A causa del Coronavirus molti italiani sono rimasti bloccati all’estero. Studenti, lavoratori, turisti, sono tantissimi i casi di persone che hanno avuto problemi a tornare a casa loro. Perché la Farnesina, in una situazione di emergenza come questa della pandemia, sta trovando notevoli difficoltà ad organizzare il rientro degli italiani dall’estero?
Nell’era della post modernità, della globalizzazione, degli Erasmus eccetera, tutti viaggiano ovunque. Perciò, non è un caso che molti Stati hanno dovuto gestire il rientro di connazionali da altri Paesi, che non erano solo lavoratori ma soprattutto studenti. Perché se noi – in Italia – ci siamo sentiti spesso a disagio di fronte ai problemi sociali legati al Coronavirus, vivere la pandemia in un Paese straniero è certamente ancora peggio.
Molti i problemi legati al rientro degli italiani
Abbiamo ascoltato le testimonianze di diversi studenti e lavoratori italiani che hanno iniziato la quarantena in un altro paese. Alcuni sono riusciti a tornare a casa, mentre altri hanno preferito rinunciare, abbattuti da un iter burocratico – ed economico – estenuante. Ad esempio, Alice, 23 anni, in Erasmus a Caen, racconta:
Ho preferito rimanere qui per non rischiare di contagiare i miei genitori. Adesso sono rimasta nel campus universitario insieme ad altri ragazzi ma non è che sia un gran vivere. Ci sono alcune difficoltà nella vita di tutti i giorni, ad esempio nella fase dei pasti, in cui dobbiamo condividere spazi ristretti – ci hanno ridotto il numero di cucine. Oltretutto alcuni ragazzi sono stati trovati positivi e portati fuori dal Campus ma a noi, che pure abbiamo vissuto con loro nelle settimane precedenti, non è stato fatto alcun tampone.
Molti hanno preferito rimanere nell’abitazione straniera per mitigare eventuali conseguenze una volta in Italia, ma per altri si è trattato di necessità . Ad esempio, secondo quanto ci racconta Margherita da Saragozza tornata in Italia in nave, diversi studenti hanno rinunciato a causa del viaggio complicato. Questo è stato forse il problema più grande nella gestione del rientro degli italiani dall’estero. Un iter, quello del rientro, complicato da difficoltà di comunicazione con la Farnesina, costi molto alti dei biglietti per viaggiare, tempi di attesa lunghi, pratiche di sicurezza poco efficienti.
In Sud America i disagi maggiori per il rientro degli italiani e non solo
Andrea è uno studente italiano fino a poco fa bloccato a Medellin, in Colombia, e dopo un mese di comunicazioni con l’ambasciata italiana e la Farnesina, alla fine lo Stato è riuscito a metterlo su un volo per Roma. Un volo da 900 euro su un aereo commerciale, con 27 ore di viaggio complessive passando per gli scali di Quito e Amsterdam. La procedura ha dovuto comprendere nel viaggio anche la tappa in Ecuador per raccogliere altri passeggeri italiani. Regolare, invece, lo scalo ad Amsterdam per poi passare all’areo diretto a Fiumicino.
Dopo molte difficoltà sono riuscito a parlare con la Farnesina e a ottenere la possibilità di tornare a casa tramite un volo commerciale. Quindi un aereo con pochi posti per un viaggio in cui ho dovuto fare due scali. L’aereo era pieno di persone. Non c’erano distanze fra i passeggeri, e inoltre, se non avessi avuto una mia mascherina, avrei viaggiato senza e spalla a spalla con un altro. La cosa che più ha pesato a me e alla mia famiglia sono stati i 900 euro pagati per il viaggio di ritorno, comprensivi di tutte le spese. Il mio viaggio, come quello degli altri passeggeri, è durato complessivamente 27 ore, di cui 20 in volo.
Il nervosismo delle persone è intuibile. Perché come sono comprensibili le difficoltà di un organo statale che in poco tempo deve gestire una marea di richieste di aiuto, allo stesso tempo ci si aspetta una maggiore sensibilità e organizzazione.
Per fortuna non tutti hanno dovuto affrontare un’odissea. Valerio, 25 anni, parrucchiere a Londra, racconta di non aver avuto particolari problemi nel rientro, se non per “l’utilizzo delle mascherine: il governo non ce le ha fornite, ce le hanno fornite le hostess della compagnia aerea. Per il resto però è stato un viaggio tranquillo”. Come quello di Giulia, 19 anni, studentessa tornata a Milano da Madrid “senza nessun problema di sicurezza o di attesa”.
Finora, sono stati rimpatriati più di 45’000 italiani dall’estero tramite 260 voli, 19 spostamenti marittimi e 6 terrestri.
Di Maio, ma i fondi dell’Unione Europea?
Questa invece è una decisione estremamente più delicata. Come riportato già da diversi media nazionali, l’Italia pare non aver usufruito degli incentivi finanziari messi a disposizione dall’Unione Europea. Infatti, delle disponibilità comunitarie dell’Upcm (un meccanismo di finanziamenti dell’UE per motivi di protezione civile), l’Italia ne ha sfruttato solo una minuscola parte: su più di 66’000 rimpatri nell’Unione Europea, i cittadini italiani sono appena l’1,85 %.
L’Unione Europea ha messo a disposizione 75 milioni di euro per supportare economicamente il rimpatrio in Europa dei cittadini comunitari sparsi in tutto il mondo. Difficile da comprendere il perché l’Italia – che pure sta spingendo molto per ottenere un certo sostegno economico dall’UE – non abbia attivato questa forma di sussidio. E di conseguenza, costringere cittadini italiani a spendere cifre molto alte per farli tornare a casa. In una recente intervista, Di Maio ha detto di aver scelto di non richiedere i soldi a disposizione per evitare il lungo iter burocratico.
Luca Profenna, blogger italiano rimasto in Bolivia ha organizzato una petizione apposita, sottolineando come in realtà, questi soldi, “sarebbero utili per far tornare almeno nel prossimo futuro le persone rimaste bloccate all’estero”. Perché per ora, non sembrano esserci altre soluzioni.
Riccardo Belardinelli