Rifiutando la separazione dei poteri rifiutiamo di essere liberi

Separazione dei poteri

In quest’anno di governo giallo-verde gli attacchi nei confronti della magistratura si son fatti sempre più violenti

Ad osservar bene, infatti, sembra proprio che uno dei principi fondanti delle nostre democrazie occidentali stia entrando in crisi. Il principio in questione è quello della separazione dei poteri. Concetto elaborato dal Barone di Montesquieu nel lontano 1748, in pieno Illuminismo. Questo principio si trova sempre più al centro di una crisi di valori politici che rischia di minare le basi stesse della democrazia, in favore di un personalismo autoritario e carismatico che vorrebbe regnare incontrastato su tutti i poteri statali.

Ciò che i critici di questo principio dimenticano, o meglio, vorrebbero far dimenticare, è il fatto che senza la separazione dei poteri non potrebbe sussistere alcun tipo di democrazia. Ma soprattutto, alcuna libertà politica. Sarebbe tuttavia assurdo far discendere questa problematica dallo stesso Salvini. La crisi della separazione dei poteri è infatti cominciata almeno venti anni fa, in pieno berlusconismo. Momento in cui il parlamento cominciò a perdere, sempre più, le prerogative del potere legislativo, in favore del governo che, tramite un massiccio utilizzo dei decreti, ha impugnato tale potere.




Ora, a distanza di vent’anni, siamo costretti ad osservare dei violentissimi attacchi nei confronti della magistratura. Una magistratura accusata di far politica, di essere corrotta e, in un ritornello costante, di lavorare al servizio del PD o dei comunisti. Questi attacchi, sostenuti e condivisi da buona parte della popolazione, rischiano di porre fine all’indipendenza del potere giudiziario. Un’indipendenza necessaria alla garanzia di un’equa applicazione della legge, libera da ogni parzialità e schieramento ideologico-politico.

Ma se anche il potere giudiziario dovesse cadere nelle mani del governo, così come è già successo al potere legislativo, sarebbe la stessa democrazia a risultarne sconfitta.

Un governo in grado di stringere, nelle proprie mani, il potere giudiziario, quello legislativo e quello esecutivo, infatti, non sarebbe neanche più definibile come governo. Esso sarebbe un vero e proprio sovrano semi-assoluto, senza nessun corpo statale in grado di bloccarne l’arbitrio e la volontà di plasmare la nazione “a sua immagine e somiglianza“. Non è affatto difficile riconoscere in Salvini questa volontà. Si rende evidente nel momento in cui appoggia la magistratura ogni volta che sembra convalidar le sue idee, per poi attaccarla duramente quando, queste stesse idee, vengono rigettate. L’ambizione di Salvini è infatti evidente. Egli vuole governare incontrastato su tutti i poteri dello stato, come un novello Re Sole.

“La libertà è fare tutto ciò che le leggi permettono”

Questa è la definizione di Montesquieu per quanto riguarda la libertà all’interno dello stato. Se una legge permette qualcosa, allora, il cittadino è libero di compierla, senza limitazioni o timori di ripercussioni da parte del potere statale. Nelle parole del leader leghista, però, possiamo riconoscere un differente concetto di libertà. La legge, infatti, non appare più come una garanzia di ciò che è lecito. E’ bensì lo stesso leader a indicare ai suoi sostenitori ciò che può esser fatto e ciò che, invece, non può esser neanche pensato.




Siamo abituati a riconoscere la legge come colei che pone il confine tra il lecito e l’illecito. Salvini, però, tenta costantemente di sostituirsi ad essa, raccontando ai suoi sostenitori ciò che deve o non deve esser fatto. Davanti a questa intenzione, la legge appare come un semplice ostacolo alla definizione altisonante di una nuova concezione della libertà statale: “La libertà è fare tutto ciò che il leader reputa lecito e, se le leggi si oppongono, allora vanno cambiate“.

Montesquieu e la separazione dei poteri

Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà. Perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente. E non vi è libertà neppure quando il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo o da quello esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario. Poiché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se un’unica persona o un unico corpo di notabili, di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le controversie dei privati.

Il principio della separazione dei poteri elaborata da Montesquieu, però, non nasce realmente nel 1748. Esso giunge da molto più lontano. Già Platone aveva sostenuto la necessità dell’indipendenza dei giudici dal potere politico. Aristotele, a sua volta, aveva suddiviso le funzioni statali in tre momenti: deliberativo, esecutivo e giudiziario. A completare l’idea ci pensò, in seguito, John Locke che riconobbe la necessità di affidare ogni funzione statale a soggetti differenti, per evitare che una parte dello stato potesse imporsi su tutte le altre.

La novità introdotta da Montesquieu, però, consiste nel far propria l’idea di Locke per tramutarla in una vera e propria regola politico-morale, che sia in grado di garantire la libertà, il benessere e la giustizia.

“La libertà politica è quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino; e condizione di questa libertà è un governo organizzato in modo tale che nessun cittadino possa temere un altro”

Si può definire “libera” solo quella costituzione (o, indirettamente, Stato) in cui nessun governante può, neanche volendo, abusare del potere assegnatoli. Ne consegue che ogni stato in cui si manifesta il rischio di un possibile abuso di potere cessa di essere libero e democratico. Ecco che si spiega, dunque, la necessità della separazione dei poteri. I tre poteri, infatti, hanno il compito di limitarsi vicendevolmente impedendo ad uno di prevalere sugli altri. Nel momento in cui uno dei tre poteri diventa superiore agli altri, infatti, i due poteri ormai inferiori non hanno più ragion d’essere e, quasi automaticamente, saranno assorbiti dal potere superiore.

E’ dunque necessario chiedersi, nella nostra attualità, se esista realmente un rischio concreto. Ovvero, quante possibilità ci sono che uno dei tre poteri statali, garanti di democrazia, s’imponga sugli altri due strappandosi a questo gioco di equilibri e di pesi e contrappesi? Non è difficile rispondere. Non è difficile poiché il potere legislativo è già caduto, da molti anni, nelle mani di un esecutivo sempre più affamato di libertà e arbitrio. E’ ancor meno difficile alla luce di un potere giudiziario assediato da quello stesso esecutivo che lo vorrebbe non al servizio della legge ma, tristemente,al servizio della sua volontà di regolamentazione  arbitraria e ideologica




E mentre stiamo lentamente dimenticando che la libertà non è “ciò che mi permette di far ciò che voglio” ma ciò che “permette a tutti, nel rispetto reciproco, di vivere e sopravvivere in comunità“, dobbiamo riconoscere che, con la crisi della separazione dei poteri, è la stessa democrazia ad agonizzare e, sempre più, a segnare il suo declino verso una strana e sgangherata forma di assolutismo contemporaneo.

 

Andrea Pezzotta

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