Ritorno a scuola tra mille difficoltà. Tra contagi e quarantene, si sono contate molte assenze sia tra gli studenti che tra i docenti, di ogni ordine. In tanti, pur senza essere stati contagiati o sottoposti a quarantena, sono stati a casa per paura del contagio. I numeri in vertiginoso aumento hanno spaventato molti e li hanno spinti a una sorta di autotutela.
Da docente, ho affrontato il ritorno a scuola sapendo che ci sarebbero state delle difficoltà. Alcuni miei studenti hanno scelto di non presentarsi a lezione per protestare contro la gestione della situazione da parte di chi prende le decisioni. Forse, sostengono, sarebbe stato meglio aspettare il miglioramento della situazione ricorrendo alla DAD per tutti. Questo articolo è il frutto del dibattito, produttivo, che abbiamo avuto e vuol essere un invito a ragionare: sulla questione scolastica e sulle battaglie che combattiamo.
La protesta degli studenti, delle famiglie e dei Dirigenti scolastici
Alcuni studenti, sopratutto delle secondarie di secondo grado, hanno deciso di manifestare il loro dissenso per la gestione del ritorno a scuola non presentandosi a lezione. Una scelta motivata – spiegano – dal desiderio di richiamare l’attenzione sul problema scolastico, per far sentire la loro voce, per sensibilizzare le istituzioni. Anche molte famiglie hanno preferito tenere a casa da scuola i figli piccoli, come forma di autotutela. Cosa chiedono, sostanzialmente? Due settimane di didattica a distanza, allineandosi – di fatto – con quella che è la richiesta di molti Dirigenti scolastici in tutta Italia.
Se la richiesta dei Dirigenti pare ragionevole, viste le difficoltà enormi di gestire amministrativamente e materialmente una situazione di oggettiva difficoltà con una scarsità di mezzi e di risorse quantomai evidente nelle scuole italiane, sulle proteste de* ragazz* si può – e si deve – ragionare con serenità. Per ascoltare, capire e magari cogliere l’occasione di trasformare questo ritorno a scuola in un’occasione per crescere.
Una cosa è certa: quando un* adolescente prende posizione e manifesta il suo pensiero, ancor più se collettivamente, c’è sempre da gioirne. Così si entra a far parte della società, si acquista una coscienza civile e politica, si cresce. Detto questo, è legittimo anche interrogarsi e aiutare i ragazz* a fare altrettanto, per evitare strumentalizzazioni e facili semplificazioni.
Partire dai dati
I dati, per quanto confusi, sono sempre una buona base dalla quale partire. I numeri sono impietosi e raccontano di un’impennata dei contagi che chiamare ondata pare quasi riduttivo. Ma dicono anche qualcos’altro: in proporzione al numero di infetti, la campagna vaccinale, i miglioramenti nelle cure e i – pur timidi – incrementi dei posti a disposizione nelle terapie intensive rendono la situazione assai meno drammatica rispetto a solo un anno fa.
Un’altra cosa: difficilmente si possono imputare le cifre del contagio attuali alle scuole. Più ragionevole constatare che l’impennata sia legata alle festività e alle attività delle ultime due settimane. Significa quindi che il ritorno a scuola non debba destare la minima preoccupazione? Certamente no. Ci sono anche dati che richiedono attenzione. Ma – per quanto non si disponga di dati completi in proposito – fino ad oggi le scuole si sono dimostrate dei luoghi mediamente più “sicuri” rispetto a tanti altri (al netto, ovviamente, del rispetto delle precauzioni solite; sulle quali – si può dire? – tutti noi, a scuola e fuori, avevamo comprensibilmente abbassato la soglia di attenzione nel tiepido autunno pandemico).
Hanno torto o ragione, dunque, coloro che affermano sarebbe stato meglio riprendere le lezioni in DAD fino al miglioramento dei numeri? Anche questa è una risposta alla quale non è semplice trovare una risposta. Quando le condizioni saranno migliori? A fine mese? A maggio? Fare previsioni è impossibile. Il mondo di oggi – soprattutto quello dei media e, di conseguenza, la fantomatica opinione pubblica – ama le semplificazioni e le divisioni nette. Però, se c’è una cosa che dovremmo aver capito in questi due anni è che a problemi complessi non si possono trovare soluzioni semplici. Al limite, si possono trovare compromessi chiari. E si possono aiutare i ragazz* a ragionare sul questo mondo che – effettivamente – passa sopra loro testa senza starli ad ascoltare seriamente.
Ritorno a scuola sì, ma come?
Non solo sulle loro, ovviamente. Senza allargare troppo il campo, pare assurdo che per tutto il periodo delle festività il Ministro si sia limitato a dire “il 10 si torna in classe”, senza provvedere per tempo a rassicurare su protocolli e provvedimenti e lasciando che la data fatidica si avvicinasse in un clima di crescente e giustificata preoccupazione da parte di tutte le componenti del mondo scolastico. Con un dibattito che ha volte ha toccato invidiabili punte di surrealismo. Se in tanti, oggi, sono rimasi a casa, le responsabilità arrivano dai piani alti.
Un contagiato o due? Forse tre? E le mascherine saranno a disposizione a scuola? Chi si occupa dei tamponi? Quando? Alzi la mano chi ha in mente tutte le risposte in modo chiaro. Se le attenuanti generiche vanno concesse anche a chi prende le decisioni, non si possono neppure deprecare le voci di dissenso o derubricare le paure a capricci. Se esiste un piano per prendersi cura della scuola, insomma, fatecelo conoscere.
Le domande che possiamo porci
Esserci, farsi sentire e sentirsi parte di qualcosa: sono passaggi fondamentali nella vita di un* adolescente e combattere delle battaglie è uno strumento di crescita. Fondamentale però diventa interrogarsi in merito alla battaglia che si sta combattendo. Cosa voglio ottenere e perché? Per chi combatto? A vantaggio di chi vanno le mie rivendicazioni? Sono coerenti con le altre battaglie che ho combattuto e con la mia condotta?
Partiamo dal fondo. Non si può, chiaramente, entrare nel merito della vita privata di student* (e professor*): ciascuno ha le proprie esigenze, paure, motivazioni. Se sospendiamo questo assunto, finiamo col fare crociate che spesso sono appannaggio del potere e spesso ottengono effetti contrari, salvo risultati ottenuti con la coercizione. Ciascuno però, dovrebbe prendersi il carico della propria coerenza.
Ritorno a scuola in DAD: sarebbe una soluzione?
Così, chiedo ai ragazzi che imporrebbero due settimane di DAD: è coerente con la vostra condotta? Se credete che questo eviti il diffondersi del contagio e del contagio, giustamente, abbiamo paura (ma anche dei disagi legati a quarantene per noi e per i nostri cari), vi state comportando in maniera coerente anche negli altri ambiti della vostra vita? Quali luoghi sono più a rischio: scuole, palestre, piscine, bar, case di amic*?
Sarebbe eticamente corretto lasciare che un adolescente possa andare allo stadio e contemporaneamente vietare l’ingresso a scuola? Far sì che possa andare a prendere un aperitivo in compagnia, ma costringerlo a guardare la lezione su uno schermo? Se tanto si può imputare alle forze politiche ed è legittimo criticare il Governo, credo che tener duro sulla scuola sia qualcosa di più di una battaglia di principio. Credo sia una importante questione di civiltà.
“La scelta di riportare tutti gli studenti in aula è motivata dall’evidenza che il prolungato e diffuso uso della didattica a distanza provoca problemi alla vita di una comunità” – (e fino a qui, tutto bene…)
“C’è un disposto sufficientemente flessibile che da una parte stabilisce il principio del ‘tutti a scuola’, dall’altro, laddove ci siano dei problemi, dà la possibilità di ricorrere alla distanza” – (disposto flessibile, d’accordo… ma chiaro? Proprio non si poteva fare qualcosa di più?)
Ministro Bianchi, ieri su Radio1
L’alternativa è un lockdown “vecchio stile”; ma non credo che sia quello che la maggioranza delle persone (e de* ragazz*) desidera e che sia coerente con la situazione epidemiologica attuale. O forse qualcuno ne sente la nostalgia? Mesi fa – mentre i camion militari trasportavano le bare e alle 18 ogni angolo del nostro paese si chiudeva in un silenzio spettrale – molti studenti protestavano contro la DAD, in modo sacrosanto, richiedendo di tornare il prima possibile, in sicurezza, nelle aule scolastiche. Perciò, ripetiamoci la domanda: tutto questo è coerente con quel che si chiede adesso al ministro Bianchi?
Nessuno vi può giudicare, car* ragazz*
Ribadisco un concetto: nessuno conosce la vita degli altri abbastanza a fondo da emettere un giudizio senza che questo risulti forzato e ideologico. Sappiamo quanti student* vivono con nonni fragili che non si possono vaccinare? So chi fra loro rinuncia anche alle attività sportive oltre che a quelle scolastiche in presenza? Sappiamo quanto sacrificio e sforzo questo possa costare loro? No. Posso sapere se alcuni di loro chiedono di poter restare a casa per minimizzare i rischi perché i loro genitori sono liberi professionisti e vivono una situazione economica tale che una quarantena potrebbe metterli in ginocchio? No. Non lo sapete. Non lo so neppure io e nessuno lo sa. Quindi sarebbe molto saggio astenersi dal giudicare.
Altrettanto vero è però che i disagi – didattici e a volte mentali, oltre che pratici – legati alla DAD li conosciamo bene. Tutt’ora ci sono studenti che non hanno gli strumenti adatti a seguire una lezione a distanza. Non hanno gli spazi. Tutt’ora non abbiamo modo (e non penso che ne esita uno) per valutare adeguatamente quanti abbiano un genitore dietro al computer che prende appunti in loro vece e quanti, al contrario, devono provvedere a tutto da soli, tra mille difficoltà. La DAD non è uguale per tutti. Acuisce le differenze. Crea molte difficoltà. Siamo ben lontani, purtroppo, da una scuola 2.0 e dall’azzeramento delle disuguaglianze. Chiedere la DAD per tutti, è una scelta che tiene conto anche di quest* ragazz*? E chi vive situazioni di difficoltà non solo didattiche? Il ritorno a scuola, per molti vissuto come un problema, per altri potrebbe essere stato un sollievo.
La DAD come opportunità
Forse – e sarebbe una battaglia sacrosanta – sarebbe opportuno chiedere che le scuole vengano messe in condizione di provvedere ai bisogni didattici e di tutela della sicurezza di tutti, studenti, docenti e personale non docente. Mascherine, tamponi, spazi adeguati, sportelli di supporto psicologico. Senza voler scivolare nella facile demagogia, forse si poteva destinare una parte dei fondi record dedicati alle spese militari al miglioramento della situazione scolastica. Forse questa sarebbe stata una battaglia più attenta alle esigenze di tutti in vista del ritorno a scuola?
Ma c’è un’altro aspetto su cui si potrebbe ragionare. La DAD funziona. Con tutte le dovute cautele, si può affermare che si è rivelata uno strumento utile, agile, in certi casi anche estremamente efficace. Non sempre, non per tutti, non troppo a lungo. Ma è uno strumento testato e che abbiamo a disposizione. Rendiamolo allora davvero uno strumento utile. Non una soluzione d’emergenza. E nemmeno un piano B. Non un’alternativa povera dell’insegnamento, ma una risorsa. Una risorsa valida per chi ne ha bisogno. Per chi è in isolamento, certo. Ma anche per chi vive una situazione di disagio, di paura, di rischio. Per un alunn* sportiv* in trasferta, per chi ha un piede rotto ed è costretto a letto. Un’alternativa per tutti quei casi che possono verificarsi nelle mille vite delle quali non conosciamo ogni aspetto. Rendiamo più agile la sua richiesta e applicazione.
Sono giovani in gamba
Certo – sento già l’opposizione – c’è il rischio che qualche sfaccendato ne approfitti, stia a casa da scuola e poi al pomeriggio vada al campetto. Ovviamente questo rischio c’è sempre e in qualunque campo. Ma uno Stato non paternalista e una scuola non paternalista dovrebbero imparare a fidarsi dei propri cittadini e dei propri studenti. Educare significa anche responsabilizzare. Ciascuno, poi, farà i conti con la propria coerenza e con il proprio rendimento scolastico. Ma per esperienza vi assicuro che per dieci che se approfitterebbero, mille altri sarebbero felici di non perdersi delle lezioni in caso di necessità.
Metteteli alla prova: vi stupirete della maturità de* ragazz*. Sono giovani in gamba, temprati – fin troppo – da questi due anni difficili, estenuanti. Chiedetevi – colleghi, critici, tromboni, politici – come avreste vissuto voi al posto loro? Voi che avete avuto un’adolescenza “normale”, fatta di sport, uscite con gli amici, scuola da bigiare, serate a ballare? Date a quest* ragazz* quello che hanno già abbondantemente dimostrato di meritare. Metteteli nelle condizioni di andare a scuola in sicurezza; date loro protocolli chiari e informazioni adeguate; strumenti e pari possibilità per tutt*; aule desolatamente vuote o, come minimo, punteggiate da tristi banchi riempiti da fantasmi di incertezze e paure, come purtroppo ne abbiamo viste in questi giorni, diventerebbero solo un ricordo.
Pretendere, ma assumersi le proprie responsabilità
Bisogna tener duro, dunque. Rispettare i punti di vista diversi e battersi affinché le esigenze di tutti siano rispettate e soddisfatte. Ragazz*, chiedetevi se quello che volete ottenere va davvero a vantaggio di tutti voi. Non ci sono in gioco due settimane di DAD, magari tra un po’ arriverà un altro lockdown o finalmente tra non molto usciremo da questa brutta storia… ma c’è in gioco la vostra capacità di ragionare; la vostra credibilità; il vostro concetto di società, di etica, di uguaglianza. Non mi permetto di giudicare alcun* di voi, ma cercate di scegliere bene le vostre battaglie e gli obiettivi che vi stanno a cuore. Pretendete una scuola coraggiosa, sicura, autorevole. Non una scuola che deve scappare davanti alle difficoltà. Pretendete uno Stato che pensa a voi. E assumetevi le vostre responsabilità.
Siete voi, una classe, una comunità, in un’aula. A volte troppo stretta, certamente. Ma lì dentro ci siete voi e siete voi gli unici responsabili delle precauzioni per la vostra sicurezza in quello spazio. I Dirigenti e il personale non docente lottano da quasi due anni per mettervi nelle condizioni di entrare, restare e uscire da scuola nel modo più opportuno, ma in aula ci siete voi.
La battaglia di tutti, per tutti
Pensate a una cassiera che trascorre otto ore e più in un supermercato, in mezzo a centinaia di persone. A un* fattorin*. O a un* capotreno. Magari ad un’autista di autobus. A un* infermier*. Tutti hanno diritto a tutele, garanzie, supporto. Tutti cercano, da due anni a questa parte, di tener duro, barcamenandosi tra paure, divieti, desideri, sogni rimandati, lutti. E continuano a fare quel che devono, sperando – chiedendo – che chi ha l’onore e l’onere di prendere le decisioni, agisca in modo chiaro, tempestivo, a tutela di tutti. Pur tra mille difficoltà, mondiali, e di fronte a una situazione inedita.
Voi siete in una situazione diversa in parte diversa, che è – nella realtà quotidiana – quasi interamente in mano vostra: cercate di prendervene cura. Sì, voi avete un’alternativa, la DAD, che – come detto – dovrebbe diventare uno strumento utile in caso di necessità. Forse prossimamente tornerà utile, forse la vostra richiesta si dimostrerà sensata. Ma non dimenticatevi mai di rendere conto alla vostra coerenza, di assumervi le vostre responsabilità e, soprattutto, di guardare anche alle necessità di quelle – tante – vite che potrebbero avere necessità e difficoltà diverse dalle vostre.
Due settimane di DAD non creerebbero gravi disagi scolastici? Forse. Ma siamo sicuri che i numeri miglioreranno tra due settimane? Chissà. La DAD migliorerebbe la situazione pandemica? Non ne sarei così convinto. Nasconderebbe le responsabilità rimandando ancora i problemi (e le soluzioni)? Temo di sì. Allora l’auspicio è che questo dibattito, quale che sia il suo esito, non venga messo da parte una volta finita l’emergenza. E che questo ritorno a scuola diventi un’occasione reale, che coinvolga gli studenti, per avere un’istruzione all’altezza delle esigenze de* ragazz*.
Simone Sciutteri