Nel 1936 il filosofo Walter Benjamin tracciava un sorprendente ritratto del narratore. Quasi cento anni dopo, esso ci aiuta ancora a capire l’importanza del narrare per noi. E a preservare quest’arte.
Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov
Nel 1936 Walter Benjamin pubblicava il più famoso ritratto del narratore nella riflessione filosofica. Il saggio si intitolava: Il Narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov. Di Leskov e della sua opera, però, Benjamin parlava ben poco. Era l’arte di narrare il vero argomento del saggio. Questa, secondo il filosofo, stava scomparendo piano piano: quasi nessuno sapeva più raccontare bene una storia. L’affermazione oggi ci sembra assurda, poiché abbiamo a che fare con forme di narrazione praticamente in ogni contesto. Essa, però, doveva sembrare strana anche ai contemporanei di Benjamin. I regimi totalitari, infatti, usavano il narrare come un potente strumento di propaganda. Le imprese commerciali sfruttavano il potenziale dello storytelling. Intanto, con un successo plurisecolare, il romanzo plasmava l’immaginario collettivo di generazioni. Forse Benjamin aveva preso un granchio colossale?
Falso narrare, vero narrare
In realtà, Benjamin sapeva bene che che narrazioni molto persuasive pervadevano la sua epoca. Di alcune, in quanto ebreo, aveva fatto personalmente le spese. Ma allora perché dichiarava morta la capacità di narrare? Perché, secondo lui, la narrazione aveva tradito la propria vocazione. Non c’era un’etica forte a illuminare le narrazioni coeve: per questo nessuno sapeva raccontare una storia come si deve. Il modello di narrazione per Benjamin era quello delle società tradizionali. Cioè un raccontare in cui in cui esperienza, etica e comunità erano indivisibili. Questo modello era stato distrutto a poco a poco da un insieme di fattori.
Chi ha ucciso il racconto?
Sembra incredibile, eppure secondo Benjamin il romanzo è il primo responsabile. Questo non deve stupirci: il romanzo è una narrazione che l’autore scrive in solitudine e che il lettore riceve perlopiù da solo. Narratore e pubblico sono soli: si disfa la comunità che dava senso al narrare tradizionale. Colpevole, inoltre, è l’industria dell’informazione. Le notizie dei giornali, infatti, arrivano troppo rapide e ricche di spiegazioni per stimolare una vera riflessione. Anche il prevalere della fabbrica sul lavoro artigiano ha le sue colpe. Infatti, la disponibilità ad ascoltare connessa al lavoro manuale per secoli aveva stimolato l’istinto di narrare. Mentre alleviava la noia, il narrare rafforzava il legame del gruppo e l’identità dei singoli. Infine, viene il deciso allontanamento della morte dallo spazio percettivo e concettuale. Questo atteggiamento non consente di cogliere come ogni storia umana abbia una fine. E, soprattutto, come anche da questa fine acquisti significato.
Il narratore, il saggio
Secondo Benjamin, sapere come raccontare storie significa saper dare un senso a ciò che si vive e renderlo comunicabile. Saper narrare è dunque poter plasmare e scambiare esperienze. Il narratore, per la sua saggezza, è “l’uomo nella cui voce risuona il mondo intero”. Infatti, egli vede più in profondità e perciò sa offrire agli ascoltatori consigli filtrati dalle storie. È responsabile per la comunità, custode di saperi e tradizioni codificati in vicende riconoscibili. Vivendo alla luce dei racconti, ha acquisito una statura morale inconfondibile. Questo fa dire al filosofo:
il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso.
Benjamin aveva torto?
Senza dubbio, la maggioranza delle narrazioni contemporanee non ha fini morali. Tuttavia, etica e narrazione sembrano dialogare nell’intrattenimento. I videogiochi sempre più spesso raccontano storie che coinvolgono anche l’etica dei giocatori. In questa intervista, ad esempio, il game designer David Cage racconta come il videogioco Detroit: Become Human proponga una storia eticamente rilevante. Ma anche le serie tv affrontano questioni spinose con coraggio. Un esempio è il medical drama Grey’s Anatomy, che nell’ultima stagione critica il sistema sanitario statunitense. Sembra che la narrazione come Benjamin la intendeva abbia costruito alleanze per garantirsi una voce nonostante le difficoltà. Forse, ben nascosto, il narratore come saggio è ancora al lavoro in ognuno di noi. Walter Benjamin, con il suo ritratto del narratore, ci sfida a tenerlo vivo. E a non smettere di interrogarci sul nostro sapere come raccontare storie importanti.
Valeria Meazza