La riforma costituzionale Renzi-Boschi, approvata dal Parlamento lo scorso 12 aprile, è ora nelle mani dei cittadini italiani, i quali dovranno votare Sì o No durante il referendum previsto per il mese di ottobre.
Ma cosa prevede questa riforma e quali saranno i suoi effetti sul governo della Repubblica? La riforma ideata è piuttosto corposa e assolutamente non trascurabile nei suoi contenuti.
Il disegno di legge prevede un mutamento radicale nel funzionamento del Senato, muta la modalità elettiva del Presidente della Repubblica, prevede l’abolizione del Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, modifica il titolo V della Costituzione (riguardante le competenze suddivise tra Stato e regioni) e, infine, comporta una variazione anche del referendum abrogativo.
Con la riforma del Senato si avrà la fine del bicameralismo perfetto: la Camera dei deputati sarà la sola ad esercitare la funzione legislativa e, inoltre, costituirà l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto. Il Senato diverrà un organo rappresentativo delle autonomie regionali e i senatori saranno solo in 100 (e non più 315); sarà compito dei consigli regionali nominare e scegliere i 95 senatori costituiti dai sindaci (21) e dai consiglieri regionali (74). La durata del loro mandato da amministratori locali costituirà anche la permanenza della loro carica.
I cinque sentori rimanenti saranno scelti direttamente dal presidente della Repubblica e rimarranno in carica per sette anni; gli unici senatori a vita saranno gli ex presidenti della Repubblica (non ne verranno scelti altri).
Anche lo stipendio dei senatori subirà un cambiamento, essi percepiranno la paga derivante dal loro incarico di amministratori e non più dal senato stesso.
Il nuovo senato concentrerà la sua attività sul raccordo tra Stato ed enti regionali e territoriali e potrà esprimere pareri e modifiche sui progetti di legge, la camera sarà però libera di accettare o rifiutare gli eventuali emendamenti proposti.
Per quanto riguarda l’elezione del presidente della Repubblica, i delegati regionali non vi parteciperanno più e sarà una competenza esclusiva delle camere in seduta comune. La nuova modalità elettiva prevede la maggioranza dei due terzi fino al quarto scrutinio, in seguito basteranno i tre quinti dei componenti.
La modifica del titolo V della Costituzione comporterà il ritorno alla competenza esclusiva dello stato di circa venti materie, alcune di queste sono: ambiente, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, previdenza sociale e mercati assicurativi.
L’ultimo punto della modifica tocca il referendum abrogativo: nel caso in cui siano 800 mila i cittadini che propongono la consultazione (invece di 50 mila) il quorum verrà ridotto al 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche.
Infine, per proporre una legge d’iniziativa popolare, saranno necessarie 150 mila firme, anziché 50 mila.
Il referendum costituzionale rappresenterà una mutamento decisivo all’interno della politica italiana, indipendentemente dal risultato.
Il governo Renzi affida la sua stessa permanenza a questo referendum: sia Matteo Renzi che la ministra Boschi hanno infatti affermato che l’eventuale vittoria dei No comporterà la loro immediata dimissione.
Ecco, speriamo che quest’ultima eventualità si concretizzi.