dal fronte degli attivisti per la pace ai governi occidentali è incentrata proprio sull’idea della sostituzione dell’emergenza sanitaria con quella politica, alimentando una lotta manichea, ma solo di facciata, tra autocrazie e democrazie.
Durante questo anno e mezzo di guerra, il sostegno militare dei paesi occidentali all’Ucraina ha prodotto come principale effetto collaterale una crescente verticalizzazione del potere militare come potenziale risoluzione permanente nelle controversie internazionali, mettendo in seria difficoltà le grandi democrazie occidentali.
Limiti e risorse del Pacifismo “assoluto”
La principale critica che i pacifisti hanno mosso ai governi occidentali alleati di Kiev riguarda il loro atteggiamento passivo nelle questioni di diplomazia esteri. Per i pacifisti, nel corso di quest’anno e mezzo di guerra i membri della NATO non avrebbero mai preso in considerazione la possibilità di smarcarsi dalle scelte di Washington sul conflitto in Ucraina per provare a costruire una concreta e strutturata soluzione diplomatica.
La critica mossa dal fronte degli attivisti della pace ai paesi che stanno armando Kiev, rispecchia le posizioni di una forma di pacifismo che si potrebbe definire massimalista o assoluta. Nella sua essenza più pura e semplice, il pacifismo assoluto è riassumibile nell’idea secondo cui la guerra, le armi e la violenza sono sempre sbagliate. Secondo i sostenitori di questa posizione, il potere militare non è mai un mezzo risolutivo per le diatribe tra gli stati poiché dietro la guerra difensiva si nasconde sempre l’insidia della strumentalizzazione politica del conflitto.
Si può, dunque, essere pacifisti per fede, per posizione filosofica o per semplice convinzione che la guerra sia dannosa, nozione quest’ultima, spesso condivisa anche da chi non si definisce pacifista tout court. Ma, al di là della spinta iniziale, il presupposto implicito dietro a questa visione del mondo è spesso determinato dal rifiuto di un’analisi realista del contesto nel quale gli eventi accadono.
Purtroppo, però, il raggiungimento della pace richiede sempre un’attenta analisi della realtà che prenda in seria considerazione non solo i fattori politici ma anche quelli militari, senza cedere alla tentazione di estromettere dal piano della realtà ciò che non ci piacerebbe vedere. E’ soltanto in questo modo, infatti, che si eviteranno tutte quelle indebite semplificazioni sulla natura e l’evoluzione dei conflitti armati che, quando presenti, ci portano a trattare l’intero discorso sulla guerra come un mero dato d’opinione.
Le tante anime del pacifismo contro la guerra
Dal punto di vista logico, i fautori del pacifismo assoluto, costruiscono la loro battaglia per la pace sull’assunto secondo cui se tutti gli esseri umani nel mondo rifiutassero la guerra, essa non esisterebbe. Ragion per cui si deve fare l’impossibile affinché questa condizione si realizzi. Il ragionamento però è fallace, non solo sul piano della logica ma soprattutto su quella della realtà storica. Non ha molto senso ignorare l’esistenza di qualcosa per sperare che questa sparisca da un momento all’altro dal piano della realtà. E la guerra è qualcosa che uno stato non può ignorare in nessun modo poiché rischierebbe di mettere in pericolo la sua stessa sopravvivenza. Questa la posizione del fronte pacifista dunque.
Sul versante opposto, invece, i governi dei paesi che forniscono armi al presidente ucraino Volodymyr Zelensky fanno affidamento sul diritto legittimo dell’Ucraina di difendersi militarmente dall’invasione di uno stato straniero che attenta alla propria sovranità. A questa corretta interpretazione del diritto internazionale, la NATO e l’Unione europea aggiungono poi la retorica dello scontro epico tra autocrazie e democrazie.
Entrambe le posizioni, sia quella dei pacifisti massimalisti che la “diplomazia dei missili”, sono ovviamente insufficienti poiché non consentono di trovare una soluzione effettivamente traducibile sul piano politico. Infatti, se da un lato i pacifisti perseverano nella loro visione utopica che non trova riscontro nella realtà, dall’altro i paesi occidentali alimentano il circolo vizioso di un sostegno militare che negli ultimi mesi ha aggravato ulteriormente le sorti del conflitto. Cosa fare dunque?
Prima di provare a formulare una risposta è bene ricordare che la guerra è un fenomeno che interessa sempre la collettività mentre il pacifismo resta una scelta individuale dal quale gli Stati sono esclusi per definizione. Se, infatti, il singolo può permettersi di ignorare la guerra, allo Stato, che deve garantire la sicurezza dei cittadini, questo privilegio non concesso. Il rifiuto di difendersi e di proteggere gli altri dall’altrui aggressione non tutela i cittadini dalla violenza ma permette a quest’ultima di diffondersi con più facilità.
Questo significa che il pacifismo nella sua versione più assoluta è d’intralcio al raggiungimento di una condizione di disarmo in Ucraina? Non proprio. Il principio pacifista, e con esso il ripudio della guerra, rappresentano un controlimite molto importante a fronte di qualsiasi obbligo internazionale volto ad estendere l’ambito della legittima difesa (rispetto all’attacco armato ad un territorio), prevenendo così la possibilità di ricorrere a forme di guerra preventiva o a scopo umanitario.
Il ruolo del pacifismo nella guerra in Ucraina
Tuttavia, affinché il pacifismo possa svolgere al meglio la sua funzione in un contesto democratico, è necessario che, una volta maturo, esso lasci la dimensione dello spontaneismo individualistico per mettersi al servizio della comunità politica. Ma come fare per realizzare questo passaggio?
Innanzitutto, è bene non dimenticare mai che la complessità del mondo predilige sempre la cautela nei giudizi di valore, diffidando profondamente dei facili entusiasmi. Perciò anche nella diplomazia internazionale la semplificazione è nemica della pace.
Se si va a fondo nel confronto tra pacifismo e diplomazia politica, non è difficile vedere come nel corso della storia, questi due approcci alla pace abbiano condiviso ben poco, rimanendo prossimi l’uno all’altro ma perseguendo obiettivi molto diversi: mentre il pacifismo insegue infatti la realizzazione della pace ad ogni costo partendo dal singolo individuo, la diplomazia si è preoccupa di tutelare primariamente l’interesse nazionale e la sicurezza di milioni persone, spesso sacrificando il sacrificabile.
E la piega presa dagli eventi in Ucraina dimostra come le cose non sembrerebbero essere andate diversamente, nemmeno questa volta. Due cose sono certe in tutta questa vicenda: la responsabilità ultima della guerra totalmente imputabile alle scellerate decisioni di Vladimir Putin e alla sua condotta politica; e la legittima decisione dell’Ucraina di difendersi dopo che la Russia ha violato la sua integrità territoriale. La reazione di Kiev è pienamente autorizzata anche dal diritto internazionale secondo cui non è in discussione per uno Stato la potestà di esercitare «il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva» a fronte di un’aggressione armata ai sensi dell’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite.
C’è invece molta incertezza riguardo al sostegno militare apportato alla nazione aggredita da parte di quei Paesi che come l’Italia “ripudiano la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, secondo quanto stabilito dall’articolo 11 della nostra Costituzione.
In Ucraina, invece, sembra proprio che la diplomazia internazionale abbia preferito anteporre l’indebolimento militare, politico ed economico della Russia al raggiungimento della pace.
Per portare a compimento questa strategia, gli Stati Uniti hanno continuato ad armare Kiev nel corso di questi diciotto mesi, strascinandosi dietro gli altri membri della NATO e prolungando l’agonia del popolo ucraino proprio nel momento in cui la pace dovrebbe richiamare l’essenza profonda del costituzionalismo e delle istituzioni democratiche sovranazionali allo scopo di limitare la forza cieca del potere, che nella guerra si esprime invece in tutta la sua irruenza e violenta materialità.
Nel momento di maggiore immobilismo per la diplomazia europea, dopo un anno e mezzo di guerra e 500mila soldati morti sul campo, ritrovare il sentiero abbandonato del disarmo in Ucraina non è sicuramente un’impresa semplice. Tuttavia, provare a ripensare alla pace come a un fine da perseguire e non a un’escalation da stabilizzare con l’invio di armi sempre più micidiali che servono a normalizzare solamente scenari apocalittici come l’olocausto nucleare, non è una scelta, un pio desiderio o un semplice fatto d’opinione ma un obbligo morale da perseguire con realismo e concretezza.
Tommaso Di Caprio