A campionato iniziato, i tifosi tornano davanti alla tv, ma soprattutto allo stadio, quasi tutti con in tasca la ormai nota tessera del tifoso, la carta di fidelizzazione che da quasi dieci anni ha cambiato il modo di accedere agli impianti sportivi in Italia. Ebbene, lo scorso 4 agosto, al chiuso degli uffici della FIGC, il presidente Tavecchio, il capo della polizia Gabrielli, il ministro Minniti e il presidente del Coni Malagò, annunciano la progressiva eliminazione di questo tanto diffuso ma soprattutto discusso, strumento, che i club italiani hanno dovuto adottare su direttiva ministeriale e rovesciare sui tifosi per l’acquisto di abbonamenti e di biglietti per le trasferte (obbligatoriamente) e in molti casi anche per l’acquisto di tagliandi per singole partite.
Per me, tifoso di stadio e testimone della prima tessera del tifoso, quella del Milan, denominata “Cuore rossonero” e per tutti coloro che settimanalmente hanno dovuto affrontare in questi anni i raffazzonati metodi di accesso agli stadi e tutti gli inconvenienti del caso, è certamente una vittoria.
Concepita come una tessera dentro cui caricare gli abbonamenti, con la conseguente scomparsa delle care e vecchie tessere forate all’ingresso, la carta Cuore Rossonero, mantenendo l’esempio personale, introdotta nel 2008 è stata convertita anche in carta prepagata, dentro cui caricare denaro e da utilizzare per gli acquisti in predeterminati punti vendita. Gli acquisti avrebbero dato dei punti, per la precisione un punto per ogni euro di spesa. Tale possibilità è andata scomparendo e anche la conversione in carta prepagata è stata già accantonata da qualche anno. La tessera del tifoso, che ha fruttato inoltre il sorgere di numerosi contratti stipulati tra banche e tifosi, si è rivelato unicamente uno strumento di trasformazione del tifoso in cliente, senza concedere alcun vantaggio al possessore se non quello di un quindici percento di sconto, sempre nel caso del Milan, sull’acquisto di prodotti ufficiali.
Come si può ben notare, nulla di queste parole hanno a che fare con il significato duro e puro di “tifoso”, bensì sono piuttosto accostabili a un mero consumatore che possiede la tessere di un supermercato. Inoltre, sbandierata come l’unico “pass” per qualsiasi tipo di partita, spesso e volentieri i divieti del fantomatico osservatorio sulle manifestazioni sportive posti su partite a rischio (un giorno ci spiegheranno come fanno a determinarle e come si può dipingere una situazione di emergenza ben prima che accada qualcosa) ha fatto sì che molte trasferte fossero vietate ugualmente ai possessori della tessera del tifoso così come a quelli che ne erano sprovvisti, legittimando come la questione sia sovente stata maneggiata in modo tanto approssimativo quanto ingiusto.
Personalmente, a me la tessera del tifoso non ha dato alcun vantaggio. Nessuna riduzione sull’abbonamento, anzi, un aumento di una ventina di euro, nessun omaggio, nessun supporto, niente di niente. Si badi bene che la passione per una squadra testimoniata dalla presenza costante negli stadi non dovrebbe dar diritto a un premio, proprio perché scaturisce dal cuore e non da un obbligo morale, ma di certo non può essere ghettizzata oltremodo. Lo stadio è stato e deve ancora essere un grande strumento aggregativo, la struttura che permette al calcio di concretizzare il suo ruolo sociale, ossia racchiudere nello stesso spazio, per un paio d’ore, gruppi di persone che non si conoscono tra loro ma che condividono lo stesso incondizionato amore per qualsivoglia squadra.
Ecco dunque che in quest’ottica diventa necessaria una fruizione più snella dell’evento, cosa che in tanti anni di stadio ho potuto constatare davvero pochissime volte. Tra stewart disinformati che non sanno dove si trovi una biglietteria e inservienti e poliziotti che spesso e volentieri si pongono a muso duro alla minima, civile contestazione di chi viene perseguito oltremodo, unito a italiote problematiche satellite, quali “devo stampare i biglietti ma la carta è finita”, “il sistema è andato in tilt, non riesco a fare i biglietti”, “non sapevamo di essere stati incaricati della vendita, ci siamo trovati file di tifosi fuori dalla porta”, e si potrebbe andare avanti all’infinito, hanno partorito un mix micidiale che ha portato alla crescita di tifosi che invitano gli amici per pizza e partita, a discapito di coloro che preferiscono ciò che io chiamo sempre il “freddo gradino”.
Gli effetti dell’abolizione della tessera del tifoso sono tutti da vedere, vi sono punti oscuri non chiariti, ma ci sarà tempo per farlo, mi auguro con maggior trasparenza rispetto alla gestione intera della vicenda tessera in questi anni. Uno dei primi sarà la gestione del cambio nominativo nel caso per esempio un abbonato sia impossibilitato a seguire la squadra una domenica, che oggi può avvenire solo da tessera a tessera, e soprattutto il divieto di acquisto dei biglietti per i tifosi residente nella regione della squadra ospite, una grottesca farsa che ha impedito a migliaia di persone di assistere dal vivo a tanti match.
Se per esempio, per Milan-Sassuolo, che non credo proprio possa essere inclusa nelle “partite a rischio” si risiede in Emilia Romagna ma non si possiede la tessera, non si può accedere a San Siro. Vi può essere norma più assurda di questa? Tutti i residenti nella regione sono forse potenziali delinquenti? Le risposte che tutti i tifosi, me compreso, che seguono la squadra allo stadio si aspettano, sono soprattutto queste.
Il secondo punto della questione riguarda gli strumenti di tifo, sui quali è calata una stretta asfissiante e impietosa nell’ultimo decennio. Curve spoglie di tutti gli striscioni, organizzazione del tifo diametralmente cambiata a causa della sottrazione degli strumenti di amplificazione quali impianti voce e megafoni, con effetti disastrosi sulle prestazioni vocali e quindi sulla generale cornice dell’evento. Qualcosa ultimamente a dire il vero è migliorato, ma per far tornare alle origini il tifo, ossia l’espressione colorata e variopinta di una passione nel suo modo più genuino e ruspante, occorre andare fino in fondo sulla possibilità, anch’essa paventata, di reintrodurre i tamburi e i megafoni. Quante domeniche passate con quel rumore perenne di sottofondo, quelle bacchette di legno picchiate sui piatti di quelle grancasse che scandivano le colonne sonore di tutti i fine settimana calcistici allo stadio. Riconsegnare ai tifosi gli strumenti della loro passione potrà servire a restituire loro non sono la gioia di fare ciò che attendono per una settimana, ma anche la libertà necessaria ad evitare, a colpi di divieti e proibizioni, di farli vivere come animali in cattività. E gioco forza, questo provvedimento è una sconfitta per lo Stato che, con pochi dubbi, di stadi e tifoserie ci aveva capito poco o niente.
Di fronte a un articolo praticamente PER-FET-TO, ho una sola piccola precisazione: generalmente il divieto di trasferta per i residenti nella regione della squadra ospite riguarda solo le cosiddette “partite a rischio” e sinceramente dubito che Milan-Sassuolo sia stata definita tale. In caso contrario i membri dell’osservatorio sono ancora più idioti di quanto credessi.