Rita Atria, la ragazza di 17 anni che si ribellò alla mafia

Rita Atria, la ragazza di 17 anni che si ribellò alla mafia

Il 26 luglio del 1992, una settimana dopo la strage di Via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino, una giovane ragazza di soli 17 anni muore tragicamente cadendo dal settimo piano del palazzo in cui si era appena trasferita. Si chiamava Rita Atria ed era una collaboratrice di giustizia.  Dopo più di 30 anni si torna a parlare di lei, non solo per ricordare e commemorare il coraggio che ha dimostrato in quegli anni e che le è costato la vita, ma anche per far luce sulle incongruenze della sua morte.

Chi era Rita Atria

Rita Atria nasce a Partanna, nella Valle del Belice, in Sicilia. Figlia Giovanna Cannova e di Don Vito Atria, ufficialmente un allevatore di pecore, in realtà un piccolo boss mafioso locale facente capo alla famiglia Accardo, Rita cresce in un territorio che da luogo di pastori si trasformerà, negli anni dopo il terremoto del 1968, in un centro di traffico di droga e armi.



La valle del Belice è anche un luogo caratterizzato da faide familiari e vendette sanguinose. Il padre di Rita, che non era interessato ai traffici di droga, viene ucciso nel 1985. Lo sostituisce il fratello di Rita, Nicola Atria, che a differenza del padre riesce a guadagnare molti soldi proprio grazie al narcotraffico. Quello tra Rita e Nicola è un rapporto fraterno molto intimo, fatto di confidenze e complicità. Sarà proprio lui a raccontarle dell’omicidio del padre, delle persone coinvolte, del movente; ma anche delle gerarchie in paese, di chi comandava e di chi eseguiva.

Nel 1991 anche il fratello Nicola viene ucciso in un’imboscata, davanti agli occhi della moglie, Piera Aiello, la prima che deciderà di denunciare gli assassini del marito. Dopo aver deciso di collaborare con la giustizia, Piera viene traferita insieme ai figli in una località segreta. Nel frattempo, Rita viene rinnegata in paese in quanto parente di una pentita e si sente sola e con un unico pensiero: la vendetta. Fu così che decise anche lei di denunciare la morte del padre e del fratello a cui lei era molto legata e lo fa rivolgendosi a Paolo Borsellino, una figura che le cambierà la vita.

L’incontro con Paolo Borsellino

Inizialmente nella sua decisione non c’era nessun tipo di ideale di giustizia o di lotta alla mafia, parliamo di una ragazza di 17 anni che aveva sempre vissuto nel contesto mafioso, e solo quello conosceva. Fu l’incontro con Paolo Borsellino, insieme alle assistenti procuratrici che l’hanno seguita, che Rita è passata dalla voglia di vendetta alla voglia di giustizia, che è molto diverso.

Nonostante la sua giovane età, Rita ha dimostrato di avere molto coraggio e intelligenza. Rita denuncia il sistema mafioso di Partanna, un luogo che insieme ad altri comuni della Valle del Belice, erano distrutti da lotte di potere sanguinose tra clan rivali, vendicando così l’assassinio del padre e del fratello. Le dichiarazioni di Rita e Piera permetteranno a Paolo Borsellino e ai suoi collaboratori di fare luce sugli ingranaggi delle cosche mafiose del trapanese, delineando gli scenari della faida tra la famiglia Ingoglia e gli Accardo, che avevano causato più di 30 omicidi. Grazie a Rita si riuscì anche a far chiarezza sulla morte dell’allora vicesindaco di Partanna, il deputato della DC Stefano Nastasi.

“ … l’omicidio fu voluto da Vincenzo Culicchia che temendo di perdere la poltrona di sindaco insidiata da Stefanino Nastasi ed al contempo temendo che il successore in tale carica scoprisse tutti gli ammanchi e gli intrallazzi dal Culicchia perpetrati in particolare nell’ambito degli stanziamenti per la ricostruzione dopo il terremoto, decretò la morte del predetto Nastasi”, racconta Rita, senza troppi giri di parole.

Dopo queste rivelazioni, Rita viene trasferita a Roma sotto falso nome. Durante la sua permanenza nella capitale stringe un forte rapporto confidenziale con Borsellino tanto da chiamarlo “zio Paolo”, trovando in lui un uomo gentile con cui si sente al sicuro. Con la sua morte, il 19 luglio 1992, Rita cade nello sconforto. Nel suo diario, prima di morire, scrive:

Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. […] Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta.

Rita verrà ricordata come la “settima vittima di via d’Amelio”.

La richiesta di riapertura indagini sulla morte di Rita Atria

Rita Atria muore il 26 luglio 1992 cadendo dal settimo piano del palazzo in cui si era traferita il giorno prima, in viale Amelia, nel quartiere tuscolano di Roma. I funerali furono celebrati a Partanna, dove nessuno andò a renderle omaggio. Non andò neppure sua madre, che fredda e distaccata, l’aveva ripudiata e minacciata di morte perché quella figlia così poco allineata, per niente assoggettata, le procurava stizza e preoccupazione.

Dopo delle indagini veloci e approssimative, il caso della giovane venne archiviato come “suicidio”. Ma secondo alcuni le incongruenze sulla sua morte sono ancora molte. Per questo motivo, dopo un’importante inchiesta dello Speciale TG1 firmata da Giovanna Cucè, in cui si ricostruisce la vita e la tragica morte di Rita, l’Associazione Antimafia Rita Atria, insieme alla sorella Anna Maria Atria, hanno depositato la richiesta di riapertura delle indagini sulla sua morte con un esposto alla Procura di Roma. 

Le incongruenze denunciate dall’avvocato Goffredo D’Antona sono tante, come il fidanzato dell’epoca di Rita, Gabriele, sparito misteriosamente subito dopo la sua morte. O il fatto che il giorno in cui Rita morì in casa non trovarono nessuna impronta o traccia biologica, nemmeno di Rita stessa. Per non parlare della sparizione della sua agenda, che conteneva una rubrica telefonica, ad oggi scomparsa.

“Non ci sono prove che Rita si sia suicidata”, dice Nadia Funari, presidente dell’Associazione Antimafia Rita Atria. “Non si spiega come abbia fatto a buttarsi giù dalla finestra, visto che la serranda era semichiusa. Nell’appartamento è stato trovato un orologio maschile, ma nessuno lo ha inserito tra i reperti. A chi apparteneva? Nel suo sangue è stato trovato un tasso di alcol molto alto, ma Rita non beveva”, aggiunge Funari ai microfoni di Tgcom24.

Tanti, quindi, i misteri su cui bisogna ancora far luce.

L’importanza della memoria

Rita Atria era una ragazza che a 17 anni ha deciso di collaborare con lo Stato ribellandosi al potere mafioso, raccontando tutto ciò di cui era a conoscenza e ispirando altre donne a denunciare. Quella ragazza, il giorno della sua morte, fu abbandonata da quello stesso Stato che aveva promesso di proteggerla, lasciandola in balia di un vuoto e un’oscurità che l’ha travolta, diventando indirettamente la “settima vittima della strage di via D’Amelio”.

Dopo più di 30 anni, il silenzio delle istituzioni che ruota attorno alla sua morte suona ancora forte, motivo per cui l’Associazione antimafia che porta il suo nome, la sorella e tutti quelli che capiscono l’importanza della memoria di una giovane coraggiosa, continuano a lottare per chiedere verità e giustizia, “per non far morire nuovamente Rita e tutti coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare, per non farli annegare, scomparire ancora, e noi insieme a loro, nella distruzione della memoria”.

Aurora Compagnone

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