Il consorzio BioRescue ha annunciato di aver creato cinque embrioni di rinoceronte bianco attraverso la fecondazione assistita. Un progetto complesso e rivoluzionario, che potrebbe cambiare le sorti di molte altre specie a rischio di estinzione.
Il rinoceronte bianco o camuso
Il rinoceronte bianco settentrionale (Ceratotherium simum cottoni) è una sottospecie appartenente alla famiglia dei Rinocerontidi. Vive nelle grandi savane africane in piccoli branchi ed è di indole piuttosto tranquilla rispetto al cugino nero (Diceros bicornis). In realtà, ha una colorazione grigiastra e non bianca, come descrive il suo nome, e l’errore deriva da un’errata traduzione. Infatti, la parola “wyd” (largo), scritta in lingua Afrikaans, è stata tradotta in inglese con il termine “white” (bianco). Abbastanza longevo (50-60 anni), grazie alla sua mole non ha nemici naturali, se non l’uomo, che ne ridusse drasticamente la popolazione. Nel tempo, a causa del bracconaggio il numero di rinoceronti bianchi è passato da 2000 esemplari (anni Sessanta) alle sole due femmine di oggi.
Una specie in estinzione
Ufficialmente scomparsi allo stato selvatico già dal 2008, esistono oggi solo due femmine in una riserva del Kenya. Purtroppo, l’ultimo maschio (Sudan) morì nel marzo 2018 a causa di una grave infezione, che costrinse i veterinari all’eutanasia. Ad oggi, ci sono quindi solo Fatu e Najin, motivo per cui la specie è stata dichiarata estinta. Entrambe vivono a Ol Pejeta Conservancy in Kenya e sono sotto stretta sorveglianza per impedire l’avvicinamento dei bracconieri.
La fecondazione assistita
Grazie alle tecniche sempre più performanti, forse c’è ancora una speranza per il rinoceronte bianco, ovvero la fecondazione in vitro. Infatti, nel tempo gli scienziati hanno crioconservato diversi campioni di sperma prelevati da maschi ormai defunti, così come sono stati prelevati embrioni dalle due femmine ancora vive. L’idea iniziale è stata creare degli embrioni in laboratorio e utilizzare poi delle madri surrogate per la gestazione, vista l’età avanzata di Fatu e Najin. In particolare, si pensa di procedere con delle femmine appartenenti all’altra sottospecie: il rinoceronte bianco meridionale (Ceratotherium simum simum), la cui conservazione è molto meno critica.
Il progetto sperimentale
Ideato da BioRescue, in collaborazione con il Leibniz Institute (Izw) di Berlino, il laboratorio Avantea (Cremona), lo Zoo di Dvůr Králové (Repubblica Ceca) e l’Ol Pejeta Conservancy (Kenya), il progetto prevedeva la realizzazione di embrioni di rinoceronte bianco in laboratorio. I primi tre sono stati creati nel 2019, dopo aver prelevato gli ovociti dalle femmine, per poi procedere in laboratorio. Infatti, come afferma il professore Cesare Galli di Avantea, “abbiamo sviluppato procedure per maturare gli ovociti, fecondarli e coltivarli”. Fortunatamente, la tecnica si è dimostrata sicura e replicabile, facendo così ben sperare nella riuscita del progetto e quindi nella possibilità di salvare questa specie dall’estinzione.
Dicembre 2020, un altro successo
Il 13 dicembre il team ha prelevato alcuni ovociti di rinoceronte bianco dalle femmine in Kenya, per poi trasferirli immediatamente nei laboratori di Avantea. In seguito, utilizzando il seme di un maschio defunto, gli scienziati hanno eseguito la fecondazione assistita mediante la tecnica Icsi (Intra Cytoplasm Sperm Injection). Raggiunto lo stato di blastocisti, i due embrioni sono stati crioconservati, portando il numero totale di quelli attualmente prodotti a cinque. Il passo successivo sarà trovare le madri surrogate di rinoceronte bianco meridionale per permettere la nascita dei nuovi esemplari. Purtroppo, solo gli ovociti di Fatu hanno funzionato, mentre non sono rimasti vitali quelli di Najin, probabilmente a causa della sua età ormai avanzata. Questa ulteriore complicazione sottolinea l’urgenza di produrre quanti più embrione possibile in poco tempo, per limitare i rischi di fallimento del progetto.
Covid-19, un ostacolo pericoloso
La pandemia scoppiata agli inizi del 2020 non ha aiutato il progetto sperimentale ma, anzi, ne ha seriamente compromesso lo sviluppo. I prelievi di ovociti programmati nel mese di marzo erano stati annullati e il team è partito per il Kenya solo in agosto. Infatti, i risultati ottenuti nel 2020, seppur ottimali, hanno risentito di tutte le complicazioni dettate dal Covid-19, soprattutto in termini di numeri di embrioni sviluppati. Tuttavia, le procedure regolari di dicembre suggeriscono che raccolte periodiche, ripetute ogni 3-4 mesi, dovrebbero essere la chiave del successo e questo fa ben sperare.
La fase successiva
In novembre 2020, un maschio di rinoceronte bianco del sud è stato trasferito nella riserva dove vivono le due femmine. Si tratta di un esemplare di allevamento, che è già stato un riproduttore di grande successo e, infatti, ritenuto idoneo. Per permettere la realizzazione della fase successiva del progetto, è stato necessario sterilizzarlo, una scelta obbligata e successiva a un’attenta valutazione etica del rischio. Purtroppo, solo la presenza di un maschio può dare indicazioni attendibili su quando effettuare l’impianto degli embrioni creati in laboratorio. Difatti, per aumentare le probabilità di successo è opportuno che la femmina sia in estro, condizione valutabile solo tramite il comportamento del maschio, ma quest’ultimo non deve fecondare le madri surrogate. Giunta al termine la gravidanza, “sarà determinante la presenza di Fatu e Najin”, per aiutare i neonati con l’imprinting. Infatti, indipendentemente dalla salute fisica, è importante che acquisiscano il comportamento tipico della loro specie, per garantirne la sopravvivenza in futuro.
L’importanza delle cellule staminali
Attualmente sono vive solo due femmine, di cui una sola fertile, mentre lo sperma congelato proviene da soli quattro esemplari deceduti. La fecondazione assistita può risolvere il problema della creazione degli embrioni, ma non quello della variabilità genetica. Infatti, per creare una popolazione autonoma e vitale, è necessario un pool genico più ampio, che riduca il rischio di inbreeding (inincrocio). Per questo motivo, il team sta lavorando anche su un altro fronte, ovvero generare gameti da cellule staminali. Come afferma l’esperto Sebastian Diecke, “il nostro obiettivo è produrre cellule germinali primordiali in vitro da cellule staminali, le quali saranno poi trasformate in ovociti e spermatozoi”. Tutto questo è oggi pensabile non solo grazie alle performanti tecniche di laboratorio, ma anche perché in passato si è proceduto alla crioconservazione di numerose cellule prelevate dagli esemplari rimasti in vita.
“Stiamo assistendo allo sviluppo di un metodo che può aiutare a compensare l’impatto negativo degli esseri umani sulla natura”
Si prospetta la realizzazione di un progetto pioneristico rivoluzionario, che potrebbe salvare anche molte altre specie. In passato alcuni successi avevano già fornito le basi scientifiche da cui partire, per una sfida così ambiziosa. Infatti, nel 2011, avvenne la prima inseminazione di una femmina di elefante africano (Loxodonta africana) e seguirono poi quella del panda gigante (Ailuropoda melanoleuca), dell’elefante asiatico (Elephas maximus) e del furetto dai piedi neri (Mustela nigripes). Tuttavia, il fatto che queste tecniche stiano diventando sempre più fattibili, non dovrebbe farle vedere come un’alternativa alla tutela delle specie viventi. Infatti, tali procedure devono rimanere uno strumento aggiuntivo e straordinario da adottare quando non ci sono ormai più alternative. Invece, la distruzione degli habitat e il bracconaggio sono le due problematiche prioritarie contro cui combattere.
“Possiamo continuare a camminare come sonnambuli verso l’estinzione o possiamo divenire consapevoli delle nostre potenzialità e di quelle del pianeta”
L’attività di conservazione non comincia quando sopraggiunge una condizione di pericolo, ma prima. Molto prima. La vera chiave del successo è impedire l’iscrizione di una specie sulla lista rossa e non capire come toglierla. Per conservare bene, dobbiamo investire risorse nel prevenire i danni e non nel ripararli. In passato, tra omertà e ignoranza, gli errori ci sono stati, molti dei quali hanno segnato definitivamente la sorte di tanti animali. Oggi, con la tecnologia raggiungiamo risultati mai pensati prima, ma con la consapevolezza possiamo impedire che tutto questo accada.
La scienza, prima di darci risposte su cosa possiamo fare, ci dice dove abbiamo sbagliato. Forse, sarebbe il caso di ripartire da lì.
Carolina Salomoni