Mercoledì 11 settembre il ministro degli interni Matteo Piantedosi ha annunciato i primi rimpatri veloci di due migranti irregolari tunisini grazie al ricorso alla procedura accelerata di frontiera. I due migranti erano trattenuti nell’hotspot di Porto Empedocle da fine agosto scorso, in particolare nella struttura detentiva per migranti provenienti da Paesi considerati sicuri.
Porto Empedocle, zone di frontiera e procedure accelerate di frontiera
I due uomini tunisini erano da qualche settimana rinchiusi all’interno dell’hotspot di Porto Empedocle dove, in via sperimentale, è stato aperto un centro di detenzione volto a trattenere tutti le persone provenienti da Paesi considerati sicuri perché sottoposte a procedure accelerate di frontiera. Queste procedure possono essere attuate esclusivamente se il cittadino considerato irregolare viene fermato in un territorio di frontiera. Lo scorso 31 agosto i giudici della sezione specializzata in materia di immigrazione del tribunale di Palermo avevano disposto il trattenimento di cinque tunisini arrivati a Lampedusa: per due di questi, l’esame della domanda di protezione in procedura accelerata si è conclusa con un diniego ed è quindi scattato il rimpatrio veloce e forzato . Questo è stato possibile perché la provincia di Agrigento, dove si trova Porto Empedocle, è annoverata tra le zone di frontiera dove si possono predisporre centri per l’esame delle domande d’asilo accelerate. Le zone di transito e di frontiera sono delineate dall’art. 2 del dm 5 agosto 2019 che stabilisce come zone di frontiera le province di Trieste e Gorizia; Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce e Brindisi; Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina; Trapani e Agrigento; Città metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna. Il testo dell’articolo omette però spiegazioni importanti, in particolare quella riguardante l’estensione territoriale e la delimitazione del territorio di frontiera.
Le procedure accelerate di frontiera sono state introdotte dal decreto Cutro lo scorso anno e si inseriscono all’interno della generale direzione che l’Unione Europea ha intrapreso in tema di immigrazione, in particolare dall’approvazione del “Nuovo patto migrazione e asilo” salutato come un successo dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Patto che ha attirato aspre e preoccupate critiche da parte di ONG e ambienti sia politici che solidali per le nuove misure che limiteranno ancora di più il fragile diritto all’asilo in Europa.
Le procedure accelerate di frontiera e i centri di detenzione negli hotspot sui confini esterni dell’Unione Europea sono quindi diretta conseguenza di queste politiche europee. Tali procedure sono attuate tramite il trattenimento di un migrante in un centro di detenzione per un massimo di 28 giorni entro i quali la persona deve essere liberata e rimpatriata. In questi 28 giorni il trattenuto è completamente isolato, senza possibilità di affidarsi a organizzazioni esterne o di ricevere un’adeguata informativa legale. Da ricordare è inoltre il fatto che le procedure accelerate di frontiera erano una pratica cui già si faceva ricorso in Italia per le persone che avevano tentato di eludere i controlli di frontiera: la differenza fondamentale è che, ad oggi, le procedure potranno essere svolte direttamente in fronteira.
Rimpatri veloci, Tunisia e Paesi sicuri
Le convalide di trattenimento a Porto Empedocle si sono così concluse con un diniego di protezione per due uomini tunisini e il conseguente rimpatrio veloce nel Paese d’origine. Il caso ha in realtà un procedente simile ma con opposto esito: lo scorso settembre, infatti, i giudici di Catania non avevano convalidato il trattenimento per altri cittadini tunisini sostenendo che la disposizione del decreto Cutro contrastasse con la disciplina comunitaria così come interpretata dalla Corte UE:
«deve […] escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale»
Questa volta, il destino dei due migranti tunisini si risolverà invece con un rimpatrio veloce verso la Tunisia perché Paese terzo considerato sicuro. La Tunisia è il Paese verso cui sono stati disposti il maggior numero di rimpatri forzati nell’ultimo anno, circa il 60% dei rimpatri totali.
Preoccupano enormemente queste misure che condannano di fatto i provenienti da Paesi considerati sicuri se intercettati in una zona di frontiera a vedere processate le proprie domande di asilo con procedure accelerate di frontiera, senza alcun supporto esterno, con un rischio più elevato di vedersi rifiutata la protezione. Queste disposizioni preoccupano enormemente dato che sono considerati Paesi sicuri luoghi dove la vita della popolazione locale e dei migranti è seriamente a rischio. Il tutto sembra volto non alla tutela delle persone ma al tentativo sempre più chiaro da parte dell’UE di bloccare i migranti sulle frontiere esterne, riducendo le possibilità dei migranti di ottenere protezione, con una politica escludente che spesso condanna alla morte sui confini europei chi intraprende le diverse rotte migratorie.
Rimpatri veloci e procedure accelerate di frontiera: un banco di prova per i centri in Albania
Su X Piantedosi ha così commentato con soddisfazione i primi due rimpatri veloci operati dall’Italia:
«Rimpatriati i primi due stranieri grazie alle procedure accelerate alle frontiere. Un efficace strumento di contrasto all’immigrazione irregolare inserito, anche grazie all’Italia, nel nuovo Patto migrazione e asilo».
L’anno scorso, sulle procedure accelerate di frontiera per chi proviene da un Paese sicuro, si era espressa Silvia Albano, giudice in servizio presso il tribunale civile di Roma nella sezione specializzata in diritti della persona e immigrazione, che così aveva dichiarato:
«Innanzitutto il rischio, altissimo, è che le persone bisognose di protezione restino invisibili. In sette giorni è impossibile garantire procedure di frontiera che garantiscano i diritti inalienabili delle persone per giunta in stato di trattenimento».
Il centro di detenzione di Porto Empedocle e questi primi due rimpatri veloci forniscono il modello che verrebbe applicato nei centri in costruzione in Albania. Le strutture di Schengjin e Gjader, la cui apertura è stata numerose volte rimandata, sembrerebbero infatti prossimi all’inaugurazione. Diventeranno così un hotspot posto addirittura al di fuori del territorio nazionale italiano creato per esaminare le domande di protezione di tutte le persone provenienti da Paesi considerati sicuri in procedura accelerata di frontiera, con i migranti tenuti in uno stato detentivo, con l’obiettivo finale di disincentivare le migrazioni verso il vecchio continente.
La politica migratoria intrapresa dall’Unione Europea e dall’Italia si configura quindi ancora una volta come escludente e discriminatoria, violando sistematicamente i diritti umani e condannando le persone in movimento a situazioni drammatiche di violenza e stasi. Se il commento di Roberta Metsola sull’approvazione del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo è stato “La storia è fatta” forse dobbiamo iniziare a chiederci da che parte della storia vogliamo stare.