Riso italiano in partenza verso la piazza cinese: una destinazione quasi paradossale, frutto invece di un accordo a lungo ragionato. Il Paese del Dragone ha appena autorizzato l’Italia ad importare il riso Made in Italy, applicando il protocollo siglato dalle due parti l’8 Aprile 2020. Porte aperte a tutte le varietà italiane: dal re dei risi Carnaroli all’Arborio e al Vialone Nano, Roma e Baldo inclusi. La notizia è arrivata dall’ambasciata italiana in Cina, dopo l’ok dalle autorità cinesi dello scorso 15 Aprile. Si tratta del completamento di lunghe trattative, rallentate da severi controlli fitosanitari.
L’eccellenza del Made in Italy
La scelta Cinese è motivata da due fattori. Il primo è la qualità del cereale prodotto nel Bel Paese. Il clima e il terreno del Nord Italia rendono unico il sapore di questo cereale, che si è guadagnato i marchi DOP e IGP. La coltivazione di riso sul territorio occupa 228mila ettari di terreno, con un incremento di +4 dallo scorso 2020. Sono più di 4.000 le aziende attive sul territorio che raccolgono circa 1, 40 milioni di tonnellate di riso l’anno. L’Italia ha scalato le classifiche europee, diventando il primo Paese esportatore dell’Unione, conquistando totalmente il mercato inglese e tedesco. Attualmente il 60% della produzione italiana di riso è impegnata nell’export. Dati destinati ad aumentare, a seguito del recente accordo con la Cina.
Riso italiano sulle tavole del primo Paese produttore al mondo
È universalmente noto che la Cina sia la patria del bianco cereale scoperto già nel VI millennio avanti Cristo. La Cina resta ancora il primo produttore di riso al mondo. Ma perché le tavole cinesi ospiteranno riso straniero? La risposta è doppiamente motivata. Da un lato il Made in Italy è sinonimo di qualità, diventando un marchio distintivo e di differenziazione per la borghesia cinese. Dall’altro lato è un effetto dell’economia globalizzata: il dislivello tra il prezzo del prodotto nazionale e quello d’importazione ha avvantaggiato il secondo, spingendo molte imprese cinesi a prediligere il riso straniero. Il protezionismo delle politiche precedenti ha avvantaggiato i lavoratori, fissando un prezzo minimo del cereale e aumentando leggermente il costo del lavoro, ma non è riuscito a bloccare processi globali già in atto. Gli analisti stimano che il Paese si trasformerà a breve nel primo Paese importatore al mondo.
Elena Marullo