Rieducazione in carcere: a Padova i detenuti sono pasticcieri

La pericolosa deriva giustizialista suicidio in carcere Rieducazione in carcere

La rieducazione in carcere dovrebbe essere una priorità, eppure a causa del sovraffollamento sono sempre meno i programmi rieducativi.

La pasticceria Giotto

A Padova c’è una pasticceria che fa un panettone speciale. Di recente elogiata dal New York Times che le ha dedicato un lungo articolo, la Pasticceria Giotto sforna uno dei dieci migliori panettoni d’Italia, definito speciale perché fatto da alcuni detenuti della prigione Due Palazzi a Padova. “Crediamo che l’individuo non sia definito solo dal suo errore e che la crescita sia favorita se accompagnata da professionisti”, si legge sul sito

L’iniziativa risponde a quell’esigenza di rieducare il reo in maniera attiva e funzionale al rientro in società. L’obiettivo è trasmettere la cultura del lavoro, far si che il detenuto possa comprendere i propri errori e evitare di ricaderci una volta uscito dal carcereQuesto è ciò a cui il carcere dovrebbe ambire. Eppure, sempre più spesso, non è cosi.

L’importanza della rieducazione in carcere

Nel suo articolo, il New York Times evidenzia il problema del sovraffollamento della carceri italiane che rende i programmi di rieducazione del detenuto di difficile attuazione e conseguenzialmente la pena non raggiunge la funzione rieducativa prefissata nelle Regole penitenziarie europee. Inoltre, non vi sono abbastanza opportunità lavorative e solo alcuni detenuti possono accedere a tali programmi, come quelli citati sopra. 

La rieducazione è fondamentale poiché, sempre a detta del New York Times, che riporta le stime del Ministero di Giustizia, “la media nazionale di recidiva è del 70% con la maggior parte dei detenuti che tornano in galera con condanne più lunghe della prime”. Tuttavia, “tale tasso scende al 5% se i detenuti lavorano durante la detenzione”. 

Pena repressiva o rieducativa?

Da quanto scrive il New York Times si evince che molto spesso le Regole penitenziarie europee non vengono rispettate e in questo modo il sistema penitenziario europeo finisce per assomigliare sempre di più a quello americano di tipo repressivo, che alla rieducazione predilige la neutralizzazione del reo e la sua esclusione dalla società. 

Nel sistema americano, chi ha sbagliato deve pagare, mentre in quello europeo, chi commette un reato deve capire il perché del suo crimine e di conseguenza migliorarsi per non tornare sugli stessi passi. Solo tramite programmi rieducativi, quali la pasticceria di Padova, i detenuti raggiungono tale consapevolezza e, una volta usciti, tornano ad essere membri attivi nella società. Per di più, il sistema europeo prescrive il rispetto dei diritti dei detenuti e della loro dignità. Si tratta di una norma fondamentale se si pensa alla salute mentale degli incarcerati.

Come puntare a una maggiore rieducazione?

È la subcultura carceraria a dover cambiare: il reo non deve essere concepito come parte del mondo penitenziario ma di quello esterno. Un cambio di mentalità  è dunque necessario sia nella società che nelle istituzioni affinché il detenuto venga inteso come qualcuno che ha sì sbagliato, ma che resta in ogni caso una persona che può e deve comprendere i suoi errori al fine di migliorare. 

Inoltre, una maggiore formazione degli agenti penitenziari sulla psicologia forense e la criminologia potrebbe agire a favore di un incremento nel supporto dei detenuti nell’essere rieducati  e aiutati in questo talvolta difficile processo. 

Ma problema di base resta il sovraffollamento delle carceri che se non verrà risolto rimarrà ostacolo all’attuazione di progetti rieducativi. Un tentativo di soluzione è stato ampliare la possibilità di accedere alle misure alternative, come servizi sociali, detenzione domiciliare, etc.

Chiara Cogliati

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