Svolta sulla battaglia dei riders. Il tribunale di Bologna mette nero su bianco uno dei meccanismi che regolano la retribuzione di Deliveroo, denunciandone l’iniquità.
Il procedimento è semplice e veloce, il sito web colorato e divertente: diventare riders è questione di pochi clic. Basta digitare il nome dell’azienda per cui si vuole lavorare e candidarsi fornendo i propri dati nell’apposita sezione. I requisiti da soddisfare sono pochi, tra cui l’essere maggiorenni, provvisti di smartphone e di un mezzo di trasporto. I vantaggi, almeno a quanto promettono Deliveroo & Co, sembrano essere molti.
Come si diventa rider
Al rider, infatti, verrà chiesto di installare una app sul cellulare, di comunicare la propria disponibilità. Il neoassunto dovrà poi connettersi agli orari prestabiliti, in attesa di ricevere un ordine. Gli verrà garantita la possibilità di sfruttare il proprio tempo libero in modo divertente, scegliendo i turni in totale libertà. Insomma: chi non aspira a un impiego di facile accesso, che si possa gestire in base al bisogno?
Il funzionamento di Deliveroo&Co
Purtroppo, la realtà non è esattamente così. Frank è l’algoritmo sviluppato da Deliveroo per valutare le prestazioni dei fattorini. Esso si basa su quante volte essi rifiutano le chiamate o si assentano dalle consegne. Quando un rider, per qualsiasi motivo, non è presente agli orari da lui forniti, l’algoritmo lo registra e lo penalizza nell’attribuzione di future consegne. In parole povere: è più probabile che un certo ordine appaia al rider che lavora di più e che ha riportato meno assenze. Questo è estremamente invalidante dal momento che chi si ammala, sciopera, o semplicemente decide di non rispondere a qualche chiamata, rischia di non vedersi attribuire alcuna consegna una volta rientrato. Inoltre, il cosiddetto “ranking reputazionale” non opera alcuna distinzione fra chi si assenta per futili motivi e chi si astiene dalla consegna per malattia o per esercitare il diritto di sciopero.
La decisione del tribunale di Bologna
Ecco perché il tribunale di Bologna ha accusato Deliveroo di utilizzare un meccanismo discriminatorio nei confronti dei riders. La decisione è arrivata in seguito al ricorso promosso da NIdiL Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil, e dalle strutture territoriali bolognesi. «Per la prima volta in Europa un giudice stabilisce che “Frank” è cieco e pertanto indifferente alle esigenze dei riders, che non sono macchine, ma lavoratrici e lavoratori con diritti» ha dichiarato a riguardo la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. «Il giudice ha ritenuto quindi che il modello di valutazione adottato dalla piattaforma di food delivery – ha continuato la sindacalista – fosse il frutto della scelta consapevole dell’azienda di privilegiare la disponibilità del rider, senza mai considerare le ragioni del suo possibile mancato collegamento alla piattaforma».
Le argomentazioni di Deliveroo
Per tutta risposta, Deliveroo ha dichiarato che l’algoritmo non è più in uso ma non ha escluso di impugnare la sentenza. Matteo Sarzana, general manager dell’azienda di delivery, ne ha così difeso la correttezza:
Prendiamo atto della decisione del giudice che non condividiamo e che fa riferimento a un sistema di prenotazione delle sessioni dei rider che non è più in uso. La correttezza del nostro vecchio sistema è confermata dal fatto che nel corso del giudizio non è emerso un singolo caso di oggettiva e reale discriminazione.
Una piccola conquista
Che sia corretto o meno, è innegabile che l’uso di un algoritmo per classificare i riders contraddica a quanto raccontato dalle imprese in fase di assunzione: non è vero che il mestiere è flessibile e si può svolgere nel tempo libero, né che si può scegliere quando lavorare, perché Deliveroo terrà conto del comportamento di ciascun dipendente. Per lo stesso motivo, l’uso del contratto di tipo autonomo non inquadra con trasparenza i rapporti lavorativi fra rider e azienda, che sono riconducibili più a una relazione di subordinazione. I fattorini protestano da mesi per smascheare molti aspetti non chiari, su cui si dovrebbe indagare a fondo. La decisione del tribunale di Bologna è, ad oggi, una piccola conquista nella battaglia dei riders contro le grandi compagnie di food delivery, ma non è che l’inizio.
Alessia Ruggieri