Rinascere “Don Chisciotte” (419 anni dopo). Come il sogno salvò Alonso

Don Chisciotte, un visionario

«In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia…»

(Don Chisciotte, Miguel De Cervantes)

Il 16 Gennaio del 1605 usciva la prima edizione di una di quelle opere che avrebbe segnato per sempre la storia della letteratura. Con al centro un protagonista tanto eccentrico quanto visionario, precursore del “romanzo moderno” e annoverato tra i testi più influenti a livello mondiale, il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes è considerato ancora oggi un capolavoro letterario assoluto.

Immerso nel panorama del poema cavalleresco, Cervantes si ispira proprio a quella tradizione, ormai centenaria, che celebrava la figura del cavaliere come il simbolo per eccellenza di massima virtù. Nella Spagna del Siglo de Oro, il “cavaliere” era infatti colui disposto ad accettare persino la morte pur di realizzare i suoi ideali più grandi, ideali che risiedevano tendenzialmente in valori quali la libertà, la purezza e la devozione per la Patria.

Alonso, il cavaliere visionario 

Protagonista del testo è il visionario Alonso Quijano, un hidalgo spagnolo di mezza età che un giorno, talmente folgorato dalle sue amatissime letture cavalleresche, credendosi anch’esso “cavaliere” e autodesignandosi così “Don Chisciotte de la Mancia”, decide di partire per la Spagna insieme al suo fido scudiero Sancio Panza (un contadino del posto) all’insegna della difesa dei più deboli.

Il mondo di Don Chisciotte però non è che un mondo immaginato, fatto di ideali, altissime missioni da portare a compimento e bisognosi che aspettano di essere salvati.
Quella di Alonso è una visione generata dalla sua stessa follia, ma che per lui rappresenta il massimo della concretezza. La sua convinzione è tutto ciò che guida il suo agire, ma i contorni della “realtà” all’interno della quale il protagonista vive sono dettati esclusivamente da una proiezione distorta, dalla sua completa alienazione dal mondo reale.

In uno dei passaggi più emblematici del testo lo si vede infatti combattere contro una quarantina di mulini a vento: nella convinzione che questi fossero giganti da abbattere, il poverino si lancia senza freni nella battaglia, finendo però per uscirne del tutto sconfitto. Ogni tentativo di azione del protagonista, ogni suo slancio si rivela allora così, fallimentare.

L’eterna modernità del Don Chisciotte

A partire da questo estremo contrasto che si genera tra la visione di Alonso di un mondo distorto dal filtro della sua stessa follia da una parte e la dura realtà del contesto in cui si ritrova che non fa che provare a disilluderlo ogni volta dall’altra, gli alti toni del canone epico-cavalleresco vengono qui completamente ribaltati.

Cervantes va infatti ad inquadrare la figura di “Don Chisciotte” in un contesto completamente estraneo alla poetica cavalleresca, la prospettiva che ci restituisce è del tutto ironica, l’autore pone quindi l’accento su un mondo del tutto privo di quei valori per cui il protagonista, invece, vive, il mondo di Alonso è infatti del tutto incapace di accogliere la sua identità di “sognatore”.

E proprio a partire da questa “cesura” rispetto a quella che era stata fino a quel momento la tradizione letteraria predominante, non si può non riconoscere al testo quello statuto di “eterna attualità” che solo alle più grandi opere compete e che designa il Don Chisciotte, ancora oggi, uno tra i rappresentanti più importanti del dramma moderno.

Se intendiamo la modernità nei termini di Baudelaire vediamo infatti come questa abbia una validità sconfinata e universale.

«La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile».

(Le peintre de la vie moderne, Charles Baudelaire)

Baudelaire sottolinea fermamente come il valore della modernità coincida non tanto con un periodo storiografico definito, quanto piuttosto col rapporto autentico che un determinato artista va a stabilire col proprio tempo, in questo senso la modernità è allora qualcosa che ha a che fare più che altro con la contingenza del rapporto tra questi due elementi, rapporto che risulta così, assoluto ed immutabile.

Don Chisciotte, oggi.

Non a caso Don Chisciotte rappresenta, ancora oggi, una delle massime espressioni dell’eroe moderno per eccellenza. Per quanto il suo agire, in un primo momento, possa divertire per il contrasto che i due termini di “delirio” e “realtà” generano accostandosi vicendevolmente, il riso che ne scaturisce non può che essere un riso amaro, un riso che si trascina dietro quindi anche un aspetto, necessariamente, riflessivo.

Oggi, a 419 anni di distanza, in un’epoca dove la disillusione impera, dove abbiamo assistito ormai già innumerevoli volte a quella “Morte di Dio” che un paio di secoli dopo anche Nietzsche era arrivato a riconoscere, in una società dove gli ideali faticano a risultare prioritari, Don Chisciotte, nel suo porsi come latore assoluto di certi valori promotori di concetti quali “libertà” e “speranza”, nel suo essere, a tutti gli effetti, un “sognatore”, risulta ancora (e forse più che mai) una figura dai tratti del tutto eroici.

Il sogno che salva

Don Chisciotte muore perché incompreso e rifiutato da un mondo del tutto disilluso. Attraverso la sua morte Cervantes dimostra chiaramente come nell’incapacità di coltivare l’illusorio non siamo più in grado di accettare i visionari.

In un’epoca in cui il razio-positivismo ha ucciso la capacità di sognare, facendoci allontanare così sempre di più da quel valoroso intento che muoveva l’hidalgo spagnolo, ricongiungersi alle proprie vocazioni, conoscerci, ri-conoscerci risulta qualcosa di avulso. La materia costitutiva della modernità è frammentaria e in questa frammentarietà l’individuo trova così la sua inevitabile corrispondenza.

L’uomo razio-positivista fatica a trovare un senso, un orizzonte verso cui vertere, perché fatica, in primo luogo, a decifrare la sua stessa essenza, ha la tendenza ad identificarsi più col fare che con l’essere. In questi termini Don Chisciotte non può che considerarsi vinto ma, in fondo, è proprio nella sfida che lancia a questa prospettiva che si manifesta la sua componente eroica; è la sua immaginazione a salvarlo e il suo sogno ad elevarlo.

La sua rivoluzione inizia infatti dal ricostruirsi prima di tutto una nuova identità, arrivando persino a ribattezzarsi (da Alonso a “Don Chisciotte”), a rinascere. Lui in cuor suo sa in cosa si riconosce, conosce i valori che lo costituiscono, sa qual è la sua vera identità e proprio in questa sua lucida consapevolezza, in questa estrema onestà nei confronti di se stesso, sta la sua forza. È a partire da questo che le sue convinzioni diventano intenzioni e le sue azioni acquisiscono potenza.
Don Chisciotte fondamentalmente è eroe in quanto sa ancora sperare e ad Alonso è data la possibilità di agire perché è, prima di tutto, un sognatore.

«La ragionevolezza può essere una follia, e la cosa più folle di tutte è quello di vedere la vita così com’è e non come dovrebbe essere».

(Don Chisciotte, Miguel De Cervantes)

 

Giulia Guastalegname

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